Oristano 7 Gennaio 2018
Cari amici,
In Italia
non sono rari certi “pasticciacci
brutti” che, purtroppo, succedono quando si decide di eliminare qualcuno o qualcosa,
senza aver stabilito a priori “CHI E COME” dovrebbe proseguire l’attività prima
svolta dalla persona o dall’Ente soppresso. È successo così anche per le
Province, parzialmente cancellate da una legge dello Stato ma che concretamente
non hanno mai smesso di funzionare, se non altro perché l’iter di “trapasso” previsto
non si è potuto concludere.
“Abbiamo abolito le
Province, vado avanti come un rullo compressore”,
ebbe occasione di dire con enfasi Matteo Renzi il 3 Aprile del 2014 dopo che il
Parlamento aveva approvato il disegno di legge di Graziano Delrio che, in
realtà, cancellava le Province solo di nome. Questi organismi, previsti nella
nostra Costituzione, si dovevano trasformare in Enti di secondo livello, quindi
non eletti direttamente dai cittadini, rimandando però la loro chiusura alla
riforma costituzionale che allora era in discussione in Parlamento.
Poi, come
ben sappiamo, la solenne bocciatura dal referendum costituzionale del Dicembre
successivo bloccò tutto, lasciando le Province in un ‘limbo’, che praticamente
può essere paragonato ad un coma profondo. Enti che malgrado tutto sono sopravvissuti,
ma guarda caso privati delle risorse necessarie al loro funzionamento! Ora, in
gran parte agonizzanti, senza un soldo in cassa, cercano in qualche modo di
continuare a gestire l’emergenza, soprattutto considerato che si ritrovano in
carico oltre 130 mila chilometri di strade provinciali e ben 5.100 scuole
superiori italiane dentro le quali studiano 2 milioni e 500 mila ragazzi.
In questo caos
amministrativo, i Commissari che le guidano, raccolti nell’UPI, Unione delle
Province italiane, hanno minacciato di denunciare il Governo alle diverse
Procure per inadempienza. Tre, nel frattempo, sono fallite: Biella, Caserta e
Vibo Valentia; altre 14 sono state obbligate a fare ricorso alle procedure di dissesto, cercando di ‘galleggiare’, ad un passo dalla bancarotta, e provando ad
alienare dei beni di proprietà mediante l'utilizzo delle procedure di riequilibrio
finanziario pluriennale.
Dopo le innumerevoli,
giustificate minacce, le Province, rimaste in vita ma svuotate di gran parte
sia dei finanziamenti che del personale, con l’urgenza di tamponare le falle
sia delle strade che delle scuole, pare che abbiano trovato finalmente una prima boccata d’ossigeno. Hanno trovato
una certa accoglienza nella Manovra finanziarie 2018, all’interno della quale vi è
contenuto un emendamento che consente alle Province di poter ampliare il
proprio bacino di impiegati tale da poter garantire "un ottimale esercizio
delle funzioni fondamentali".
È questo certamente un primo
passo, fatto per “rimediare” agli errori della fretta, che, come spesso capita,
decide la soppressione di un Ente, senza aver prima stabilito “come e a chi”
travasare compiti e responsabilità precedentemente in carico all’Ente in soppressione. Così,
dal 2018 le Province potranno riprendere a vivere, anche se a stecchetto:
potranno assumere nuovi dipendenti per rimpiazzare quelli andati in pensione o
trasferiti ad altri Enti, e riprogrammare gli interventi più urgenti nel campo della
viabilità e dell’edilizia scolastica.
Toccherà, poi, al nuovo
Parlamento, che uscirà fuori dalle elezioni del 4 Marzo 2018, procedere ad una “vera
riforma” delle Province, in sostituzione della parziale Legge/riforma Delrio
dell’Aprile 2014, rimasta monca. I nuovi Enti intermedi, che si chiamino Province, Aree
Metropolitane o quant’altro, poco importa; anche che siano elettivi o di 2°
livello (composti magari dai sindaci del territorio) non cambia la sostanza
delle cose: l’importante è che si facciano carico delle pesanti e delicate competenze
in materia di edilizia scolastica, tutela e valorizzazione dell’ambiente,
trasporti e strade provinciali. In capo al nuovo Ente dovrà esserci anche il
“controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale” e la
“promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale”.
Cari amici, credo
proprio che gli errori, specie per la fretta, si paghino sempre. L’ho detto
aprendo questa riflessione e lo dico ora in chiusura: cambiare le cose certamente si può
e qualche volta si deve; tuttavia, prima di optare per una chiusura o una
trasformazione, è necessario stabilire “a priori” chi si dovrà occupare dei
compiti precedentemente in capo all’Ente in chiusura o in trasformazione. La
cosa mi sembra così logica, da non aver bisogno di commenti!
Però,
spesso, in politica la logica non è 'pane quotidiano' e pertanto (per motivi che possiamo immaginare) risulta alquanto assente…
A domani.
Mario
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