Oristano 25 Dicembre
2013
Cari amici,
oggi è Natale! Auguri a tutti Voi!
Il giorno di Natale è
da millenni un evento speciale, che noi sardi abbiamo sempre voluto festeggiare
all’interno della famiglia: perché Natale è il simbolo più alto dell’unione
familiare, della fratellanza, dell’amicizia della coesione di tutta la
Comunità.
Nella tradizione sarda
il Natale costituiva in passato, quando la civiltà industriale e commerciale
ancora non aveva soppiantato l’antica e saggia civiltà contadina, un importante
e significativo momento di aggregazione, familiare e comunitario. Il Natale era
l’evento da trascorrere in famiglia, ideale per consolidarne la coesione, considerato
che per molti mesi all’anno essa viveva disgregata, a causa delle necessità
lavorative agro pastorali del capo famiglia, spesso lontano per mesi dalla sua casa,
dalla moglie e dai figli. Natale, dunque, momento magico di ricongiungimento,
di riunione, che si contrapponeva positivamente alla solitudine degli altri
periodi dell’anno, dedicati alla produzione del reddito. Natale di coesione oggi
come ieri, quando i pastori rientravano a casa dalla transumanza invernale, mentre
oggi, nell’attuale diverso periodo socio-economico, quando gli emigrati, in
prossimità delle feste natalizie, affrontano lunghi viaggi, pur di trascorrere
questa ricorrenza insieme ai loro cari .
Natale è stato sempre
un momento tanto atteso: dai pastori, che assaporavano mentalmente con tanto
anticipo il ritorno a casa, lasciando anche se per poco tempo i freddi ricoveri
di montagna, dalle mogli che dovevano accudire da sole gli impegni della casa e
dei figli, e da questi ultimi, che da
bambini crescevano senza la presenza del padre, spesso lontano. Secondo le
consuetudini del passato il momento cardine, che sanciva la ricomposizione di
ciascun nucleo familiare e la ripresa dei contatti con gli amici, era proprio
la notte della Vigilia di Natale, definita dalla tradizione campidanese “Sa nott’è xena”. Notte calda, non solo
per il tepore del camino ma soprattutto per il calore dello stare insieme,
uniti, che faceva della sera e della notte del 24 dicembre, un momento magico
unico. Notte che vedeva le diverse famiglie riunite al caldo tepore del focolare
domestico, in casa del più anziano componente del gruppo di parentela; occasione
speciale, vissuta rinsaldando gli
affetti, miscelando il calore emanato
del grande camino con quello, ben più piacevole e caldo emanato dal cuore.
Nelle case l’attesa di
un evento così importante era vissuta in grande fermento. Una delle consuetudini
era quella di imbiancare, prima della vigilia del Natale, le parti del camino
annerite dagli innumerevoli fuochi; poi all’interno veniva sistemato un
grosso ceppo di legno, appositamente tagliato e conservato per l’occasione,
denominato: “su truncu de xena o
cotzi(n)a de xena”, che doveva restare acceso per tutto il periodo festivo.
E’ proprio accanto al piacevole tepore emanato da quel fuoco speciale, che
l’intero gruppo familiare consumava in allegria un’abbondante e saporita cena,
a base di porchetto , agnello o capretto arrosto, di frattaglie (sa tratalia e
sa corda), oltre a formaggio e salsicce secche, ottenute dal maiale allevato in
casa e macellato anzitempo. La solidarietà nella civiltà
contadina non mancava neanche in tempi difficili come quelli della Sardegna di
fine Ottocento e della prima metà del secolo scorso. La Comunità, nei giorni precedenti
eventi così importanti, mostrava grande disponibilità: era d’uso, da parte delle
famiglie abbienti, inviare alle famiglie più povere (dove magari il capo
famiglia aveva lavorato al suo servizio) pane, carne, formaggio e dolci (sa mandada), in modo che tutti
potessero vivere il Natale festeggiando
con un pasto più ricco e abbondante del
normale, dove solitamente la carne era una pietanza eccezionale, riservata a
pochi giorni all’anno, come Natale, Pasqua o altre ricorrenze eccezionali, come
la festa del Patrono, battesimi, cresime e matrimoni.
Nelle famiglie riunite
per le festività di fine anno i più felici in assoluto erano i bambini. Non
solo per l’abbondanza e la varietà del cibo messo in tavola, ben diverso da
quello degli altri giorni dell’anno, ma perché lo “stare insieme” fino a tardi,
nelle ore normalmente dedicate al sonno, era una novità intrigante. In assenza
degli attuali moderni mezzi di comunicazione e intrattenimento, senza TV,
telefonini, computer e altre moderne amenità, il divertimento familiare si
fondava sui racconti degli anziani e sui giochi semplici collettivi. Riuniti tutti
intorno al camino, erano gli anziani i protagonisti dei racconti e delle favole
che tanto incantavano i bambini. Da “Maria Puntaoru” (nota in alcuni paesi del
Campidano, che avrebbe tastato il ventre dei bambini durante il sonno e se
questo fosse risultato vuoto, la strega avrebbe infilzato la loro pancia con
uno spiedo appuntito), a “Palpaeccia” (in altri paesi dell’interno), che
avrebbe messo sul loro stomaco una grossa pietra per schiacciarlo, se non
avessero mangiato quanto necessario. I racconti degli anziani parlavano di
fantasmi, di forzieri pieni di monete d’oro e di ricchezze sognate…da adulti e
bambini.
Intorno al grande tavolo di cucina si passava poi il tempo, in attesa
della messa di mezzanotte, con i giochi di società: giochi
tradizionali, quali ad esempio “su barrallicu”, una trottola a più facce sulle
quali potevano essere incise quattro diverse lettere. Se la trottola fermandosi
avesse indicato una T (tottu), il giocatore avrebbe preso tutto il piatto, ma
poteva anche fermarsi su una M (mesu o metadi) e in quel caso si sarebbe vinta
la metà. La N invece indicava nudda, ossia nulla e la P era la casella più
sfortunata, dato che stava ad indicare poni, ossia metti, con la posta
costituita da mandorle, noci, o castagne; oppure la classica “sa tombula”, la
tombola, con vincite sempre in natura; i più grandi giocavano a carte, come
scopa o sette e mezzo; erano tutti strumenti che servivano a creare momenti di
vera aggregazione per tutta la comitiva familiare, composta da adulti e
bambini, in un unico insieme.
Ai rintocchi delle
campane che annunciavano la messa di mezzanotte, tutti questi passatempi venivano
interrotti. Questa messa, denominata in sardo ”Sa Miss’è Puddu”, ovvero la
“messa del primo canto del gallo”, il cui termine, secondo gli studiosi, è di
probabile derivazione catalana, poiché tra le tradizioni di Catalogna ricorre
la cosiddetta “Missa del Gall”, era molto partecipata. La Chiesa veniva
addobbata a festa per sancire la solennità dell’evento della “Natività” e
rappresentava per la gente un’occasione favorevole per ritrovarsi con gli
amici, i conoscenti o gli altri parenti non presenti al cenone di famiglia; era
un bella occasione per scambiarsi, tra la gioia collettiva, gli auguri di Buon Natale.
La partecipazione a questa Messa di Natale costituiva anche un’importante
occasione, per le donne in attesa di un figlio, per compiere alcune pratiche
magico-religiose, di natura esorcistica, necessarie a tutelare la nascita del
loro bambino. La maggior parte delle donne infatti era convinta che se non
avessero ascoltato la messa di mezzanotte, il nascituro sarebbe potuto nascere
deforme.
Anticamente la “religiosità
pagana” era ben più diffusa di adesso. Le magiche credenze del passato evidenziano
un substrato religioso di origine pre-cristiana, quando si attribuiva a certi
fenomeni o a certi periodi dell’anno un potere particolare. Sempre riferendoci
al Natale, era luogo comune attribuire ai nati la notte di Natale dei privilegi: essi avevano il dono di non perdere i denti e i capelli durante la
vita e, inoltre, il loro corpo sarebbe rimasto incorrotto anche dopo la morte (nel
Campidano si dice che: “chini nascidi sa
nott’è xena non purdiada asut’è terra); o nel Logudoro, dove invece si
riteneva che coloro che nascevano in quella notte, potessero preservare dalle
disgrazie sette case del vicinato (sette è numero di chiara derivazione magica).
Periodo sacro, quello tra Natale e l’Epifania, a cui la tradizione sarda
assegnava dei particolari poteri: le donne che praticavano la divinazione e
la magia bianca, cioè coloro che la tradizione sarda, a seconda delle aree di
appartenenza definiva “bruxas” o “deinas”, quando ormai vecchie e stanche
sentivano approssimarsi la loro fine, utilizzavano questo periodo per preparare
alla successione un’altra persona di loro fiducia, e trasmetterle così la conoscenza
e poteri di cui disponevano.
Natale e Capodanno
giornate che certamente rinsaldano l’amicizia, familiare e della Comunità. Per
onorare degnamente questo “stare insieme” è d’uso, fin da epoca remota, la
consuetudine di scambiarsi, in segno di rinnovata amicizia, dei doni. Gli
abitanti dell'antica Roma, ad esempio, erano soliti scambiarsi, in occasione delle
feste e a capodanno, dei regali chiamati “Strenne”.
Tale consuetudine si ricollegava ad una tradizione secondo la quale, il primo
giorno dell'anno, al re veniva offerto in dono un ramoscello raccolto nel bosco
della dea Strenna, dea sabina della salute. Questo rito augurale si diffuse tra
il popolo e, ben presto, i rametti di alloro, di ulivo e di fico vennero
sostituiti da regali vari. Tale tradizione ha continuato il suo percorso nei
secoli ed è presente ancora ai nostri giorni, rivestendosi, in occasione del
Natale, di nuovi significati: richiamando, attraverso il gesto del dono,
l'amore di Dio che ha donato suo Figlio all'umanità intera.
Cari amici, oggi, giorno del Santo Natale, Vi voglio
salutare con un sorriso sincero e con l’augurio che, quand’ero ragazzo era tanto in voga,
unitamente ad un abbraccio affettuoso:
Bonas pascas de Nadale e
bonas festas, a tutti Voi ed alle Vostre famiglie!
Mario
e..... anche:
Nessun commento:
Posta un commento