Cari amici,
che il nostro cervello
sia un computer straordinario è cosa nota, anche se gran parte delle sue
innumerevoli capacità sono ancora tutte da scoprire. Ho avuto occasione di
leggere di una recente scoperta, che ora voglio riportare anche a Voi, che mi
ha incuriosito in modo particolare, non solo per il lato prettamente
scientifico; la notizia, considerato che sono un sardo convinto, facente parte di
un popolo al quale i vari conquistatori hanno volutamente “tagliato la lingua”, in
modo virtuale ovviamente, mi ha colpito non poco. Ecco i fatti e le mie successive
considerazioni.
Presso il reparto di Neurochirurgia
di Udine (ma sicuramente anche in altre strutture ospedaliere), i pazienti
neurochirurgici vengono sottoposti “a
chirurgia da svegli”, quando l’area interessata dalla patologia è vicina
alle aree eloquenti. Infatti, per preservare le aree funzionali, i neuropsicologi
presenti in sala operatoria somministrano una serie di test al paziente che è
sveglio e collaborante. Così facendo essi possono creare una mappa delle zone
funzionali e preservarle durante la necessaria resezione chirurgica. Nel caso
specifico di Udine, il gruppo multidisciplinare, composto da Barbara Tomasino
dell’IRCCS Medea, due neuropsicologi, un neurochirurgo, una fisica, un
neurofisiologo e un neuro linguista, ha individuato in una porzione della
corteccia temporale superiore, che già presiede all’elaborazione fonologica, una delle aree implicate nel “Bilinguismo”.
L’interessante scoperta
è stata fatta durante un intervento che riguardava una paziente di madrelingua
serba, diventata successivamente bilingue ma con il serbo come prima lingua (L1
serbo, L2 italiano). Mentre il neurochirurgo svolgeva i test sulla paziente per
costruire la “mappatura cerebrale” mediante la stimolazione diretta della
corteccia, la donna eseguiva i compiti linguistici assegnati. Gli operatori dell’equipe
hanno osservato che quando il chirurgo stimolava una porzione della corteccia
temporale superiore e il compito assegnato alla paziente era quello di contare,
succedeva qualcosa di strano: la paziente, a seguito dello stimolo, cambiava
involontariamente lingua, passando dall’italiano al serbo, sua lingua nativa.
Le stimolazioni di altre porzioni della corteccia cerebrale non causavano tale
fenomeno, ma l’arresto del linguaggio per alcuni secondi (speech arrest).
Il curioso fenomeno, definito
Involuntary Language Switching, fa
scattare involontariamente una specie di “interruttore” che comporta “il
passaggio” dalla lingua acquisita a quella originaria, precedentemente
memorizzata nella nostra memoria! Sono state identificate le coordinate
spaziali del punto che, se stimolato, produceva il cambio di lingua: l’analisi
ha mostrato che quel punto era corticale (in quanto non si sovrapponeva alle
fibre della sostanza bianca) e si situava in un’area che nell’esame di
risonanza magnetica funzionale pre-chirurgico veniva attivata per entrambe le
lingue L1 e L2. Quest’area, che viene chiamata STP (Sylvian parietal temporal
area) ed ha un ruolo nell’elaborazione fonologica, è implicata nel meccanismo
che controlla la produzione del linguaggio.
Durante l’intervento “La stimolazione dell’area STP ha
causato interferenza con il sistema di controllo per la seconda lingua,
lasciando intatto il sistema di controllo per la prima lingua – spiega la
Tomasino – Per tale motivo la paziente
sotto stimolazione tornava alla sua lingua nativa”. Mentre i movimenti
articolatori necessari alla produzione dei suoni nel linguaggio nativo sono
automatici, quelli coinvolti nella produzione della lingua acquisita non lo
sono e necessitano di maggiore controllo e maggiore attività cerebrale nelle
aree uditive e fonologiche.
Cari amici, questo interessante
studio che è stato pubblicato sulla rivista scientifica “Neuropsychologia”,
aggiunge certamente un nuovo tassello alla conoscenza del nostro grande elaboratore
qual è la nostra mente. A me personalmente, sardo orgoglioso, ha fatto
riflettere molto, non tanto per le considerazioni puramente scientifiche,
quanto per la nostra condizione di popolo
privato della sua lingua.
Il nostro cervello, ormai, di sardo ha poco e niente, considerato che fin dalla nascita i genitori di oggi, seguendo quegli input sottili e ingannevoli, calati abilmente dall’alto fin dai secoli scorsi, si guardano bene dall’insegnare ai loro bambini la lingua sarda. La lingua L1, pertanto per i nostri bimbi sardi non sarà più il sardo ma l’italiano! Bene andando, se anche certi programmi di recupero della nostra lingua sarda proseguissero, il sardo sarebbe la lingua 2, anzi che dico, la lingua 4 o 5, considerato che verrebbero prima magari l’inglese, il francese o lo spagnolo.
Il nostro cervello, ormai, di sardo ha poco e niente, considerato che fin dalla nascita i genitori di oggi, seguendo quegli input sottili e ingannevoli, calati abilmente dall’alto fin dai secoli scorsi, si guardano bene dall’insegnare ai loro bambini la lingua sarda. La lingua L1, pertanto per i nostri bimbi sardi non sarà più il sardo ma l’italiano! Bene andando, se anche certi programmi di recupero della nostra lingua sarda proseguissero, il sardo sarebbe la lingua 2, anzi che dico, la lingua 4 o 5, considerato che verrebbero prima magari l’inglese, il francese o lo spagnolo.
Prima di chiudere Vi racconto un fatto
curioso. Il fenomeno prima riportato, per quanto magari ancora non
sufficientemente studiato a dovere, era stato già rilevato, addirittura in
Sardegna, nella clinica neurochirurgica dell’Università di Cagliari. Conosco il
fatto per essere amico della persona che subì una complessa operazione al
cervello, diversi anni fa. Superata la fase critica il paziente venne riportato
in terapia intensiva e alle domande dei familiari sull’esito dell’operazione, l’equipe
chirurgica confermando il risultato positivo ottenuto, rispose che però,
probabilmente, l’intervento poteva aver leso la zona del cervello deputata alla
parola, in quanto – a loro dire – il paziente si esprimeva in maniera
incomprensibile.
Il timore dei familiari venne fugato quando, in presenza sia dei medici che della moglie e delle figlie, l’uomo riprese a parlare in una strana lingua, sconosciuta ai dottori, ma non ai familiari: si esprimeva, infatti, in arabo! Fu una delle figlie a rassicurare il chirurgo, che il padre non aveva perso l’uso della parola: era nato in Egitto, dove aveva vissuto fino ai 18 anni, e la sua prima lingua era l’arabo (che il suo cervello aveva ben conservato) non l’italiano.
Il timore dei familiari venne fugato quando, in presenza sia dei medici che della moglie e delle figlie, l’uomo riprese a parlare in una strana lingua, sconosciuta ai dottori, ma non ai familiari: si esprimeva, infatti, in arabo! Fu una delle figlie a rassicurare il chirurgo, che il padre non aveva perso l’uso della parola: era nato in Egitto, dove aveva vissuto fino ai 18 anni, e la sua prima lingua era l’arabo (che il suo cervello aveva ben conservato) non l’italiano.
Tutto si risolse
felicemente e, esaurita la convalescenza, il paziente tornò a casa, dove
riprese a parlare tranquillamente in italiano! Anche in questo caso, cari
amici, nel suo “grande computer” la lingua originaria, l'arabo, era rimasta
indelebilmente impressa!
Grazie, amici, della
Vostra sempre splendida attenzione.
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