Oristano
29 Settembre 2014
Cari amici,
oggi sono tanti i
giovani che in Sardegna sono in attesa di uscire dal limbo del “lavoro che non
c’è”! Sono ormai cresciuti, ampiamente acculturati, con tanta voglia di “fare”,
ma privati della possibilità di
esprimere le loro capacità, i progetti e le idee, per costruire il loro
futuro e quello della nostra Isola, perché manca la materia prima più
importante: il lavoro.
Restano così parcheggiati in casa, mantenuti dai propri
genitori, definiti anche “bamboccioni”, nella stressante attesa che “qualcosa
cambi”. Il loro dilemma quotidiano è “restare...o partire”, continuare a vivere
parcheggiati o tagliare i ponti e lasciare l’Isola, come fecero in passato, nei
secoli scorsi, i loro antenati. L’aver raggiunto, spesso con grande sacrificio,
una o più lauree, l’aver conseguito importanti specializzazioni, master, o
perfezionamenti linguistici, a poco è servito, magari solo per racimolare qualche
modesto lavoretto estivo sottopagato, durato pochi mesi.
Personalmente, considerato
che dopo aver terminato la mia attività lavorativa ho voluto riprendere gli
studi all’Università, ho potuto toccare con mano questo “mondo giovanile”
abbandonato a se stesso, capace ma insoddisfatto, che rimprovera alla nostra
generazione l'aver costruito un mondo che li esclude, un mondo a nostro uso e
consumo, ma che a loro ha “rubato la speranza”, ha tarpato le ali, impedendo di
volare. La loro rabbia al momento è solo una rivoluzione silenziosa, anche se,
ne sono certo, il fuoco cova sotto la cenere. Alcuni hanno già smesso di resistere:
hanno lasciato l’Isola e provato a mettere a frutto la loro esperienza
all’estero; Inghilterra, Svizzera, Germania, le mete più ricercate, senza
escludere gli USA, da sempre nel cuore e nei sogni dei nostri giovani.
Scelte dolorose,simili a quelle fatte nel passato dai loro padri e nonni: lasciare l’Isola
per un sardo è quasi un sacrilegio! Andare via dalla propria terra, lasciarla
abbandonata al proprio destino, oggi fa ancora più male che in passato. Nel DNA
dei sardi c’è una componente specifica tutta isolana, sempre esistita ma che si
è acuita negli ultimi anni. Ebbene questo componente rende l’esperienza
dell’emigrazione di oggi, intellettuale o meno, ancora più frustrante di quella
del passato. Ieri abbiamo riempito il Nord Italia con i nostri giovani braccianti
senza lavoro che si sono riciclati, giocoforza, operai in fabbrica; oggi, salvo
eccezioni, gli scenari sia culturali che occupazionali risultano ulteriormente
allargati: scappare al Nord non basta più, bisogna scappare molto più lontano,
percorrere altre rotte, altri lidi. Oppure restare e piegarsi alle peggiori
logiche, smaltendo la rabbia e l’inoperosità in modo improprio. Nascere in Sardegna
per la nostra gioventù continua a rimanere una condanna.
Nell’economia
globalizzata del Terzo Millennio, l’emigrazione risulta avere – rispetto al
passato - un sapore ancora più amaro.
Nei secoli scorsi, chi lasciava la Sardegna era il meno acculturato, colui che,
per le più svariate ragioni, era senza speranza. A partire, di volta in volta,
erano i più poveri, i più deboli, quello meno capaci, quelli che mancavano di
inventiva per costruirsi qui, il loro futuro. I giovani migliori trovavano il
modo di restare. Oggi, viceversa,
succede il contrario. Quelli che restano sono quelli meno pronti a rischiare,
meno fantasiosi e creativi, quelli che si piegano e che si accontentano. A
partire, invece, sono i giovani migliori, quelli che saprebbero, davvero, con
forza e determinazione cambiare, una volta per tutte, la nostra Sardegna.
La riflessione di oggi,
cari amici, ha un sapore molto amaro. Sono rimasto in buona relazione con un
“gruppo” di giovani molto validi con i quali ho ripreso a studiare, “da grande”,
all’Università e che si sono laureati a pieni voti. Qualcuno di essi, dopo la
laurea, ha utilizzato il progetto regionale “Master and Back” e, al termine del
lavoro svolto nel Nord Italia, ha messo li le sue radici, lasciando l’Isola.
Altri, dopo aver atteso invano, stanno per lasciare il “parcheggio” in casa, prendere la valigia e andare via.
Il futuro della nostra
amata Sardegna, privata dei suoi giovani validi che la lasciano, appare
segnato: continuerà a restare senza speranza, come è, ormai, da molti secoli.
Ciao.
Mario
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