Oristano 21 Novembre 2009
Percorrere i sentieri della rete è sempre stato per me un modo per rilassarmi ed allo stesso tempo soddisfare la mia inestinguibile curiosità.
Oggi mi sono imbattuto in una bellissima riflessione di Michela Murgia, sarda, appassionata, innamorata da sempre della Sua terra, la Sardegna.
La riflessione di Michela è riferita ad un luogo antico e sempre bellissimo: San Salvatore del Sinis. Un luogo che conosco bene, che adoro e che mi consente di fermarmi a pensare, riflettere.
Non aggiungo nulla alle Sue riflessioni. Grazie Michela!
Il Suo sito è sempre molto interessante ( http://www.michelamurgia.com/ ) e lo consiglio a tutti gli amici.
Ecco il "pezzo" di Michela.Geni della lampada (ho visto la luce a San Salvatore)
di Michela Murgia.
(Attenzione: contiene specifiche riflessioni sulla luce, ombelicalismi sullo spirito dei luoghi dove sono nata e rabbia per l'incapacità dichiarata di troppi sardi di passare sulla loro terra leggeri).
C'è un posto vicino a casa mia che si chiama San Salvatore. E' un classico paese novenariale campestre, cioè un agglomerato di case molto piccole (cumbessias) sorte per essere abitate dai cabraresi solo per 9 giorni all'anno, in corrispondenza della festa del santo a cui è dedicata la chiesetta che fa da baricentro alla località. E' un luogo di natura spirituale, dove il sacro ha radici visibili che si piantano nei millenni.
Per gli increduli ci sono anche le prove: sotto il pavimento della chiesetta attuale c'è infatti un ipogeo di presunta matrice pre-nuragica, a cui si è poi sovrapposto il culto nuragico delle acque, quello punico di Sid, probabilmente quello romano di Asclepio e infine la devozione al Cristo Salvatore che oggi dà il nome al paesino. Tutte le culture che ci sono entrate hanno riconosciuto la sacralità del luogo e l'hanno a loro modo rispettata, ricalcandola.
La magia del novenario di San Salvatore ha i tempi ritmati dalla preghiera: la messa, la via crucis e la novena al pomeriggio sono gli unici impegni comuni del giorno, il resto del tempo è riposo e amicizia, in una convivialità fatta di lente chiaccherate, di giochi di bambini sulla terra battuta, di penombre serali e di piccole case in piccolissime vie. Non ci sono negozi, non ci sono altre piazze che quella che fa da perno alle case, in cerchio come per un ballo. E' un paese sacro anche per questo, San Salvatore, perché è separato, distinto dal tempo e dai luoghi del lavoro e della vita più impegnata della quotidianità di Cabras; è un posto per permettersi anche il non far niente, il relax del silenzio e della socialità spontanea, non rituale, favorita dall'intimità forzata delle casette tenute in piedi l'una dall'altra. Chiamarle casette è relativo, in fondo metà degli appartamenti di Milano - compreso il mio - ha cubatura uguale o inferiore alle cumbessias di San Salvatore, ma è significativo che in questo microcosmo la dimensione angusta delle case sia la scusa per stare sempre sulla soglia, anzichè rintanati dentro come in un alveare. San Salvatore ha poi una sua luce, e questa luce è parte integrante della sua atmosfera. E' sempre stata fioca, discreta, affidata alle porte aperte e all'illuminazione interna delle case, costantemente accesa al servizio di un via vai continuo che da una soglia all'altra porta le persone a riprendersi il tempo per scambiare due parole, bere un bicchiere di vernaccia, condividere un dolcetto o un cucchiaio di gelato.
Il fatto che negli anni il carattere spirituale della permanenza nel paese si fosse via via sbilanciato in favore di una ben più laica voglia di festa aveva cambiato molte cose, ma non ancora quella: San Salvatore restava un paese in penombra, smorzato e pacifico, tutelato architettonicamente dalla Soprintendenza e vigilato nel resto delle cose dai suoi stessi fruitori tradizionali, gli orgogliosi padroni delle cumbessias. Poi domenica scorsa ci faccio una passeggiata, e trovo l'assurdo: dal terreno adesso spuntano decine di pali della luce a raggio intenso, alti più delle case, con tubi imponenti come tronchi e lampade a forma di cappello di gnomo che fanno una luce da stadio. E' il nuovo intervento di illuminazione del paese, mi dicono al bar centrale di Cabras con aria perplessa. Forse un po' fuori misura, azzarda qualcuno, per un paese abitato solo per una settimana. Quella luce è troppa, non serviva, aggiunge qualcun altro. Certo, belli di certo non sono, conclude uno che si sta pagando distrattamente il caffè. Pare che il sindaco Cristiano Carrus, interpellato in merito da un comitato spontaneo di cittadini sbalorditi, abbia risposto che l'intervento è la realizzazione di un progetto della giunta precedente - centrodestra l'una e l'altra - per di più approvato dalla Soprintendenza. Ora, io non so a chi dare la colpa di questo scempio spacciato per azione di servizio, ma mi sembra esemplare di un certo modo di stare al mondo, superficiale nel cogliere i significati delle cose e invasivo nel manipolare le forme in cui questi significati si esprimono, fino a soffocarli e renderli un sussurro distorto e deformato. Buon senso imporrebbe di levare subito quei cosi e porli a rimedio della penosa illuminazione cittadina di Cabras, lasciata scarsa probabilmente per celare la condizione ancora disastrosa del manto stradale urbano di tutte le vie principali. Per San Salvatore il rispetto del genius loci imporrebbe il ripristino delle tradizionali lampade col piatto di ferrosmalto, o ci resteranno da dire solo le parole de is coggius: Dulche Jesu Salvadore, sas offesas perdonade.
Michela Murgia
http://michelamurgia.altervista.org Realizzata con Joomla! Generata: 21 November, 2009, 16:36
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