Oristano
22 Gennaio 2018
Cari amici,
Nonostante
un’innovazione sempre più spinta, che ha catapultato prepotentemente “la robotica e
l’intelligenza artificiale” nel mondo del lavoro, sostituendo con i Robot in modo massiccio fasce sempre più grandi di lavoratori, quest’argomento
risulta nella dialettica politica quasi assente. Eppure, secondo le previsioni,
l’utilizzo delle macchine sempre più autonome e sofisticate al posto dell’uomo,
comporterà nei prossimi anni ulteriori drammatici tagli all’occupazione. Si, la
campagna elettorale, ormai già in atto, sembra ignorare questo problema, anche se
mancano solo un paio di mesi al voto.
Pur non mancando i soliti
e ripetuti motivi del contendere tra
i diversi schieramenti, gli argomenti sul tappeto sono sempre ancorati “al vecchio”, agli schemi
obsoleti del secolo scorso. Si passa dalle critiche per richiedere la modifica
del Jobs Act, al tentativo di eliminare l’euro, dall’immigrazione da
contrastare alla concessione dell’Ius soli, dalla riduzione delle tasse ai
lavoratori e alle imprese, alla revisione pensionistica. Nessuna proposta,
invece che riguardi apertamente i problemi che già stanno incominciando a sorgere
anche in Italia circa l’avvento e l’utilizzo sempre più massiccio dei robot e dell’intelligenza
artificiale.
La campagna elettorale,
insomma, evita un argomento a dir poco spinoso, che tuttavia senza interventi
ci cadrà addosso come un gigantesco maglio, schiacciando inesorabilmente le
nostre speranze di salvaguardare l’occupazione, in particolare quella
giovanile, giunta ormai a livelli decisamente preoccupanti.
A volte viene da pensare che possa essere un “ignorare voluto” (almeno così appare), nonostante l’Unione Europea invece si appresti a varare un imponente piano strategico inerente proprio “la robotica e l’intelligenza artificiale”, un vero piano d’azione che sarà presentato nel prossimo mese di Aprile.
A volte viene da pensare che possa essere un “ignorare voluto” (almeno così appare), nonostante l’Unione Europea invece si appresti a varare un imponente piano strategico inerente proprio “la robotica e l’intelligenza artificiale”, un vero piano d’azione che sarà presentato nel prossimo mese di Aprile.
Strategia, quella
europea, che tiene già conto della realtà: l’Europa come è noto non è rimasta
indietro nell’innovazione e nella tecnologia: compete infatti ad armi pari con
i Paesi del Sol Levante, Cina e Giappone. È proprio la Cina, quella che nelle
previsioni in questo 2018 supererà l’Europa come numero complessivo di robot
utilizzati nelle fabbriche e questo fatto ha spinto Bruxelles a rilanciare, mettendo
sul tappeto il nuovo piano strategico per competere al meglio. Una guerra,
quella in corso, forse anche aspra, il cui esito stabilirà se l’Europa potrà
continuare ad essere leader nell’economia futura del Millennio.
Tra i Paesi facenti
parte dell’Unione Europea la Germania è la nazione che occupa tecnologicamente
il primo posto, ma l’Italia si colloca comunque in buona posizione, tra le
prime. Le nostre fabbriche sono tecnologicamente valide e avanzate, con una
buona automazione robotica competitiva. La realtà è che l’automazione con l’avvento dell’intelligenza artificiale
si estenderà praticamente a macchia d'olio, fagocitando tutti i settori produttivi, anche quelli
finora rimasti immuni dall’innovazione.
Sulla prevedibile
cancellazione dei numerosi posti di lavoro carpiti dalle macchine, ho già avuto
modo poco tempo fa di intervenire con una riflessione su questo blog. Chi fosse
interessato può andare a vedere quanto da me scritto in data recente (il 1 Gennaio di
quest’anno); ecco il link: http://amicomario.blogspot.it/2018/01/il-futuro-del-mondo-del-lavoro-se-il.html.
Ciò nonostante, nella attuale campagna elettorale, che appare tra l’altro molto
aspra e che verrà combattuta senza esclusione di colpi, di questo serio
problema, a mio avviso davvero drammatico, poco si parla anche se riguarderà la
pericolosa, ulteriore scomparsa di numerosi posti di lavoro.
Da un lato, con
l’avvento delle macchine intelligenti la produttività industriale crescerà
ancora considerevolmente, ma con effetti collaterali disastrosi, perché l’avanzare
continuo delle macchine farà collassare l'attuale sistema del lavoro, cancellando ulterioriormente fasce sempre più numerose di lavoratori.
Secondo un recente studio del Club
Ambrosetti gli italiani destinati ad essere sostituiti dalle macchine nei
prossimi 15 anni saranno ben 3 milioni. E la previsione potrebbe addirittura
essere sottostimata.
Cari amici, trasformazioni epocali
di questo tenore, avrebbero dovuto portare anche ad un cambio rivoluzionario degli
attuali schemi di formazione professionale, ma così non è stato. Il problema è serio
e molto complesso. A quelli che paventano un drastica riduzione degli occupati,
si contrappongono diversi economisti che sostengono invece che il saldo
occupazionale causato dall’introduzione dell’innovazione tecnologica, non sarà
negativo. Alla soppressione di tanti posti di lavoro di vecchio tipo, si
ipotizza che verranno sostituiti da nuovi e diversi mestieri, che però, per essere svolti,
richiederanno competenze diverse da quelle attualmente possedute; da ciò ne deriva che sarà
necessario mettere sul tappeto scuole di formazione altamente specializzate e
qualificate.
Secondo gli studiosi però
l'Italia allo stato attuale non è in grado di istruire adeguatamente i propri
giovani, fornendo loro le competenze necessarie per i nuovi lavori previsti in
futuro. Questo fatto è emerso dal report dell’Ocse “Education at a glance 2017”, che ha monitorato lo stato dell’arte
dell’educazione nelle economie avanzate. Per noi le risultanze sono state alquanto
impietose: su 100 italiani solo 18 sono in possesso di una laurea, pari alla
metà della media dei Paesi industrializzati; pensate che è il dato più basso
dopo quello del Messico. A questo bisogna aggiungere anche che solamente il 25
per cento degli studenti ha scelto corsi di studio STEM (scienze, tecnologia,
ingegneria, matematica), che sono quelli più richiesti dalle aziende che fanno
innovazione. In Germania, giusto per fare un confronto, il dato sfiora il 40%.
Cari amici, nonostante
questa impietosa analisi, nessuno dei vari schieramenti politici che si
contendono la vittoria alle prossime elezioni, ha messo sul tappeto questo
serissimo problema. Solo l’ex Presidente del Senato Pietro Grasso ha parlato di
formazione e di taglio delle tasse universitarie, ma senza parlare del fatto che
l’Italia è ultima nell’area OCSE per la quota di spesa pubblica destinata a
scuola e università: un misero 7,1 per cento del totale, con una diminuzione
addirittura di quasi un 10 per cento dello stanziamento rispetto al 2010. La
considerazione finale è che il futuro della nostra economia non appare certo
roseo.
Credo che ogni
ulteriore commento potrebbe apparire solo superfluo.
A domani.
Mario
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