Oristano 6 aprile 2025
Cari amici,
Nel mondo, dopo il lungo periodo caratterizzato dal
PROTEZIONISMO, arrivò la GLOBALIZZAZIONE, con la liberalizzazione
delle economie e dei mercati nazionali, che, grazie allo sviluppo delle moderne
tecnologie e delle telecomunicazioni, costruì un unico sistema mondiale. Seppure l'apertura non fu semplice, creando non pochi malumori e accorgimenti (non tutti guadagnavano allo spesso modo), grazie
anche alla liberalizzazione delle regolamentazioni nazionali, l’integrazione
economica portata dalla globalizzazione ci fu, arrivando anche ad integrare, insieme.
economica, politica e cultura.
Come accennato prima, i
malumori non mancarono, e non tutti gli Stati ebbero lo stesso miglioramento, ma, tutto sommato, il passaggio alla globalizzazione può essere considerato un passo
avanti positivo, perché è di certo un fatto innegabile che la
liberalizzazione commerciale portata dalla Globalizzazione incrementò
sensibilmente il commercio internazionale, favorì l’ampliamento della
delocalizzazione, la crescita straordinaria della produttività e, purtroppo,
anche della precarietà del lavoro. Ma perché il Presidente di un colosso come gli USA, ora,
vuole tornare indietro, economicamente parlando, ripristinando il Protezionismo?
I motivi sono certamente diversi. In primo luogo Trump ha voluto introdurre l’arma dei dazi per
riequilibrare nell’immediato la bilancia commerciale statunitense (gli Usa
importano più di quanto esportano, specie dall’Europa: circa 350 miliardi
contro 580). Ma è chiaro che, in un’economia come quella attuale, così
interconnessa, in un mondo che vive da oltre trent’anni di “globalizzazione”,
il solo innalzamento delle tasse sull’importazione di beni e servizi non può
essere la soluzione dei problemi. Se fosse così semplice, ogni Stato avrebbe da
tempo adottato una politica simile. L'uovo di Colombo (per restare in America)
esiste solo nelle leggende.
Un altro importante
motivo che ha animato Trump è quello di usare la leva dei dazi per fare
pressione sui diversi Paesi (europei, canadesi, cinesi, etc.) per ottenere in
cambio ciò che Egli ritiene utile per gli Stati Uniti: un maggiore impegno
militare (agli europei: non volete i dazi? Pagatevi la NATO), nuove politiche
manifatturiere per le tante aziende sparse per il mondo (venite a produrre in
America o smettetela di delocalizzare), e così via. Il nuovo Presidente
americano, però, non può e non deve dimenticare che le guerre commerciali sono
sempre state foriere di inflazione (che ricade in primis sulle tasche dei cittadini
suoi elettori), di pericolosi crolli di Borsa (azionisti e risparmiatori stanno
già perdendo miliardi di dollari), oltre che di drastici cambi nelle abitudini di consumo, in particolare delle persone meno abbienti.
Amici, il problema è
serio, e credo che presto Trump sarà costretto a dare non facili giustificazioni agli
americani, che appaiono già alquanto spaventati. Inoltre, gli economisti di tutto il
mondo (compreso il Presidente della Federal Reserve Americana) non condividono
la sua pericolosa politica, perché all’orizzonte economico mondiale, in un mercato sempre più interconnesso, si profilano movimenti
innovativi di alto spessore, che dagli esperti vengono definiti addirittura un
inizio di “Terza Rivoluzione Industriale”, che graverà su tutto il
mondo. È ormai consolidata, infatti, oltre che in forte ascesa, una nuova tecnologia: “LA STAMPA 3D”,
che cambierà in modo drastico le attuali regole del commercio internazionale.
L’economista statunitense
JEREMY RIFKIN (Denver, 26 gennaio 1945) grande esperto di mercati, oltre
che sociologo, attivista, saggista e magnate statunitense, nel suo recente
libro “LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE”, afferma infatti che "L'iniziativa
dei dazi portata avanti da Trump fallirà alla luce di una nuova e audace rivoluzione tecnologica che
sta entrando sulla scena mondiale e sta cambiando la natura stessa del
commercio e degli scambi: la stampa 3D". Poi precisa che: "A
differenza dei beni fisici prodotti dalle aziende globali e soggette a tariffe
nel commercio mondiale, le PMI che utilizzano tecnologie di stampa 3D possono
condividere software digitali per le loro linee di prodotti con distributori
locali, ad un costo marginale prossimo allo zero in tutto il mondo. Possono
quindi stampare gli articoli e consegnarli ai consumatori senza pagare tariffe.
E questo cambia tutto".
Amici, la convinzione di
Rifkin è che “la guerra tariffaria globale innescata da Trump non farà che
accelerare la transizione negli anni a venire". Secondo l'economista,
la stampa 3D sta prendendo piede in tutto il mondo. Diversi colossi come
Siemens, Volkswagen e General Electric la stanno sperimentando, e non sono i
soli. Questo nuovo sistema, così innovativo da essere definito la Terza
Rivoluzione Industriale, sarà travolgente, perché "Riduce i costi delle
infrastrutture logistiche e del trasporto, eliminando fino all'11% delle
emissioni di gas serra".
Personalmente, credo che
il pensiero e le parole di Rifkin debbano essere valutate con il giusto peso.
"Mentre le infrastrutture della prima e seconda Rivoluzione industriale
sono state progettate per premiare pochi rispetto ai molti, in un gioco a somma
zero, l'infrastruttura della terza rivoluzione industriale è progettata in modo
che, se lasciata funzionare come previsto, distribuirà il potere economico in
modo molto più ampio, favorendo una democratizzazione della vita economica.
Strangolare le PMI con i dazi è una politica che alla fine fallirà, in un mondo
sempre più distribuito e glocalizzato. La svolta è già qui". Ecco la
sintesi del suo pensiero, che io condivido.
Cari amici, credo che Donald Trump, prima di lanciare politiche protezionistiche così pericolose anche per l’economia
del suo popolo, avrebbe dovuto consultare molti economisti qualificati, a
partire dal Presidente della Federal Reserve Jerome Powell, anziché apostrofarlo
con un arrogante e duro: «Abbassi i tassi di interesse e non faccia politica».
A domani.
Mario