Oristano 18 Gennaio 2019
Cari amici,
Monogami o infedeli,
ovvero bigami o poligami? Secondo i più recenti studi è la natura stessa,
ovvero il DNA a stabilirlo. Si, ormai appare certo, la sessualità è influenzata
dal DNA, anche se non tutti sono concordi nel dare tutta la colpa alla natura, perché
secondo alcuni, ferma l’influenza genetica, c’è da prendere in seria
considerazione anche quella ambientale, in quanto il comportamento è seriamente
influenzato dalle esperienze, dall'educazione e dall'ambiente in cui il
soggetto vive.
In effetti a ben
pensare, come sostiene un esperto il Prof. Giuseppe Novelli, sono valide
entrambe le influenze, ovvero il risultato è un mix di entrambe. Secondo il professore
“I
geni sono l'hardware che regola le scelte e i comportamenti sessuali di base, mentre
l’educazione, l’esperienza, e le relazioni sociali rappresentano invece il
software”. In parole povere la genetica ci dà il comportamento di base,
mentre le esperienze che si vivono nel contesto ambientale dove viviamo e ci
relazioniamo, sono in grado di plasmare e modificare la predisposizione
genetica.
Il prof. Novelli, Rettore
dell'Università di Tor Vergata di Roma, con la collaborazione del dottor
Emmanuele Jannini, ha recentemente pubblicato su Sexual Medicine Review uno
studio intitolato “Genetics of Human Sexual Behavior: Where We Are, Where We
Are Going”, il cui scopo era quello di spiegare quali tipi di influenza possa
avere il DNA sui comportamenti sessuali degli esseri umani.
Uno studio molto più a
largo raggio, invece, è stato effettuato da un team di ricercatori dell’Università
di Austin, che ha analizzato l’evoluzione di diverse specie di vertebrati,
scoprendo un elemento comune alla base della monogamia. Secondo lo studio,
pubblicato su 'PNAS’, l’Accademia delle Scienze Americana, la monogamia, nel
regno animale, è associata a un’unica formula genetica universale; gli esperti,
inoltre, hanno scoperto che la presenza della formula genetica può rendere
monogame anche le specie precedentemente poligame. Vediamo come.
Gli esperti hanno cercato
di ricostruire la storia evolutiva di 10 differenti specie di vertebrati, come
rane, pesci e uccelli, analizzando un arco temporale di 450 milioni di anni. Poi,
con l’utilizzo di un supercomputer, che ha facilitato enormemente il loro
operato, essi hanno selezionato come “monogame” tutte quelle specie di animali
nelle quali gli esemplari maschi e femmine si occupavano delle cure parentali e
stabilivano quindi una salda relazione di coppia che perdurava almeno per una
stagione di accoppiamento.
Da questo comportamento
gli studiosi hanno rilevato quindi che la monogamia è una caratteristica che
spesso compare nel percorso evolutivo delle specie per coadiuvare la
sopravvivenza delle nuove generazioni. Come ha spiegato Rebecca Young,
coordinatrice della ricerca ed esperta dell’Università di Austin “Il
nostro studio ha analizzato 450 milioni di anni di evoluzione, dal tempo in cui
tutte queste specie condividevano un antenato comune”.
Questo interessante
studio, amici, ha praticamente rilevato che la monogamia è strettamente legata
alla sopravvivenza della specie, tanto che la necessità di procreare una nuova
generazione di individui può rendere monogame anche le specie precedentemente
poligame. La monogamia è dunque associata a specifiche necessità riproduttive.
Questo processo complesso, ovvero la comparsa della monogamia nel percorso
evolutivo di diverse specie, è associata all’alterazione di 24 specifici geni,
preziosi nello sviluppo cerebrale di ogni individuo. Queste unità ereditarie
regolano i circuiti della memoria, i processi cognitivi e l'apprendimento.
Cari amici, scoperto
dunque che anche il nostro DNA umano è in gran parte responsabile della nostra
tendenza monogama o poligama, vediamo qualche altro studio sul comportamento della
nostra specie. Un altro studio pubblicato sulla rivista Nature ha cercato di ricostruire
l'origine della scelta monogamica nell’uomo, arrivando a stabilire che le
relazioni monogamiche si concretizzano non per amore o passione, ma per mero
spirito di sopravvivenza.
Secondo lo studio
condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università canadese di Waterloo sotto
la direzione di Chris Bauch, la transizione dalla poligamia alla monogamia nella
specie umana avrebbe avuto origine da ragioni sanitarie e non certo affettive o
ideologiche; nella nostra specie i maschi, resisi conto fin da epoca
preistorica che la poligamia ampliava i rischi di contrarre serie malattie sessuali
(che compromettevano la trasmissione della specie), sacrificarono la propria
indole cacciatrice, accontentandosi di un’unica compagna per la vita, riducendo
così il rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili.
Lo studio, condotto insieme
a Richard McElreath del Max Planck Institute, ha rivelato che quando le
dimensioni della popolazione diventano più grandi, la presenza di malattie
sessualmente trasmesse riduce i tassi di fertilità in particolare tra i maschi
con più partner. Quindi – devono aver intuito già i nostri antenati –
modificare questo comportamento risultava più vantaggioso sia per i singoli che
per il gruppo.
Cari amici, credo che
questi studi deludano non poco i convinti del “grande amore”, quello unico e incondizionato
verso la loro compagna di vita. Essere monogami, non è frutto dunque di grandi
amori e passioni, o di convincimenti sociali o religiosi: a spingere l’uomo a
scegliere la monogamia al posto della più godereccia poligamia sarebbe stata
(almeno in passato) la paura di ammalarsi e di non poter trasmettere i propri
geni alla generazione successiva.
A domani, amici.
Mario
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