Oristano 8 Dicembre 2013
Cari amici,
a ben pensare credo che ciascuno di noi non
si sia mai illuso di essere veramente
una parte - anche se pur piccola - del potere politico, un piccolo granello di
quell’insieme che contribuisce, realmente, al governo della Nazione. In realtà
ben altri sono i meccanismi, spesso poco democratici, che vengono utilizzati
per governare.
Indubbiamente tra le varie forme di governo
che nel tempo si sono sperimentate nel mondo, la Democrazie è, se non la
migliore, la forma “meno peggio”. Questo perché è
difficile, se non impossibile, raggiungere una valutazione unanime su quanto
deve essere realizzato nell’interesse di tutti. Essendo impossibile l’unanimità
l’unico ricorso “democratico” possibile è allora quello delle decisioni prese a
maggioranza, dove chi ha la metà più uno vince e stabilisce, per tutti, cosa si
deve fare e cosa no. Allora, come la mettiamo con quel 49,9% che è
assolutamente contrario a quella norma o a quel progetto? La risposta non è
facile, se si vuole andare oltre il fatto di accettare passivamente il
risultato; l’unica considerazione che è possibile
fare, per la parte perdente, è quella di definire l’altra parte una “Dittatura della Maggioranza”. La
dittatura della maggioranza è quel concetto politico, espresso per primo da
Alexis De Tocqueville, che stabilisce le regole della democrazia moderna. In
sintesi, laddove c'è un sistema democratico, è la maggioranza a "decidere",
e quello deciso è valido anche per la parte che si è espressa negativamente,
ovvero la minoranza.
Il visconte Alexis Henri Charles de Clérel de Tocqueville
(Parigi, 29 luglio 1805 – Cannes, 16 aprile 1859) è stato un filosofo, politico
e storico francese. Egli ha dato un grande contributo alla sociologia, tanto da
poter essere annoverato tra i fondatori di questa disciplina, ed è considerato
uno degli storici e studiosi più importanti del pensiero liberale. Da europeo,
abituato a convivere con i regimi monarchici, dove anche la democrazia minima
spesso non era presente, maturò il desiderio di raggiungere gli Stati Uniti, per
conoscere e toccare con mano quella nuova forma di governo chiamata Democrazia.
Una forma, questa, senza re ne nobiltà, dove era il popolo a dettare legge,
eleggendo i suoi rappresentanti. Durante il
suo soggiorno negli Stati Uniti, Tocqueville si interroga sulle basi di questa
nuova forma di governo democratico. Contrariamente a Guizot, che vede la storia
della Francia come una lunga emancipazione delle classi medie, Egli pensa che in
futuro “la tendenza generale ed
inevitabile dei popoli sarà la democrazia”.
Secondo lui, questa “nuova forma” di potere non deve essere
intesa, però, solo come potere del popolo, ma anche e soprattutto in un senso
sociale: un'uguaglianza di diritti per tutti i cittadini, assoggettati alle
stesse norme giuridiche, mentre in Francia sotto l'ancien régime, la nobiltà ed
il clero beneficiavano di una legislazione specifica. La forte aspirazione riscontrata
in America negli individui all'uguaglianza, tuttavia incontra dei limiti:
l'uguaglianza delle condizioni non implica la scomparsa di fatto delle diverse
forme di disuguaglianze di natura economica o sociale! Secondo Tocqueville, il principio democratico comporta
negli individui «un tipo d'uguaglianza immaginaria, nonostante la disuguaglianza reale
della loro condizione». La tendenza all'uguaglianza delle condizioni,
però, presenta ai suoi occhi un pericolo. Il processo egualitario si accompagna
a un aumento dell'individualismo, e questo contribuisce da un lato ad
indebolire la coesione sociale e dall'altro induce l'individuo a sottoporsi
alla volontà della maggioranza. A questo punto ci si interroga: ci si chiede se
questo progresso dell'uguaglianza è compatibile con l'altro principio
fondamentale, quello della democrazia. Uguaglianza e libertà sembrano in realtà
mondi contrapposti: se delego il potere ad un’autorità che decide per me – a
maggioranza – come posso salvaguardare la mia libertà?
Tocqueville, che
mentalmente fa continui confronti con le società europee non democratiche, si
convince che è la “Società Democratica” quella destinata a trionfare, perché è quella
che può accontentare il maggior numero di individui, consentendo a tutti di
partecipare alla stesura delle norme attraverso i propri rappresentanti.
Questo, anche se non implica un livellamento reale delle condizioni di vita, ma
solo un pareggiarsi delle condizioni di partenza, può far considerare la
società statunitense “ugualitaria”,
in quanto permette a tutti di potersi realizzare, senza sbarramenti di censo. La
società americana è una società che premia il progresso individuale. La Democrazia
certamente “volto positivo” di governo, ma anche con risvolti negativi: il
possibile “dispotismo della maggioranza”,
che, spesso, concede poco spazio alla
minoranza (anche se ampia), che è dissenziente. Spesso si delinea in questo
modo una maggioranza dispotica, che sceglie un indirizzo a cui la minoranza
deve adeguarsi, senza discutere. Questo comporta, sempre con più frequenza, una
disaffezione da parte di larghi strati di ”dissenzienti”, che iniziano ad
estraniarsi dalla vita pubblica e non partecipano più attivamente all'attività
politica. Spesso, quindi, se la democrazia è solo una “vuota affermazione di uguaglianza” essa non funziona più come
dovrebbe, perché esclude – in parte - la viva partecipazione di una parte dei
cittadini.
La cosi detta “dittatura della maggioranza”, in Italia, ha
raggiunto, ormai, dimensioni quasi irrimediabili. Se esaminiamo la situazione
di stallo in cui la nostra povera Italia si trova, abbiamo piena conferma di
tutto quello che Toqueville sosteneva
ben più di un secolo fa! La mia riflessione non privilegia nessuno: ne destra
ne sinistra, in quanto le elites, ben radicate in entrambi gli schieramenti,
sostanzialmente si equivalgono. Se la disaffezione del popolo ha raggiunto
certi livelli, se una consistente parte degli italiani, ormai, continua ad
astenersi dal voto (senza dimenticare quella grande pattuglia eterogenea che ha
votato per reazione il movimento 5 stelle), vuol dire che questa “dittatura”
sta soffocando la vera democrazia; democrazia, quella vera, che non significa
solo comandare con il 51%: significa pieno rispetto per quella grande parte che
non condivide l’opinione della maggioranza. La democrazia non può compiutamente
caratterizzarsi solo come governo della maggioranza, perché senza il rispetto
per la parte minoritaria, una maggioranza può governare solo in maniera
tirannica.
Cari amici, in questa Domenica 8 Dicembre (per me
cristiano, festa dell’Immacolata), si terranno le primarie del Partito
Democratico, che stabiliranno chi sarà il loro nuovo segretario; probabilmente
un Matteo Renzi che non vede l’ora di “rottamare” la vecchia guardia.
Dall’altra parte lo schieramento opposto cerca in tutti i modi di tornare al
governo con nuove elezioni, senza minimamente preoccuparsi della terribile situazione economica
che ci affligge: dalla mancanza di lavoro per i giovani al debito pubblico
esagerato, dai milioni di cittadini e famiglie sotto il reddito minimo di
sopravvivenza, agli sprechi ed alle ruberie di chi ci governa e di quelli che
continuano ad evadere le tasse. Senza dimenticare che da lungo tempo il “Porcellum”,
l’attuale legge elettorale che a parole non piace a nessuno, non riesce ad
essere modificata, nonostante sia stata –
in parte - dichiarata incostituzionale. In queste condizioni la disaffezione dei
cittadini non può che continuare, con la possibile caduta anche della stessa
democrazia!
E quando cessa la
democrazia, non dimentichiamolo, non può
che subentrare un regime (Popper).
Grazie cari amici della Vostra sempre gradita attenzione.
Mario
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