lunedì, dicembre 16, 2013

C’ERA UNA VOLTA… “IL GIOCO CREATIVO”. LA RECENTE STORIA DELL’EVOLUZIONE (MEGLIO, DELL’INVOLUZIONE) DELLA CULTURA DEL GIOCO E DEI GIOCATTOLI.



Oristano 16 Dicembre 2013
Cari amici,
quand’ero ragazzo credo che i negozi che vendevano giocattoli  non facessero grandi affari, almeno rispetto ad  oggi, in quanto ne circolavano proprio pochi. Questa mancanza, però, non ci creava molte problematiche: perché quello che non c’era si costruiva, e la fantasia, che non mancava mai, ci consentiva di trovare sempre la giusta soluzione per un sano divertimento.
Il gioco, cari amici, è l’espressione più autentica della cultura umana, è una “scuola di formazione” che completa la crescita, un mettere in moto nella gioventù che cresce quei meccanismi che, prima nel gioco e successivamente nel lavoro, consentiranno di affrontare i problemi che man mano si troveranno davanti. Il gioco ed i suoi elementi base, i giocattoli, sono però, sempre “figli del tempo”, adattandosi continuamente al contesto sociale di riferimento. L’abissale differenza, ad esempio tra i giochi di 50, 60 anni fa e quelli odierni, lo dimostra inequivocabilmente. Chi ha la mia età (sono nato nel 1945), ed ha la fortuna di poter toccare nuovamente con mano alcuni “pezzi” dell’epoca, si rende conto della grande differenza: oggi il recupero dei quei giochi tradizionali sarebbe un utile strumento per rappresentare ai ragazzi “tecnologici” il passato recente, e far riscoprire Loro la storia della generazione precedente; un modo per comprendere le proprie origini e assimilare quel senso di appartenenza ad un mondo che varia costantemente. Scoprirebbero con quale velocità le cose cambiano,  notando l'incredibile differenza tra le cose di ieri e quelle di oggi, in un breve arco di tempo, come può essere definito il mezzo secolo.
Il gioco, come ben sappiamo, stimola l’inventiva, la curiosità, la manualità, l’ingegno; con il gioco, fin dai primi anni di vita,  il bambino si adatta a vivere insieme agli adulti, osservandoli, imitandoli, e cercando di emularli. Il gioco è praticamente il primo esperimento di “apprendistato”, che consente loro di cimentarsi nella dimostrazione delle proprie capacità. Un modo, insomma, di inserirsi, attraverso il gioco, nella Società degli adulti. I miei sono i ricordi di un ragazzo che viveva la sua crescita negli anni del dopoguerra, gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, in un territorio molto povero e con un’economia legata quasi esclusivamente all’agricoltura. Quelli erano anni difficili, quando le famiglie mancavano di tutto, figuriamoci se pensavano ai giocattoli! Come in tutte le società povere, noi bambini ci costruivamo da soli i nostri giochi, utilizzando i materiali più diversi che c’erano a disposizione, ma soprattutto la fantasia, che era l’ingrediente primario. I giochi si svolgevano prevalentemente per strada o nei tanti spazi che la natura concedeva: c’era soprattutto il piacere di fare parte del “gruppo”, di mettersi alla prova riuscendo a superare le difficoltà che man mano si presentavano.
Sono sempre stato abituato a riflettere. Il confronto che mentalmente faccio tra i giovani della mia generazione e quelli di oggi è a dir poco incredibile. Pur tenendo conto del diverso contesto sociale ed economico, a distanza di poco più di mezzo secolo, certi stravolgimenti avvenuti non trovano una giustificazione accettabile. La scomparsa della gran parte della creatività che i ragazzi mettevano nel gioco mi fa affermare che più che una evoluzione in positivo, in questo campo vi sia stata una irrimediabile involuzione. Riflettiamo un attimo. Oggi, sia in città che nei piccoli centri, è impossibile vedere gruppi di ragazzi che con gioia si riuniscono per stare insieme e inventare, tutti insieme, modi di giocare e di divertirsi, senza farsi del male. La giornata tipo di un ragazzo (sia del ragazzino delle elementari che quello delle scuole superiori) è oggi normalmente così scandita: sveglia, veloce colazione, accompagnato dai genitori in auto a scuola (alcuni quando più grandi ci vanno in motorino), rientro a pranzo, poche ore di studio, poi palestra, tennis, nuoto, calcio, o quant’altro in una serie angosciosa di impegni da far invidia ad un manager di una multinazionale. Nei giorni di riposo è difficile vedere i ragazzi riunirsi: con uno, massimo due amici, ci si stravacca in poltrona, schiavi della TV, del computer, o delle penose sfide con la playstation.  Siamo sicuri noi genitori di indirizzare, di  “costruire” al meglio il percorso dei nostri figli, dando loro già “la pappa pronta”, la strada spianata, anziché cercare e stimolare in loro quella creatività che abbiamo avuto noi nella nostra gioventù ?
Prima dell’avvento della televisione, quando i computer, i ciclomotori e i giocattoli complicati non erano ancora alla portata di tutti, le regole della vita familiare non erano così “liberiste” come quelle di oggi: la famiglia era ancora un luogo sacro e la scuola un vero centro educativo!  Oggi il sistema è saltato: la famiglia sembra un piccolo albergo senza padrone, dove tutti ne usano e ne abusano senza regole e principi, la scuola è più un luogo d’incontro che un luogo di formazione e cultura, dove chi cerca di dettare le regole viene “sanzionato”, accampando la logica della “libertà” di educazione senza vincoli o costrizioni. I luoghi di ritrovo e di “formazione/apprendimento” sono oggi i Pub, le Discoteche, le città mercato, e altri locali che, a vario titolo, invitano i giovani ad usare (meglio sarebbe dire abusare) della loro libertà e potere, iniziandoli all’alcool, al fumo, alla droga ed al sesso senza controllo, contribuendo, con la connivenza di tutti, a creare una società non solo senza regole ma anche senza futuro.
E’ con nostalgia che ricordo i tempi della mia fanciullezza, quando noi ragazzi passavamo il  tempo nelle strade e nei vicoli del vicinato dove eravamo nati, nascondendoci negli androni dei portoni o nei vicoli; ci si divertiva organizzando giochi che oggi farebbero solo sorridere: con le trottole o con le biglie (non quelle colorate di oggi ma quelle estratte dalle bottiglie di birra), a nascondino o a “luna monta”, con l’arco e le frecce (rigorosamente costruite a mano), con la fionda o la cerbottana, oppure facendo fracasso con le raganelle di canna; senza dimenticare le sfide a hula hop o le corse a perdifiato, spingendo con una canna o un ferro un vecchio cerchio di bicicletta. Nelle ore più calde ci si riuniva all’ombra per scambiarci le figurine dei calciatori, oppure nelle serate piovose a giocare a tombola o a dama. Si potrà dire, certo, che quelli erano altri tempi, che quella era un’altra civiltà, dove anche i comportamenti dovevano essere diversi, ma una cosa è certa: noi, nonostante tutto, riuscivamo a sviluppare la nostra grande fantasia giocosa, con una partecipazione sana e collettiva.
Sfido chiunque, oggi, ad andare in un parco urbano e trovare ragazzini che giocano in gruppi, magari alle biglie o alla campana, oppure armati di fionde che cercano di centrare lattine! Impossibile trovarne, perché sono (quasi) tutti a tennis o a calcio, a danza o a casa a giocare alla playstation, alla Wii, cercando di colmare le “vuote ore pomeridiane” e cercare di scacciare la “noia”, che sempre più voracemente si impossessa di loro. Inventiva, manualità, curiosità e socialità sono da tempo scomparse dalle loro menti. Eppure sono tante le possibilità che potrebbe offrire anche oggi il gioco collettivo! 
Quello che oggi sembra scomparso è il tempo, oltre che lo spazio,  divorati da un calendario che non da tregua. Tutto oggi è svolto con l’ansia di non restare indietro nei confronti dell’altro: se tuo figlio va a tennis o palestra, ci deve andare anche il mio! Manca però l’aggregazione, lo voglia di stare insieme, in armonia e allegria, come nel passato. Senza voler demonizzare i giochi elettronici né tantomeno la TV, il recupero, almeno parziale, del gioco collettivo tradizionale, quello che prevede l’inventiva, l’intelligenza creativa, per essere realizzato, rappresenterebbe la riscoperta della propria storia, oltre che un’enorme risorsa che pare ormai ibernata: lo sviluppo dell’ingegno!
Sviluppare l’ingegno, cari amici è qualcosa di fondamentale. Credo che con il termine ingegno si possa definire quell’intelligenza vivace, intesa come autrice di creatività, oppure quella intensa capacità inventiva, volta alla risoluzione di problemi pratici. I bimbi di oggi sono svegli, è vero, ma forse sono poco ingegnosi per colpa nostra, in quanto depongono presto le armi se non trovano una via d’uscita facile. I nostri figli oggi sono molto più fragili, perché abbiamo dato loro le cose già pronte, anziché stimolare la loro creatività e, fin dall’inizio, allenarli a fare, costruire e realizzare. Abbiamo creato in loro la convinzione che possano avere tutto senza dare niente in cambio, trasformando la loro noia in vizi, e costruendo, come dice Paolo Crepet, dei piccoli Budda, che spadroneggiano in casa e fuori. Diventa difficile, poi, adottare una seria correzione di rotta.
Riflettiamo, cari amici, credo che questa mia riflessione non sia solo frutto di nostalgia, di amore per un passato che certo non potrà più ritornare, ma nasca della constatazione che per la sana crescita dei nostri ragazzi il nostro intervento ed il nostro “polso” sono fondamentali. Come l’albero per crescere diritto, sano e forte, ha bisogno di un “tutore che lo aiuti nel momento dello sviluppo, anche i nostri ragazzi, come belle piante che domani dovranno dare buoni e copiosi frutti, hanno bisogno di noi come “tutori”.
Grazie, amici, della Vostra attenzione!
Mario

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