Oristano
24 Novembre 2014
Cari amici,
il cibo, ovvero il
nostro quotidiano carburante, assolutamente necessario per la nostra
sopravvivenza, non è solo qualcosa che deve nutrirci, ma anche appagare la gran
parte dei nostri sensi: la vista, il tatto l’olfatto, oltre che le papille
gustative all’atto dell’introduzione nel nostro corpo. Nel tempo l’alimentazione,
da semplice nutrimento (pensiamo a quando l’uomo si alimentava staccando la
frutta dagli alberi o mangiando gli altri vegetali o prodotti animali sia crudi
che cotti), si è arricchita di una parte di esteriorità, di una scenografia che
assegnava al cibo non solo quel necessario ruolo “alimentare” ma anche uno
diverso, a se stante, capace di soddisfare gli altri bisogni sensoriali insiti
nell’uomo. Il cibo, dunque, visto anche come grande prodotto artistico della
natura, con i suoi colori, odori, sapori.
Ma l’uomo, abituato da
sempre a non dare tutto per scontato, non si è limitato a prendere semplicemente
quello che la natura gli offriva spontaneamente, ma si è sempre cimentato nell’arte
della “trasformazione”. Il cibo prima consumato allo stato naturale o trasformato
con l’acqua e il fuoco, lentamente ha continuato a subire trasformazioni
incredibili, miscelando insieme prodotti diversi, e creando “piatti” sempre
nuovi, capaci di soddisfare i gusti più disparati. I maghi di queste
trasformazioni, principalmente i cuochi, si sono sbizzarriti non solo negli
abbinamenti tra i diversi alimenti ma anche nella presentazione a tavola: con
creazioni diversissime e spesso spettacolari.
Alle persone, specie a
quelle che quotidianamente lo maneggiano per professione, piace giocare con il cibo, oltre che farlo mangiare.
Gli alimenti, infatti, stimolano la creatività dei cuochi e regalano loro
l’idea di avvicinarsi ai grandi nomi della gastronomia contemporanea. Nomi
noti: dalla troika di Masterchef (Carlo Cracco, Giuseppe Barbieri, Joe
Bastianich) a Davide Oldani, da Massimo Bottura al terribile maestro Antonino
Cannavacciuolo, dall’estrema creatività di Ferran Adrià alla rassicurante
cucina di tutti i giorni di Benedetta Parodi o di Gianfranco Vissani.
In cucina, cari amici, emerge
una grande creatività visiva: che non consiste solo nel presentare il piatto
con gusto e fantasia, ma nella capacità di trasformare un alimento o una
portata in qualcosa di incredibilmente fantasioso. E’ nata così nel tempo, praticata
non solo dai cuochi ma dai vari amanti dell’arte degli alimenti, quella che
viene definita la Food Design, ossia
la capacità di modellare il cibo, per ottenere, con le necessarie opportune
modifiche, opere d’arte simili a sculture.
Le origini di quest’arte
hanno radici lontane. Possiamo definire l’Arcimboldo, noto pittore del 1500, il
precursore di questa disciplina. Egli utilizzava la frutta per comporre
porzioni di volto e particolari del copricapo o dei capelli. Venendo
ai giorni nostri, sono ormai innumerevoli gli artisti che manipolano frutta e
verdura: ne nomino alcuni come ad esempio Rita
Loccisano di Visual Food Design, Dan
Cretu, fotografo rumeno che utilizza alimenti per dar vita a opere
singolari, Sakir Gökçebag, scultore di
bellissime geometrie di frutta e verdura e Brock
Davis, capace di ricavare da un cetriolo un’orca e da un cavolfiore ricreare
l’esplosione del dirigibile Hindemburg, o il disastro di Nagasaki.
Alimenti, dunque,
utilizzati per la creazione di opere d’arte: un modo per soddisfare tutti i
sensi dell’uomo, nessuno escluso. Il libro Wild
Art, scritto dagli storici d’arte
Joachim Pissarro e David Carrier, celebra l’uso del cibo come mezzo per creare
ritratti e sculture, al posto di pittura, argilla, bronzo, acciaio. Non solo
tempera e acquarelli, dunque, perché la vena creativa si può esprimere anche
usando verdure, pasta e cereali al posto di tela e pennello, come dimostra questo
libro, edito da Phaidon, un volume a 360 gradi sull’arte “non addomesticata”,
che dedica diverse pagine a opere d’arte contemporanea fatte di cibo.
I due autori sono
partiti da un assunto: perché alcune opere d’arte sono degne di essere esposte
in una galleria e di essere tenute in seria considerazione e altre no? È così
che è nato Wild Art, il libro dell’altra arte. Non è per forza arte
alternativa, controcorrente o anticonformista, è più semplicemente “arte
selvaggia”, che valica i confini della classica galleria perché tende a
sfuggire all’attenzione di critici, esperti, studiosi, curatori di mostre. “Proprio
come gli animali selvatici vivono al di fuori del regno dei gatti domestici,
l’arte selvaggia esiste al di fuori del mondo dell’arte regolato dalla
burocrazia”, sintetizzano gli autori.
“Arte e cucina” sono
dunque spesso accomunate a livello simbolico, anche se nella realtà si fa fatica
a metterle insieme. Per esempio, se si parla di arte in cucina, si vuole
semplicemente usare una metafora, perché tradizionalmente i cuochi non sono
considerati davvero artisti. Eppure lo sono, eccome! Frutta
e verdura sono capaci di fare magie, non solo in cucina ma anche in campo
artistico.
Come possiamo osservare
nello foto che corredano questa mia riflessione, carote e arance sono in grado di creare un
bella bicicletta, curiose melanzane diventano pinguini, cavoli e melanzane
curiose pecorelle, peperoni e limoni una rombante motocicletta, e cosi via. La
tecnica è semplice: fantasia, capacità d’intaglio, e estro a non finire! A
giudicare dal prodotto finito il risultato è ineccepibile, sia per armonia che
per originalità. Cibo dunque meraviglia
delle meraviglie, capace di soddisfare tutti i nostri sensi anche quelli
artistici!
Ciao a tutti, a domani.
Mario
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