Oristano
26 Settembre 2014
Cari amici,
nella riflessione di
oggi vorrei ripercorrere con Voi la storia del più importante Istituto di
Credito Sardo: il Banco di Sardegna.
Ho fatto parte di questa banca per tutta
la mia vita lavorativa (salvo un primissimo periodo di pochi anni), per cui
credo di poterne parlare con cognizione di causa. Sono entrato a farne parte
per pubblico concorso nel 1970, quando la banca era ancora Istituto di Credito
di Diritto Pubblico. Oggi, a poco meno di mezzo secolo da quegli anni, esiste
ancora questa banca? Oppure si è dissolta, attraverso i vari meccanismi economici di
fusioni ed incorporazioni, in altre strutture creditizie, perdendo gran parte
delle sue iniziali prerogative e dei suoi scopi per sostenere la fragile
economia della nostra isola? Ripercorriamo insieme la sua storia, in
particolare “l’ultimo miglio”.
Nel 1953, con la legge
n. 298 dell’11 Aprile, il Parlamento
nazionale istituì due strutture finanziarie per la Sardegna: il Credito
Industriale Sardo, banca a medio termine, ed il Banco di Sardegna. Quest’ultimo
nacque sotto forma di Istituto di Credito di Diritto Pubblico, attraverso la
fusione per incorporazione dell’Istituto di Credito Agrario per la Sardegna, (l’ICAS
era nato con una apposita Legge Nazionale, nel 1927), operante nell’Isola con una
fitta rete di Casse Comunali di Credito Agrario. Nel 1962, con la legge n.588
dell’11 Giugno, denominata “ Piano straordinario per favorire la rinascita
economica e sociale della Sardegna”, venivano stanziati 400 miliardi da
spendersi in 10 anni, proprio per agevolare e favorire la sua fragile e
antiquata economia.
Gli anni Sessanta
furono, per la precaria economia dell’Isola,
gli “anni della rinascita”. In Sardegna fu avviato un processo di industrializzazione
massiccio. Il piano nazionale, pur apparendo sulla carta un piano capace di
avviare l’Isola ad una parificazione con le altre regioni, si rivelò invece
incapace di integrarsi in un sistema a più ampio raggio; in effetti la
vocazione dei sardi, più che verso l’industria, era maggiormente orientata verso
altri ambiti, come ad esempio quello agro-alimentare di qualità o turistico
ricettivo. Negli anni Settanta, complice anche lo shock
petrolifero mondiale che si ripercosse anche sulle industrie chimiche e
petrolchimiche presenti nell’isola, l’avviata industrializzazione iniziò ad
accusare le prime difficoltà.
Il Banco era ormai
diventato l’Istituto di Credito più importante dell’isola. Saggiamente
amministrato, applicò prudentemente la strategia del rafforzamento patrimoniale
e della razionalizzazione distributiva. In sei anni raddoppiò i fondi
patrimoniali di garanzia e razionalizzò la rete degli sportelli, anche con
l’apertura di nuove dipendenze nella penisola. Agli inizi degli anni Novanta,
completata la trasformazione delle Casse Comunali di Credito Agrario in
dipendenze dirette del Banco, diede attuazione all’importante legge “Amato-Carli”
(legge n. 218 del luglio del 1990), che imponeva agli Istituti di credito di
diritto pubblico ed alle Casse di risparmio di trasformarsi in Società per
Azioni.
Modificato e adeguato
lo Statuto alla nuova situazione, nel luglio del 1992 il Banco di Sardegna
abbandonò la qualifica di “Istituto di credito di Diritto Pubblico” per
assumere quella di “Società per Azioni”. Il patrimonio (le azioni) fu conferito
alla Fondazione Banco di Sardegna, Ente di nuova costituzione. Le finalità del
nuovo Ente (la Fondazione), secondo lo Statuto, erano quelle di interesse
pubblico e di utilità sociale. Tra le sovvenzioni annuali correnti quelle a
favore delle Università di Cagliari e di
Sassari.
La legge Amato-Carli,
prevedeva anche che le Fondazioni cedessero, gradualmente, il capitale di
controllo delle rispettive imprese bancarie, per non vincolarne la libertà di
mercato.
La Fondazione del Banco scelse sul mercato il “Gruppo” della Banca Popolare dell’Emilia
Romagna (BPER). In due tranches il 51%
del capitale sociale (azioni ordinarie) fu ceduto, con conseguente ingresso del
Banco di Sardegna S.p.A. nel Gruppo Banca Popolare dell’Emilia Romagna. All’interno
del “gruppo BPER”, allora costituito dalla capogruppo e da 13 altre banche, il
Banco mantenne le caratteristiche della sub-holding, ovvero un’autonomia
patrimoniale e gestionale separata, rispetto alla capogruppo, nel rispetto del
modello federale in atto. Questo modello, nonostante il passaggio al gruppo
bancario emiliano, ha consentito al Banco di continuare a svolgere il suo
precedente ruolo di presidio e di valorizzazione del territorio operativo originario:
la Sardegna.
Il tempo, come ben
sappiamo, cambia però molte cose. Con l’andare del tempo le esigenze della
capogruppo BPER non sempre coincidevano con quelle della “ex banca dei sardi”,
per cui lentamente ma inesorabilmente del precedente Banco di Sardegna rimase
praticamente “solo il guscio”, ovvero la scritta esterna fuori dalle varie
filiali, con a fianco lo stemma della pintadera, il vecchio marchio attestante
la sua sardità. Ora, la notizia è di questi giorni, sembra che anche questo
ultimo baluardo stia per cadere. Risulta
essere in corso uno “ Swap”, messo in atto dalla capogruppo BPER,
operazione che consentirebbe di incorporare il Banco all’interno della stessa capofila,
che ne acquisirebbe così il totale e
assoluto controllo. Con questa operazione, dunque, scomparirebbe anche l’ultimo
segno di sardità della banca, segnale che, pur debole, ricordava ai sardi le
sue origini.
La Fondazione Banco di Sardegna, che ancora detiene il 49% delle azioni
del Banco, dall’operazione ricaverebbe una quota importante di azioni BPER.
Cari amici, la storia
ci insegna che nel mondo nulla è duraturo. Si sono dissolte grandi civiltà, così
come si sono vissuti periodi aurei e periodi di grande criticità; anche oggi il
mondo vive problematiche economico finanziarie di grande spessore e chissà, domani,
cosa i nostri occhi potranno vedere! Quello che mi rammarica di più, in questa
operazione sicuramente valida dal punto di vista economico, è la “perdita di identità” che brutalmente
subirebbe una struttura economica di valore come il Banco di Sardegna, nato e
cresciuto con l’impegno, la dedizione ed il sacrificio di tanti sardi, a
partire dall’indimenticato suo Direttore Generale, Angelo Giagu De Martini, una
dei pochi grandi banchieri sardi.
Amici miei, i sardi
sono un popolo sicuramente poco numeroso, ma caparbio e fortemente legato alle
tradizioni, orgoglioso fino all’inverosimile, che vivrà certamente con grande
sofferenza la “cancellazione ufficiale”
del nome della “sua” Banca. Pur non cambiando niente, economicamente parlando,
in Sardegna anche l’apparenza conta molto, e l’alta dirigenza della BPER
dovrebbe riflettere un po’ di più prima di procedere. Giocando con le parole potremo dire che se anche “l’abito non fa il
monaco”, è pur vero che un monaco senza l’abito è molto meno credibile di un
monaco che lo indossa!
Ciao a tutti!
Mario
1 commento:
Ciao zio Mario!
Speriamo che il Banco di Sardegna non cambi il nome....Sarebbe un dispiacere per tutti....
Un grande abbraccio,
Giorgio Meloni
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