venerdì, ottobre 31, 2025

RICORDI DEL PASSATO: LA PIA ILLUSIONE DELL'INDIPENDENZA DELLA SARDEGNA. LA STORIA DELLA NASCITA DEL REGNO DI GODA.


Oristano 31 ottobre 2025

Cari amici,

Ho voluto dedicare il post di chiusura del mese di Ottobre, da sardo verace, alla storia della nostra amata Sardegna ed al suo inestinguibile desiderio di INDIPENDENZA. La Sardegna è sempre stata un’isola ambita, forse troppo, tanto che ha sempre avuto dei dominatori. Collocata al centro del Mediterraneo, già nel VII sec. a.C. il popolo sardo fu preda di invasori che la sottomisero. La popolazione sarda era troppo debole per potersi difendere contro i potenti invasori e venne perciò costretta a subire. Storicamente i primi ad arrivare furono i Fenici, che vennero in Sardegna per motivi commerciali. Quando si resero conto di poter moltiplicare i loro guadagni, decisero di occupare l’isola. Dopo i Fenici arrivano i Cartaginesi che vennero a loro volta sostituiti dai Romani. Con la caduta dell’Impero Romano (intorno al 500 d.C.) furono, poi, i vandali, che, provenienti dall’Africa, invasero la Sardegna.

La storia della Sardegna vandala ebbe inizio, dunque, dopo la lunga dominazione romana, quando fu conquistata da questa bellicosa popolazione germanica, come detto proveniente dall’Africa, dove si era in precedenza stabilita (stava nell'Africa Proconsolare e nella Mauretania Cesariense). La Sardegna rimase sotto il gioco dei vandali per circa settant'anni, dal 467 al 534 circa. Fu in questo periodo che i sardi ebbero per la prima volta l’illusione della possibile indipendenza da altri Regni, quando, seppure per un breve periodo, un certo GODA, Governatore della Sardegna quale rappresentante di GELIMERO, il Re dei vandali, si ribellò e cercò di costituire un regno indipendente: il Regno sardo di GODA.

Dopo tante sofferte dominazioni, i sardi, stanchi della sudditanza sempre subita, sognarono così di raggiungere, finalmente, la libertà di autogovernarsi, liberandosi dalla dipendenza da altri reami. Questo sogno, a lungo cullato dai sardi, sembrava raggiunto, diventato realtà, nel lontano 533 d.C. proprio durante la dominazione dei Vandali, quelli che avevano sostituito nel dominio i romani.  Vediamo come prese corpo questo sogno, anche se fu un sogno che si eclissò dopo pochi mesi.

In quel lontano 533 d.C. la Sardegna era, come detto, schiava dei Vandali, quei guerrieri nordici che avevano inghiottito in un sol colpo le principali isole del Mediterraneo, un tempo domini romani. Giunti dall’Africa settentrionale nel 456, i Vandali imposero le loro strutture politiche sull’Isola, che, per quanto nuove, non si discostavano poi troppo dall’ordinamento romano. Al vertice della piramide di comando dei Vandali, come prima accennato, c’era il PRAESES, Governatore assoluto dei territori sardi.

Ecco come si svolsero i fatti. Nel 533 governava la Sardegna, su incarico di Gelimero, re dei Vandali, un ambizioso patrizio di origini gotiche: GODA. Questo funzionario vandalo di origine germanica, nella primavera del 533, si ribellò a Gelimero, proclamandosi re dell'isola e fondando così il primo regno di Sardegna. Per legittimare il suo potere, iniziò persino a coniare monete, tra cui una che raffigurava il suo busto insieme al Sardus Pater, l'antica divinità protettrice dell’Isola. Come ricorda lo storico Francesco Cesare Casula: «In Sardegna si formò per la prima volta una statualità, anche se limitata ai territori controllati dai Vandali, seppure per pochi mesi».

Per la prima volta, dunque, la Sardegna fu davvero indipendente, anche se il sogno di Goda fu fragile e destinato a infrangersi. Gelimero, infatti, non si rassegnò a perdere la Sardegna! Goda, per contrastare Gelimero, chiese aiuto all’Imperatore d’Oriente Giustiniano, che inviò due eserciti: uno contro i Vandali in Nord Africa e l’altro a supportare Goda in Sardegna. Ma Gelimero rispose con forza, inviando nell’Isola un esercito guidato dal fratello Tata. Cagliari cadde, Goda fu giustiziato, e il suo breve regno si concluse in tragedia. Amici, per la Sardegna il sogno di indipendenza appena iniziato si era subito spento. Il regno voluto da GODA fu di brevissima durata: cadde nell'estate dello stesso anno, sconfitto da Gelimero. Anche per il re dei Vandali Gelimero, però, i problemi non erano finiti. I Bizantini, con Belisario e il Duca Cirillo, sconfissero Gelimero e Tata in Africa e poi conquistarono Cagliari. La Sardegna entrò così nella sfera dell’Impero Romano d’Oriente, ponendo così fine al primo, effimero, sogno di indipendenza dell’Isola.

Cari amici, da allora sono passati non solo secoli ma millenni, ma la Sardegna ha continuato, e continua ancora, ad essere terra di conquista. Dai Bizantini fino ad arrivare ai Savoia, per l’isola è stato un percorso di sofferenza, di costante dominazione; un avvicendarsi che ha visto l'emergere prima dei giudicati, poi la successiva dominazione aragonese e infine l'acquisizione del titolo regio da parte dei Savoia, fino alla nascita della Repubblica Italiana, di cui la Sardegna oggi fa parte. Mi viene da pensare che, per tutti noi sardi, valeva e continua a valere quel triste modo di dire: “FINE PENA MAI”, di norma usato per indicare i condannati alla massima pena…

A domani.

Mario

 

giovedì, ottobre 30, 2025

IL CRESCENTE UTILIZZO DEI DRONI NEL MONDO. ORA VENGONO UTILIZZATI ANCHE IN SARDEGNA NEL MONDO AGRO-PASTORALE: USATI ANCHE PER SORVEGLIARE LE PECORE AL POSTO DEL CANE.


Oristano 30 ottobre 2025

Cari amici,

Anche la Sardegna si avvia verso una nuova "pastorizia tecnologica", che affida le proprie greggi non più ai fedeli cani ma ai DRONI! Questi modernissimi strumenti di sorveglianza, in origine destinati a scopi militari, ora vengono usati anche per svariate attività civili: dai servizi antincendio alle fotografie aeree, per arrivare anche all’utilizzo in agricoltura e pastorizia, dove svolgono anche azione di sorveglianza delle greggi al pascolo.  In quest’ultima mansione, sotto certi aspetti curiosa, c’è da dire che si sono rivelati alquanto utili nelle diverse parti del mondo: dall'Irlanda, in Europa, fino all'Oceania! Insomma, i DRONI si stanno rivelando dei fedeli sorveglianti veramente utili, veri sostituti dei cani!

Questo nuovo particolare utilizzo, come hanno pubblicato alcuni dei quotidiani più popolari del mondo, da quello anglosassone, il britannico TELEGRAPH, a quello statunitense, lo WALL  STREET JOURNAL, si è rivelato eccellente! Essi hanno dato grande risalto all'ultima applicazione di questi piccoli elicotteri senza pilota, comandati a distanza. In sostanza, come le documentazioni video dimostrano in modo inequivocabile, i DRONI oggi sono considerati un mezzo ideale per gestire anche le greggi, in particolare quelle più numerose!

A testimoniarlo in modo chiaro il caso del pastore irlandese Paul Brennan, di Carlow, cittadina del sud-est dell'Irlanda, che ha affidato al fratello minore la gestione del suo gregge, dopo aver provato in prima persona l'affidabilità di questo nuovo strumento. Allo stesso modo, l'allevatore neozelandese Michael Thomson, che assicura che, grazie al drone utilizzato, sua sorella può spostare il gregge composto da oltre mille pecore, senza sforzo e senza dover trascurare le faccende domestiche. Credo che si stia arrivando ad un cambio epocale: i cani pastore e gli stessi pastori a cavallo (o con il fuoristrada), stanno arrivando all’anticipato pensionamento!

Insomma, amici, pascolare le pecore su terreni impervi ed estesi non è mai stato facile, per cui ora il DRONE, lasciando al pastore maggiore libertà e consentendogli di fare anche altro, appare indubbiamente una soluzione ottimale. Ovviamente, all’apparente vantaggio prima evidenziato, sono anche da mettere in evidenza diversi svantaggi, come le insidie esistenti in natura, a partire dalla presenza dei predatori (prima controllati dai cani), per cui, come sempre è avvenuto, si dovranno valutare i pro e i contro, ovvero calcolare – postando sul piatto della bilancia – vantaggi e svantaggi derivanti da questo cambiamento tecnologico.

Ebbene, amici, anche in Sardegna l’utilizzo del “DRONE-CANE PASTORE” appare già utile e gradito. Nella nostra isola, dove la pastorizia è praticata sin dall'età nuragica, si sta assistendo ad una moderna, silenziosa rivoluzione. I tintinnii dei campanacci si mescolano al ronzio elettronico che arriva dal cielo. Alzando gli occhi, si intravede un piccolo elicottero che volteggia per chilometri, controllando un vasto territorio in poco più di un’ora; dall'alto monitora ogni movimento del gregge, impedisce dispersioni e guida gli animali lungo i sentieri più sicuri. Dove una volta servivano più uomini e branchi di cani pastore oggi basta un dispositivo che pesa pochissimo: appena due chili! Le comunità pastorali sarde, custodi di saperi millenari, sperimentano con molta cautela questa innovazione. A terra, un giovane pastore, gestisce e guida un gregge di oltre 1.200 pecore attraverso i vasti pascoli, aiutato da un drone che pesa quanto una bottiglia d'acqua minerale. Una rivoluzione che appare quasi un sogno, un miracolo!

Sembrano così lontani i tempi delle transumanze epiche, iniziate già in epoca nuragica, quando immense greggi migravano per giorni interi, seguendo antiche rotte incise nella memoria delle numerose precedenti generazioni. Anche in Sardegna, dunque, terra antica che conserva orgogliosamente le sue tradizioni, la modernità si sta facendo strada, seguendo quel cambiamento che trasforma la vita in modo vertiginoso. Si, quello che prima richiedeva settimane di preparazione e giorni di cammino, ora si risolve con poche manovre da remoto.

I cambiamenti, lo sappiamo, sono ineluttabili, ce lo ricorda la storia, ammonendoci che l'innovazione non si può rifiutare. Il cambiamento, però, non deve mai cancellare il passato, ma armonizzarsi con esso! L’identità pastorale sarda, come nel caso di cui parliamo, continua a rimanere, nel senso che “IL PASTORE DEL 2025” continuerà a conservare lo stesso sguardo attento dei suoi antenati, dedicando la stessa cura ad ogni singolo animale del suo gregge. E anche le pecore, seppure ora seguite da questo nuovo guardiano aereo, sembra che abbiano accettato la novità: non sono più inseguite dai cani, ma dolcemente accompagnate da una presenza discreta che veglia dall'alto.

Cari amici, anche dopo questa straordinaria trasformazione, l'identità pastorale sarda deve riuscire a reinventarsi, senza tradire le sue radici. Anche il futuro della nostra pastorizia, dell'allevamento estensivo e transumante nelle nostre splendide campagne, seppure accettando e praticando il rinnovamento, sono certo che riuscirà a fondere in modo eccellente la nostra tradizione antica con la tecnologia digitale.

A domani.

Mario

 

mercoledì, ottobre 29, 2025

QUANDO ARRIVA IL TEMPO DI DECIDERE COME DIVIDERE I PROPRI BENI. CHI FA TESTAMENTO DEVE RISPETTARE LE QUOTE LEGITTIME STABILITE DALLA LEGGE.


Oristano 29 ottobre 2025

Cari amici,

Con l’avanzare dell’età, una volta arrivati all’età della riflessione, credo che un po’ tutti si pongano il problema di “COME DIVIDERE E ASSEGNARE” il proprio patrimonio, faticosamente costruito in una vita di impegno e di lavoro. A quel punto, riflettendo, si arriva a fare "TESTAMENTO", stabilendo in che modo “DIVIDERE” questo sudato patrimonio. Il problema risulta alquanto difficile (le scelte non sono mai facili...), e, spesso, si arriva a fare testamento commettendo degli errori che poi inficiano quello che in realtà si voleva fare. Seppure disporre dei propri  beni con testamento sia un diritto, lo si deve fare nel pieno rispetto delle regole, nel senso che non si possono escludere gli eredi potenzialmente legittimati, ai quali sono riservate delle quote.

La normativa vigente, infatti, protegge soprattutto il coniuge e i figli, garantendo loro una quota minima dell’eredità, detta quota legittima. Questa tutela riguarda anche situazioni particolari, come quella del coniuge separato, che ha comunque diritto ad una parte dell’eredità. Per comprendere al meglio come funziona la divisione ereditaria, è opportuno conoscere alcune regole base: eccole. Partiamo con la "successione in assenza di testamento".

1- Se il defunto lascia un coniuge e un figlio, l’eredità viene divisa in parti uguali tra i due. 2- Nel caso di coniuge e più figli, ai figli spettano complessivamente i 2/3 dell’eredità, mentre il coniuge riceve il restante 1/3. 3- Se gli eredi sono solo figli e fratelli, l’eredità viene suddivisa equamente tra loro. 4- Quando sono presenti coniuge, fratelli e genitori, il coniuge ha diritto a 2/3 dell’eredità, mentre fratelli e genitori condividono 1/3 restante.

Queste sono le disposizioni che si applicano in assenza di testamento, ma chiariscono anche i limiti entro cui è possibile disporre dei propri beni in fase testamentaria. La quota legittima rappresenta la porzione del patrimonio che la legge riserva obbligatoriamente agli eredi legittimari. Chi scrive un testamento deve rispettare queste quote, poiché non è possibile disporre liberamente di tutta l’eredità. Ecco le quote minime tutelate dalla legge e quindi da rispettare.

1- In presenza di coniuge e figlio unico, a ciascuno spetta un terzo dell’eredità. Il terzo restante può essere destinato liberamente. 2- Se c’è un coniuge e più figli, al coniuge spetta un quarto del patrimonio, mentre ai figli va metà dell’eredità complessiva, libero il quarto rimanente. 3- Se c’è solo un figlio e nessun coniuge, il figlio ha diritto a metà del patrimonio, libera la metà rimanente. 4- In presenza di più figli senza coniuge, la quota legittima riservata ai figli è di 2/3 del patrimonio, libero 1/3 rimanente. Queste le percentuali che indicano la parte di patrimonio che non può essere toccata dal testatore a favore di altri soggetti. La parte residua, invece, può essere destinata secondo la volontà del testatore, ad esempio a persone estranee alla famiglia o a enti benefici.

Amici, Uno degli errori più diffusi è l’idea errata di poter escludere completamente dal testamento determinati eredi legittimi, ad esempio un figlio o il coniuge, senza considerare la quota legittima. Tale azione può comportare l’impugnazione del testamento e la conseguente apertura di una controversia legale, con il rischio che la volontà del testatore venga parzialmente o totalmente annullata. Un altro errore frequente è la scarsa conoscenza delle norme che regolano la materia, che porta a una stesura imprecisa o incompleta del testamento, con conseguenze negative per gli eredi.

Per poter lasciare i propri beni rispettando la legge, il consiglio è quello di rivolgersi a un professionista esperto in diritto successorio, in modo da poter redigere un testamento valido e sicuro. Per esempio, un genitore con un solo figlio che decide di redigere un testamento deve considerare che metà del patrimonio sarà automaticamente destinata al figlio, mentre solo l’altra metà potrà essere lasciata a terzi. Ignorare questa regola può causare contestazioni e ritardi nella distribuzione dell’eredità.

Cari amici, essere a conoscenza delle regole della successione, in particolare per rispettare le quote legittime, è indispensabile per chi vuole pianificare la propria eredità in modo consapevole, evitando di commettere errori che possono creare tensioni familiari e complicazioni legali.

A domani amici lettori.

Mario

martedì, ottobre 28, 2025

LA VITA DI RELAZIONE NELL'ATTUALE ERA IPER-TECNOLOGICA. ECCO COME I SOCIAL HANNO STRAVOLTO LA RELAZIONE SOCIALE: COMUNICHIAMO PER IMMAGINI, INCAPACI DI CONFRONTARCI, ASCOLTARE E ASCOLTARCI.


Oristano 28 ottobre 2025

Cari amici,

Lentamente ma inesorabilmente abbiamo smesso di relazionarci con gli altri, come da sempre si era fatto: con il dialogo, il confronto e l’ascolto. Nel presente millennio, è difficile vedere nelle piazze, nelle panchine, o durante le passeggiate, persone che dialogano piacevolmente tra loro, raccontandosi a vicenda fatti, avvenimenti e problemi. Cessate anche le conversazioni a distanza, in particolare col telefono, mentre prima erano il terreno naturale di scambio delle diverse situazioni personali vissute. Erano momenti reali di vita, seppure non in presenza ma con la voce, che, nella diversità delle intonazioni, con le immancabili esitazioni, i silenzi, le pause e le inflessioni, servivano a mostrare e a condividere con l’altro la propria condizione, bella o brutta che fosse.

Tutto questo oggi è solo un ricordo del passato! Ora le conversazioni sono state soppiantate dai brevi messaggi scritti o vocali, dalle foto con brevi commenti, quasi che la comunicazione spontanea fosse diventata obsoleta, un retaggio del passato, un rischio da evitare! Insomma, la comunicazione per immagini e brevi messaggi ha eliminato la sincera relazione sociale, perdendo quell’importante momento di confronto e di ascolto dell’altro, oltre che quello proprio di ascoltarsi! Si, i Social, oggi sono la forma più immediata di comunicazione, con l’alto rischio di farci perdere la capacità di “Ascoltarci e Ascoltare l’altro”!

Amici, questo modo nuovo di comunicare, sintetico e veloce, non concede tregua, e se un messaggio di testo appare troppo lungo, viene quasi sempre ignorato, dopo aver letto le prime righe, quasi richiedesse troppo impegno a leggerlo per intero! Lo si legge a tratti, saltando da un rigo all’altro, scansando frasi intere, e dettagli narrativi. È subentrata, insomma, una pigrizia collettiva, come se la vita fosse una corsa da vincere a tutti i costi! E succede a tutte le ore del giorno e della notte, in particolare sui nostri smartphone, quando il trillo dei messaggi continua senza sosta. Si legge l’incipit, si scorre il testo e si chiude con fastidio.

Ma ciò che forse sfugge a tutti noi è come la nascita e il consolidamento di queste “Relazioni telegrafiche”, sempre brevissime, stanno trasformando anche le precedenti relazioni faccia a faccia! Una volta sperimentata la brevità delle relazioni online, la velocità e l’interruzione continua finiamo per replicarla inconsapevolmente anche dal vivo. In questo senso, il legame tra comunicazione digitale e comunicazione fisica è biunivoco. Non è solo lo schermo a plasmare i nostri modi di parlare, ma sono le nostre abitudini quotidiane a confermare e rafforzare questi deleteri nuovi modelli comunicativi.

Si, amici lettori, giorno dopo giorno anche la conversazione fisica assume i tratti di una chat, fatta di battute brevi, poca attesa, minore profondità, ricerca dell’emozione istantanea. Sentenze preconfezionate chiudono inesorabilmente il discorso, anche nelle relazioni più intime, attraverso frasi come: “lo so perfettamente io sono fatto così”, “non sono d’accordo, allora non hai capito come sono”, troncando il confronto e abolendo il cambiamento condiviso. È il segno che le due dimensioni della comunicazione, quella digitale e quella reale, non viaggiano in parallelo, ma si intrecciano e si modificano reciprocamente, fino a creare aridi blocchi relazionali.

Molti sociologi e studiosi della comunicazione parlano di “SOCIETÀ DELLA DISATTENZIONE”, un contesto in cui la frammentazione informativa erode la capacità di concentrazione e, con essa, la qualità dei legami. Non a caso SHERRY TURKLE, pioniera negli studi sul rapporto tra tecnologia e relazioni umane già in epoca pre-covid, ha intitolato il suo libro “Insieme ma soli - Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri” (Einaudi, 2019). La Turkle insegna Sociologia della scienza e della tecnologia al MIT, e da decenni osserva come il digitale trasformi la psicologia sociale.

Cari amici, concordo sul fatto che viviamo una Società arida, quella che Riesman ha definito “LA FOLLA SOLITARIA”, nella quale, seppure virtualmente connessi con centinaia di persone, diventiamo progressivamente meno capaci di essere veri esseri sociali. Il triste risultato è che ci raccontiamo molto in modo arido, ma ci comprendiamo poco. La grande sfida della comunicazione contemporanea è recuperare la vera relazione sociale, fatta di attenzione all’altro, di dialogo vero, fatto principalmente di persona, attraverso un ascolto e uno spazio d’incontro autentico, vissuto senza fretta e senza clamore. Ne saremo capaci?

A domani.

Mario

lunedì, ottobre 27, 2025

UN CAVOLO ORIENTALE PARTICOLARE: IL “PAK CHOI”. ALQUANTO SALUTARE, E ORA COLTIVATO ANCHE DA NOI.


Oristano 27 ottobre 2025

Cari amici,

Che il CAVOLO sia un ortaggio alquanto salutare, amato e molto utilizzato, è una realtà inequivocabile. Sul cavolo e le sue grandi virtù ho già avuto modo di scrivere positivamente su questo Blog, come può andare a leggere chi clicca su questo link che riporta il mio post del 23 gennaio 2020: https://amicomario.blogspot.com/2020/01/il-cavolo-un-ortaggio-dalle-mille-virtu.html. Nella nostra cucina mediterranea sono ampiamente utilizzate numerose varietà di cavolo, le cui più note vanno dal cavolfiore al cavolo cappuccio, dal cavolo verza al broccolo. Ora, però, anche nei nostri territori si sta curiosamente inserendo un tipo di cavolo particolare, un ortaggio dal sapore esotico: il “PAK CHOI”, conosciuto anche come cavolo cinese.

Con il diffondersi della Globalizzazione, con la disponibilità di merci di ogni tipo provenienti da tutte le parti del mondo, ora questo cavolo orientale risulta presente anche nei nostri supermercati e nei negozi biologici italiani. Il PAK CHOI incuriosisce per la sua forma particolare, a metà tra un porro, un finocchio e un cavolo. È un ortaggio coltivato da secoli in Asia, in particolare  in Cina e nel sud-est asiatico, con una storia di coltivazione che risale ad almeno il V secolo a.C.

Il Pak Choi risulta molto apprezzato per il suo sapore delicato e la sua versatilità culinaria, considerato che può essere consumato sia crudo che cotto, abbinabile con una grande varietà di pietanze. Oggi risulta, come accennato, ben diffuso anche in Europa, dove è coltivato e consumato. Anche in Italia è da tempo coltivato in alcune regioni, in quanto sta diventando un ingrediente molto apprezzato in cucina, in particolare in quelle innovative, che amano sperimentare.

Amici, anche Il PAK CHOI come accennato prima appartiene alla famiglia delle brassicacee; il suo gusto risulta leggermente amarognolo, con un sapore fresco e croccante, con note che ricordano gli spinaci. È un ortaggio sano, che offre molti benefici al nostro organismo,  essendo molto ricco di vitamine e sali minerali: Vitamina A (benefica per pelle e vista), Vitamina C (antiossidante naturale che rinforza le difese immunitarie), Vitamina K (utile per le ossa e il sangue), oltre a Magnesio, calcio e selenio, minerali preziosi per cuore, per il sistema nervoso e le ossa.

Come per gli altri cavoli, il consumo di PAK CHOI fa bene all’organismo in quanto possiede proprietà antinfiammatorie, antietà e persino antitumorali; è, inoltre, ipocalorico (solo 13 kcal per 100 g), ha un basso indice glicemico ed è ricco di fibre, ideali per regolare la digestione e mantenere sotto controllo glicemia e colesterolo. In cucina il pak choi è molto versatile. Si può gustare crudo in insalata, saltato in padella o aggiunto a zuppe, minestre e piatti a base di carne, pesce o tofu. Perfetto nelle ricette stir-fry (è la frittura al salto, in inglese stir frying), una particolare tecnica di cottura cinese nella quale gli ingredienti sono fritti in una piccola quantità, può sorprendere anche in abbinamento a piatti mediterranei: saltato con olio extravergine d’oliva, aglio, peperoncino e un filo di salsa di soia, diventa un contorno sfizioso e salutare.

Amici, se ancora non lo avete provato, il mio consiglio è quello di iniziare a provarlo! Partite da un'idea fresca: preparate una insalata di pak choi, per accompagnare un secondo di carne o di pesce. Ecco come prepararla. Tagliate finemente il pak choi, aggiungete carota grattugiata e fettine di mango. Condite con una salsa ottenuta mescolando burro di arachidi, succo di lime, salsa di soia, miele e un pizzico di peperoncino. Gusterete un piatto leggero, colorato e pieno di energia.

Cari amici lettori, gli asiatici consumano il PAK CHOI da più di 1.500 anni. La cultura orientale, come ben sappiamo, è antica e raffinata, ed è sempre stata valida ed efficace. Consumare regolarmente questo particolare cavolo ci sarà utile anche per ritardare l’invecchiamento, abbassare il livello di zucchero nel sangue e allevia le infiammazioni. Credo, amici lettori, che questo cavolo sia proprio da provare e introdurre nella nostra dieta!

A domani.

Mario

domenica, ottobre 26, 2025

PERCHÉ DIVENTIAMO ABITUDINARI? ECCO LE MOTIVAZIONI CHE PORTANO IL NOSTRO CERVELLO A FARCI ADOTTARE LE ABITUDINI.


Oristano 26 ottobre 2025

Cari amici,

Credo che tutti noi, chi più chi meno, ogni giorno facciamo tante cose “PER ABITUDINE”. Lo stimolo a comportarci in un certo modo ripetitivo viene dal nostro cervello, che, essendo un organo che consuma molta energia, cerca sempre di automatizzare i comportamenti ripetuti per ridurre il dispendio energetico. Risparmiare energia risulta quindi basilare, e questo avviene trasformando i comportamenti ripetuti in processi automatici, che richiedono meno sforzo cognitivo, raggiungendo così lo scopo.

Il cervello umano è programmato per creare “Le abitudini” come una forma di efficienza cognitiva. Quando noi ripetiamo un'azione più volte, il nostro cervello trasforma quel comportamento in un'abitudine per risparmiare energia mentale e fisica. Questo processo si svolge nel ganglio basale, una parte del cervello associata alla gestione delle abitudini e delle azioni automatiche. Il neuropsicologo Donald Hebb ha sviluppato la teoria che "i neuroni che si attivano insieme, si legano insieme". Ciò significa che, quando ripetiamo un'azione, le connessioni neurali si rafforzano e il comportamento diventa sempre più automatico. Una volta creata, un'abitudine può essere attivata in risposta a determinati segnali ambientali, come l'ora del giorno o il luogo in cui ci troviamo”.

Amici, trasformare certe nostre azioni quotidiane in abitudini, non è solo questione di efficienza e di risparmio energetico, in quanto esse influenzano anche profondamente il nostro benessere psicologico. Creare routine che incorporano attività di cura di sé, come l'esercizio fisico o la meditazione, può ridurre lo stress, migliorare l'umore e aumentare la resilienza. Alcuni studi hanno dimostrato che le persone che seguono routine regolari hanno maggiori probabilità di raggiungere i propri obiettivi e mantenere uno stato di equilibrio emotivo.

Le abitudini positive, oltre a migliorare il nostro benessere mentale, giocano un ruolo cruciale anche nella produttività, in tutti i campi. Lo possiamo constatare negli atleti di alto livello, che sviluppano routine precise per allenarsi, mangiare e riposare, ottenendo il massimo delle prestazioni con il minimo sforzo mentale, così come nella vita lavorativa. Un comportamento di routine ben strutturato aiuta ad evitare la procrastinazione e migliorare la concentrazione. Le persone che sviluppano routine specifiche per affrontare le loro attività lavorative quotidiane risultano più efficienti e hanno meno probabilità di sentirsi stressate. Avere, per esempio, un orario fisso per determinati compiti può ridurre l'ansia e aumentare la qualità del lavoro.

Amici lettori, le abitudini, come detto prima, servono, da un lato, a creare al nostro cervello risparmio energetico, che, a sua volta, si sdebita dandoci, come ricompensa, della gratificazione: il cervello lo fa rilasciando della dopamina, ricompensa che può essere immediata o a lungo termine, rafforzando così il comportamento ripetitivo trasformato in un'abitudine. Questo processo neurologico, noto come "loop dell'abitudine", è fondamentale per mantenere e consolidare i nuovi comportamenti, rendendo gratificante la ripetizione dell'azione.

Per quanto ovvio, è giusto ribadire che, oltre le abitudini positive, esistono anche quelle negative. Le abitudini benefiche per il nostro cervello includono tutta una varietà di ripetizioni utili, come un sonno di qualità, un’attività fisica costante, la stimolazione cognitiva, una socializzazione costante, oltre ad una buona e salutare dieta, mentre sono numerose anche le cattive abitudini, che partono dalla sedentarietà e da una alimentazione scorretta, per arrivare ad una serie di “vizi” che vanno dal fumo all’alcool, fino alle droghe, da quelle leggere a quelle pesanti, tutti comportamenti deleteri per l’intero organismo. Per eliminare una cattiva abitudine bisogna, però, essere forti, ovvero capaci di resistere ai potenti segnali che la attivano ed alla ricompensa che se ne riceve.

Cari amici, cambiare abitudini, creandone delle nuove non è semplice, sia che intendiamo modificare quelle positive, sia che cerchiamo di eliminare quelle negative. Rompere una cattiva abitudine richiede la stessa attenzione e costanza necessaria per formare una nuova “buona abitudine”, ma con un'attenzione particolare alla gestione dei fattori scatenanti. Le abitudini e le routine, non dimentichiamolo mai, sono molto di più che semplici azioni ripetute: sono i mattoni su cui costruiamo la nostra vita quotidiana. Il potere delle nostre abitudini!

A domani, amici lettori.

Mario