Oristano
28 Febbraio 2018
Cari amici,
Voglio chiudere le mie
riflessioni relative al mese di Febbraio trattando un argomento non proprio
facile: quello del nostro Sistema Carcerario. Come
è visto dal mondo dell’informazione il soggetto che sbaglia? Come viene riportata la notizia sui Media? La domanda, contenuta anche nel
titolo di questo post è “Chi fa
informazione quando riporta i fatti delittuosi che portano alla carcerazione,
riesce a farlo in modo obiettivo?
La domanda sostanzialmente è di grande complessità, ma altrettanto lo è la risposta. Ciascuno di noi operatori della comunicazione difficilmente riesce (quando si accinge a scrivere un pezzo) a farlo in modo asettico, privo di influenze, in quanto qualsiasi cosa che diciamo o scriviamo risulta viziata dal nostro sentimento, dalle nostre convinzioni, che, anche volendo, entrano subdole in quello che scriviamo, non riescono perciò a restarne fuori, contaminando i fatti, in particolare quelli particolarmente negativi.
La domanda sostanzialmente è di grande complessità, ma altrettanto lo è la risposta. Ciascuno di noi operatori della comunicazione difficilmente riesce (quando si accinge a scrivere un pezzo) a farlo in modo asettico, privo di influenze, in quanto qualsiasi cosa che diciamo o scriviamo risulta viziata dal nostro sentimento, dalle nostre convinzioni, che, anche volendo, entrano subdole in quello che scriviamo, non riescono perciò a restarne fuori, contaminando i fatti, in particolare quelli particolarmente negativi.
Per approfondire
l’argomento l’Ordine dei giornalisti della Sardegna, l’UCSI Sardegna e la
Delegazione regionale Caritas Sardegna, hanno organizzato dei Seminari
interessanti, dedicati in particolare alle giovani leve del giornalismo. Tema
principale l’informazione corretta, ovvero: “E'
possibile raccontare il carcere senza pregiudizi, parlare con cognizione di
causa delle condizioni di vita dei detenuti e dei familiari che li attendono
fuori?”. Una domanda questa che ha contribuito a dare il titolo a questi incontri:
“Informare
dentro e fuori il carcere: la centralità della persona nel racconto dei media”.
Gli incontri in calendario dei primi 2
Seminari previsti, si sono svolti Lunedì 26 Febbraio (dalle ore 14 alle 17) a
Lanusei, nella sede della Caritas diocesana, e Martedì 27 Febbraio, (sempre
dalle 14 alle 17) a Oristano, nella ex Chiesa di San Domenico, in via
Lamarmora. Entrambi i seminari davano ai giovani partecipanti il diritto a 5
crediti formativi. Personalmente ho partecipato al Convegno di Oristano, e
posso dirvi che ho ascoltato con grande attenzione e interesse, in considerazione
anche della presenza di relatori qualificati, che hanno messo in luce due
fattori importanti: lo stato attuale del sistema carcerario e quello
dell’informazione, relativa a questo particolare settore.
In apertura dei lavori,
moderati da Francesco Birocchi,
Presidente dell’Ordine dei Giornalisti Sardegna, hanno portato il loro saluto
Mons. Tonino Zedda, cerimoniere vescovile e V. Direttore del settimanale
l’Arborense, latore anche del saluto dell’Arcivescovo, assente da Oristano, Giovanna
Lai, Direttrice della Caritas diocesana di Oristano e Andrea Pala, presidente
UCSI Sardegna. Nel discorso d’apertura Birocchi è partito dal concetto che in
un settore delicato come quello della carcerazione, fare un “giornalismo
corretto” risulta essenziale. Scrivere, spesso con grande risalto, notizie
sibilline e spesso fuorvianti, crea situazioni deprecabili che incitano
l’opinione pubblica ad esprimere giudizi sommari, a condannare prima che lo abbiano fatto le
strutture preposte a farlo.
Dopo di Lui si sono
alternati Gloria Sardara, educatrice in servizio al carcere di Massama, Daniele
Pulino membro dell’Osservatorio dell’Associazione Antigone (che ha evidenziato
il ruolo svolto dall’associazione nella verifica delle condizioni carcerarie e
del rispetto dei diritti umani in carcere), Ornella Favero, Presidente della
Conferenza nazionale volontariato e giustizia (CNVG) e direttrice della rivista
Ristretti Orizzonti.
La Favero, nella sua relazione,
ha affermato che la cattiva informazione ha contribuito non poco a creare
nell’opinione pubblica il concetto che il carcere è qualcosa “che non ci
riguarda”, che non interessa “noi cittadini per bene”. Concetti terribilmente
errati, in quanto il carcere non è pieno di essere immondi, totalmente
irrecuperabili dalla società civile, ma, spesso, al suo interno, contiene anche
persone normalissime che per una serie di circostanze possono aver sbagliato.
E, comunque, tutti hanno pieno diritto ad una giustizia non tanto solo ed
esclusivamente retributiva (pagare il debito con la giustizia), ma soprattutto
riparativa (ovvero rieducativa).
La Costituzione
italiana (art 27), non dimentichiamolo, dice chiaramente che “le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del
condannato”. Il carcere, però, nel nostro Paese continua a far discutere e
a dividere. Non tutti conoscono veramente le problematiche dei carcerati e dei
loro familiari. E proprio per questo che una cattiva informazione, spesso, riesce a
“costruire” la paura sociale nei confronti di chi ha sbagliato, facendo
riferimento solo alla condanna (ritenuta molto spesso inadeguata) e non alla
possibile rieducazione del condannato. Birocchi nei suoi interventi, effettuati tra un
relatore e l’altro, ha messo in evidenza che la privazione della libertà non dovrebbe
mai significare la privazione dei diritti, che anche in carcere debbono essere sempre
salvaguardati: diritto alla dignità, alla salute, al rispetto, agli affetti,
etc.
La Favero, riferendosi
alla grande quantità di informazione
scorretta che risulta circolante in abbondanza, ha detto che fare informazione spettacolo è deleterio,
condannabile; chiunque faccia informazione dovrebbe uscire dalla superficialità
per calarsi in profondità nella realtà concreta, non in quella apparente,
spettacolare. Usando Pirandello ha detto che bisognerebbe “camminare nelle scarpe dell’altro”, per capire.
Il discorso è poi
scivolato sulle possibili pene alternative alla carcerazione, oggi assolutamente necessarie, visto che
le strutture carcerarie sono diventate ormai una vera scuola di delinquenza; il
condannato, dopo aver scontato la pena, esce dal carcere più criminale del
giorno in cui vi era entrato. Adottare la nuova metodica delle pene alternative
(ove possibile), migliorando, in particolare per i giovanissimi, l’istituto
della “messa in prova”, potrebbe sicuramente
migliorare la nostra situazione giudiziaria-carceraria, che al momento non
brilla certo per iniziative concrete.
L’interessante seminario,
che ha messo a fuoco anche la reale situazione esistente nel nostro carcere di
Massama, si è chiuso con un partecipato dibattito.
A domani.
Mario
Casa Circondariale di Massama (OR)
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