Oristano 7 Febbraio 2018
Cari amici,
Che la nostra generazione
sia l’ultima ad aver raggiunto un livello economico, anche se modesto, superiore a quello
della generazione precedente è una realtà inequivocabile. Quella successiva
(ovvero quella dei nostri figli) nella migliore delle ipotesi galleggerà
utilizzando le nostre risorse, con una previsione futura ancora più buia per le
successive generazioni. La mia riflessione di oggi, però, non vuole essere un anatema, una maledizione contro gli autori di una simile disfatta, una richiesta di punizione
contro i possibili colpevoli, ma solo una riflessione con Voi, per cercare di capire come possa
essere affrontato e possibilmente risolto il grave problema che si è creato; una per tutte: restare
al lavoro oltre i 70 anni, con i giovani che arrancano in cerca di un lavoro
che non trovano, anche se altamente qualificati, a me sembra non solo aberrante ma addirittura cervellotico.
I tristi provvedimenti economici
presi in Italia negli ultimi anni, effettuati soprattutto per mettere in
sicurezza i conti dell’INPS, se da un lato hanno algebricante (anche se parzialmente) risolto il
problema immediato, in effetti non hanno trovato la “quadratura del cerchio”, non hanno risolto un bel niente, in
quanto per farlo hanno sottratto il lavoro alle nuove generazioni. I nostri
giovani, in gran parte colti e preparati, quel poco di lavoro che trovano lo praticano in maniera discontinua
e precaria, continuando a vivere nella famiglia d'origine (che li sostiene) anche con l’avanzare
dell’età. Tutto questo non fa che aggravare il problema, se pensiamo al loro futuro: agli scarsi guadagni
di oggi seguirà, domani, un misero assegno pensionistico, troppo basso anche per vivere modestamente.
L’attuale Presidente
dell'Inps Tito Boeri, parlando delle previsioni effettuate dall’Ente che
amministra, ha sostenuto che i 30-35 enni di oggi riusciranno a percepire la
pensione praticamente dopo il 70° anno di età, con un futuro assegno
pensionistico inferiore di almeno il 25 per cento, rispetto a quello che
viene percepito oggi con pari anzianità contributiva. Si, amici, la sicura tranquillità
pensionistica, che per molti anni ha dato certezze ai lavoratori dipendenti sia
del settore pubblico che di quello privato, è ormai solamente un ricordo.
Personalmente il
vecchio sistema l’ho toccato con mano. Sono andato in pensione 15 anni fa,
utilizzando il famoso binomio 57 anni di
età e 35 di contributi. Erano gli anni in cui i pubblici dipendenti
potevano addirittura godere dell’assegno pensionistico con soli 19 anni 6 mesi e 1 giorno
di servizio, a qualsiasi età! Insomma anni d’oro quelli passati (forse anche esagerati), che i giovani
di oggi considerano gli anni del Bengodi in Italia. Con l’approvazione della Legge Fornero e l’aumento dell’età pensionabile, a cui ha fatto seguito l’introduzione
del solo sistema “contributivo” al posto di quello “retributivo” (sino a pochi anni
fa vigente in coabitazione col contributivo), calcolare l’importo dell’assegno
pensionistico che percepiranno i millennials appare impresa ardua, un vero
rompicapo, e ipotizzare quale sarà la loro pensione tra venticinque o trent’anni, è come vincere alla lotteria.
L’unica cosa certa è che sarà molto modesto.
Un recente rapporto
dell’Ocse mette in guardia sulle condizioni di vita che i giovani di oggi
dovranno affrontare durante la loro vecchiaia. Se in tutti i Paesi avanzati lo
stato di salute e il livello di reddito delle persone anziane fino ad oggi sono notevolmente
migliorate, non è affatto detto che il trend resti positivo
anche nei prossimi anni. Lo stesso miglioramento non si è visto infatti nelle
condizioni dei giovani: basti dire che dalla metà degli anni Ottanta a oggi il
reddito del gruppo di individui nella fascia di età compresa tra i 60 e i 64
anni è cresciuto in Italia del 25 per cento in più rispetto a quello del gruppo
di età 30-34. Un divario particolarmente elevato se si pensa che in media nei Paesi
Ocse è stato del 13 per cento e che nei Paesi anglosassoni la differenza è a
sfavore degli anziani.
Credo che uno dei
compiti più importanti del nuovo Parlamento che nascerà in Primavera, sarà quello
di trovare un sistema che agevoli il lavoro giovanile; solo se i giovani verranno
pienamente inseriti nel processo produttivo, il sistema economico del Paese riprenderà
a pulsare, e, di conseguenza, anche il loro futuro sarà meno incerto. Ben vengano quindi le
misure legislative capaci di aprire ai giovani le porte delle aziende,
garantendo adeguati sgravi contributivi per la loro assunzione. È tempo che il
precariato (tra l’altro scarso e mal pagato) lasci posto ad un lavoro
continuativo che dia certezze e sicurezza, viatico necessario per la
costituzione di famiglie che non abbiano più paura di fare figli. L’Italia è
diventata una nazione con un calo di nascite particolarmente grave.
Cari amici, è triste osservare
il panorama del lavoro giovanile in Italia: uno stuolo di giovani che oscillano
tra disoccupazione e lavoro precario, con i migliori che lasciano il Paese. Insomma, questa è la triste realtà: disoccupati da giovani,
pensionati (alla fame), forse, domani. In tanti si domandano: Quale sarà il futuro dei nostri giovani? Come sarà la vecchiaia di questi millennials? Domande pesanti, senza risposta, anche se la
previsione, come detto, è tutt’altro che serena. E la nostra generazione, purtroppo, di colpe ne ha tante!
I giovani, intanto, ci guardano in modo non certo benevolo; quando affermano che noi abbiamo rubato loro il futuro, non è che abbiano tutti i torti…
A
domani.
Mario
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