sabato, dicembre 28, 2013

DALL’OLIVASTRO ALL’OLIVO, LA LUNGA STORIA DI UNA PIANTA CHE HA MODIFICATO LO STILE ALIMENTARE DELL’UOMO. L’OLIO D’OLIVA, COMPONENTE BASE DELLA DIETA MEDITERRANEA.



Oristano 28 Dicembre 2013
Cari amici,
due giorni fa ho riportato su questo blog la storia di uno dei giganti verdi della nostra Sardegna: S’ozastru di Luras, il patriarca che da circa 4.000 anni osserva dall’alto della sua reggia granitica i fatti ed i misfatti della nostra Isola. Questo olivastro, forte ancora come una roccia, dimostra che la sua specie è una delle più longeve del mondo vegetale, ma che è anche capace di dare all’uomo il suo meraviglioso frutto: l’olio delle sue drupe, ingrediente base della nostra dieta mediterranea. La lunga storia dell’olivo e del suo olio è una storia affascinante,  che merita di essere raccontata. Mi fa piacere farlo qui per Voi.
Questa pianta è presente nel mondo fin dagli albori della civiltà umana. Prima come olivastro e poi come olivo, è conosciuto fin dal Neolitico (8000-2700 a.C.), entrando presto, con forza, nell’alimentazione umana. Nel 2500 a.C. il codice Babilonese di Hammurabi già regolamentava la produzione ed il commercio dell’olio di oliva; successivamente, in Egitto, l’olivo veniva coltivato lungo le fertili sponde del Nilo, ed il suo olio si commerciava ancor prima della XlX dinastia (1292-1186 a.C. ), essendo anche un componente fondamentale dei prodotti per le mummificazioni.
Il periodo del passaggio evolutivo dall’olivastro all’olivo domestico ci è  sconosciuto;  si ipotizza che la specie domestica sia derivata dall’ibridazione tra due specie diverse, presenti nell’area orientale del bacino del Mediterraneo:  una, forse identificabile con l’olea africana, avrebbe trasferito il carattere della foglia allungata, l’altra, ignota, avrebbe aggiunto le caratteristiche del frutto polposo e carico d’olio. La nuova specie gentile, perfettamente acclimatatasi nel bacino mediterraneo, si sarebbe presto diffusa in Egitto e quindi a Creta, dove l’olivicoltura divenne l’ossatura dell’economia locale: nel palazzo di Cnosso  sono stati ritrovati enormi depositi contenenti anfore destinate alla conservazione ed al  trasporto del prezioso prodotto. Dagli scavi archeologici di questo palazzo sono emerse tavolette d’argilla che parlano diffusamente di frutteti e uliveti, nonché un libro mastro  dell’amministrazione del palazzo che parla di luoghi di produzione e di destinazione; dettagliati anche i diversi prezzi del prodotto a seconda della qualità di produzione: da quella da destinarsi all’alimentazione a quella usata per scopi medici o, ancora, quella particolare qualità di olio da utilizzarsi per le offerte.
Decaduto l’impero cretese la diffusione dell’olivo nel bacino del Mediterraneo venne continuata dai Fenici e dai Cartaginesi, che portarono sia l’olio che le piante di olivo in tutti i Paesi che si affacciavano in questo mare. Nelle civiltà dell’epoca l’olio di oliva, grazie alla sua versatilità,  rappresentava un elemento indispensabile: era usato come detergente, combustibile, lubrificante, cosmetico, cibo e merce di scambio. E chi ringraziare se non gli dei per questo prezioso prodotto così utile all’uomo? La leggenda dice che quando sorse una disputa tra Nettuno e Atena a chi dedicare una nuova città che doveva sorgere nella zona dell’Attica (ricca di ulivi), per esserne il dio protettore, Giove, al quale si rivolessero per dirimere la controversia, si pronunciò in favore di Atena, in quanto il dono fatto dalla dea agli abitanti era l'ulivo, un dono di pace, al contrario del cavallo, donato da Nettuno, giudicato, invece, come un dono di guerra. Olivo, quindi albero con un grande significato di onore, di vittoria e di pace. Con i rami di un olivo centenario, che gli ateniesi identificavano come quello donato da Atena, si intrecciavano ghirlande per gli eroi, mentre con l’olio ricavato dagli olivi piantati attorno al Partenone venivano premiati i vincitori delle Olimpiadi. Da Atene questa consuetudine arrivò poi a Roma, dove tanto gli Imperatori quanto i generali, al momento del trionfo presero l’abitudine di cingersi il capo con ramoscelli d’olivo.
Con questi presupposti sarà Roma a diventare il centro propulsore per la diffusione della pianta dell’ulivo in tutto il bacino del Mediterraneo, in modo sistematico. Ai soldati romani sparsi in tutto l’impero veniva data una diaria dov’erano presenti il pane, il vino e l’olio; nelle raffinate tavole romane si distinguevano gli oli leggeri della Liguria e delle Marche da quelli più sapidi della Sabina, mentre quelli più pesanti,  proveniente dalla penisola Iberica e dall’Africa erano destinati all’alimentazione delle lampade.  Roma, diventò un vero mercato mondiale dell’olio: una lobby privilegiata i “negotiatores  olearii”, all’interno della borsa finanziaria dell’olio, “l’Arca Olearia”, stabilivano i prezzi, in relazione sia alla qualità  che alla quantità; l’olio di oliva  viaggiava nel Mediterraneo, contenuto nelle anfore e  a bordo delle  navi onerarie, costruite appositamente  per stipare il maggior numero di anfore, con le quali veniva trasportato in tutto l’impero.
La raffinatezza dei romani aveva creato cinque classificazioni dell’olio di oliva a seconda del grado di maturazione e della sanità dell’oliva. Plinio, a proposito “della difficile arte di ricavare l’olio” affermava che “da una stessa oliva si ricavano succhi diversi, il primo dei quali, chiamato “ex albis ulivis”, è fornito dall’oliva verde quando non è ancora cominciato il processo di maturazione, mentre la maturazione completa del frutto dà origine ad un succo più denso e meno gradevole”. Gli altri olii meno nobili, nell’ordine, erano: il viride estratto a dicembre da olive che vanno annerendosi; il maturum ottenuto dalla spremitura di olive mature; il caducum ottenuto da olive cadute a terra ed infine il cibarium prodotto con olive bacate e destinato all’illuminazione ed agli schiavi.
L’arrivo delle dominazioni barbariche, che accelerarono la disgregazione dell’impero romano, fecero subire all’uso dell’olio nell’alimentazione umana un discreto arresto, a causa delle sostanziali differenti abitudini alimentari di questi invasori, abituati a differenti fonti alimentari. 
Questi barbari, provenienti dal Nord Europa, stravolsero i sistemi agricoli del bacino del Mediterraneo, facendo regredire l’agricoltura e in particolare la coltivazione degli ulivi, stante proprio la forte differenza delle loro abitudini alimentari, che privilegiavano i grassi animali. Con il loro arrivo lardo e burro iniziano a farla da padrone, e gli ulivi vengono invece relegati nei conventi  e nei feudi fortificati. Per molti secoli l’olio diventerà merce rara e preziosa, tanto che in alcuni casi diventò “moneta di scambio”, considerato addirittura come denaro contante. La rinascita agricola, dopo secoli di abbandono, avvenne nel XIII secolo: i grandi proprietari terrieri, intravedendo nell’olio una buona fonte di guadagno, ripresero l’impianto di nuovi oliveti che rifiorirono a nuova vita. La produzione dell’olio ricominciò ad aumentare tanto che Genova e Venezia, che fino ad allora importavano l’olio dalle isole del Mediterraneo e dal Nord Africa, cominciarono a  disputarsi il commercio dell’olio nazionale. Il governo Mediceo di Firenze sarà il primo a dare grande impulso all’olivicoltura, facendola diffondere nuovamente in tutta Italia.
Nei secoli successivi la coltivazione dell’ulivo avrà fasi alterne:  in positivo, quando i  governanti  favorivano, finanziandola,  la messa a dimora  di nuove piante per far aumentare  la produzione  locale, in negativo quando, imponendo ai contadini una pressione fiscale troppo forte, questi si vedevano costretti ad abbandonare le piante o addirittura a tagliarle. Tra alti e bassi si arriva così all’inizio del secolo scorso quando durante la prima guerra mondiale si scopre che il legno dell’olivo usato come combustibile poteva sostituire egregiamente il carbone, venuto a mancare nelle fabbriche del Nord Italia; lo sconsiderato taglio di migliaia di alberi in tutta la penisola depaupererà il patrimonio ulivicolo che stenterà a riprendersi, anche per la concorrenza, negli anni 60, degli oli industriali di semi, che  riescono ad emarginare il più il pregiato olio d’oliva. I dati recenti fanno avvertire una nuova riscoperta di questo prezioso olio, in particolare quello extra vergine di oliva, per le riconosciute ed ineguagliabili caratteristiche organolettiche, che ne fanno l’ingrediente base della cucina mediterranea di cui quest’olio è primattore, oltre che per le accertate proprietà salutari dei suoi componenti, capaci di apportare benefici all’organismo, sia in termini dietetici che nutrizionali. Conosciamo, ora scientificamente questa interessantissima pianta.
In botanica la pianta dell’olivo (il termine ulivo è ormai desueto) appartiene alla famiglia delle Oleaceae. La pianta fruttifica verso il 3º–4º anno, dando la piena produttività verso il 9º–10º anno; la maturità è raggiunta dopo i 50 anni. È una pianta molto longeva: in condizioni climatiche favorevoli un olivo può vivere anche più di mille anni. Le radici, per lo più di tipo avventizio, sono molto superficiali ed espanse, in genere non si spingono mai oltre i 60–100 cm di profondità. Il fusto è cilindrico e contorto, con corteccia di colore grigio o grigio scuro, il legno è molto duro e pesante. La ceppaia forma delle strutture globose, dette ovoli, da cui sono emessi ogni anno numerosi polloni basali. È una pianta sempreverde, la cui attività è pressoché continua con attenuazione nel periodo invernale. Le foglie sono opposte, coriacee, semplici, intere, ellittico-lanceolate, con picciolo corto e margine intero. La pagina inferiore è di colore bianco-argenteo per la presenza di peli squamiformi. Le gemme sono per lo più di tipo ascellare. 
Il fiore è ermafrodito, piccolo, con calice di 4 sepali e corolla di petali bianchi. I fiori sono raggruppati in numero di 10–15 in infiorescenze a grappolo, chiamate mignole, emesse all'ascella delle foglie dei rametti dell'anno precedente. La mignolatura ha inizio verso marzo–aprile. La fioritura vera e propria avviene, secondo le cultivar e le zone, da maggio alla prima metà di giugno. Il frutto è una drupa globosa, ellissoidale o ovoidale, a volte asimmetrica, del peso di 1–6 grammi secondo la varietà, la tecnica colturale adottata e l'andamento climatico.
Da ottobre a dicembre, secondo la varietà, il frutto da verde diventa scuro (invaiatura), evidenziando la maturazione. All'invaiatura le olive cessano di accumulare olio anche se permangono ancora sulla pianta. Se non vengono subito raccolte, però, queste cadono a ripetizione dall’albero e questo comporta anche una lenta diminuzione della resa in olio, sia qualitativa che quantitativa, perché una parte della produzione va perduta per l’inacidirsi degli olii, per il marciume a terra, parassiti, e fitofagi.
La produzione di olio d’oliva nel mondo è di oltre 17 milioni di tonnellate, ricavati da circa 8 milioni di ettari coltivati. Alla fine degli anni novanta i cinque Paesi con la maggiore superficie olivicola erano la Spagna (2,24 milioni di ha), la Tunisia (1,62 milioni di ha), l'Italia (1,15 milioni di ettari), la Turchia (0,9 milioni di ha) e la Grecia (0,73 milioni di ha). I primi cinque Paesi produttori di olio di oliva erano la Spagna (938.000 t), l'Italia (462.000 t), la Grecia (413.000 t), la Tunisia (193.000 t), la Turchia (137.000 t). Le produzioni indicate sono una media delle ultime tre annate degli anni novanta. I primi cinque Paesi produttori di olive da mensa erano la Spagna (304.000 t), la Turchia (173.000 t), gli USA (104.000 t), il Marocco (88.000 t), la Grecia (76.000 t). Le tendenze attuali vedono una forte espansione dell'olivicoltura in Spagna, Marocco, Sudafrica, Australia.
In Sardegna la produzione di olio d’oliva si attesta al 9° posto tra le regioni (86.422 quintali, dati riferiti al 2010). La qualità più pregiata, è l’olio extravergine di oliva Dop. La Denominazione di Origine Protetta "Sardegna" è riservata all’olio extravergine di oliva estratto nelle zone della Sardegna indicate nel disciplinare di produzione e ottenuto per l’80% dalle varietà Bosana, Tonda di Cagliari, Nera (Tonda) di Villacidro, Semidana e i loro sinonimi. Al restante 20% concorrono le varietà minori presenti nel territorio, che comunque non devono incidere sulle caratteristiche finali del prodotto.
Cari amici, la pianta dell’olivo è, davvero, un grande dono della natura! Albero la cui paternità è attribuita dalla mitologia alla dea Atena, e che costituisce, per gli uomini, un grande dono, perfetto simbolo di forza, longevità, salute, vittoria e  pace. Personalmente credo che Dio, con questa straordinaria e robusta pianta,  abbia dato agli uomini un grande segno della Sua potenza divina: attraverso di essa l’uomo può nutrirsi, vivere in salute e creare i presupposti per conquistare la pace in tutto il mondo.

Grazie a tutti dell’attenzione.
Mario

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