Oristano
11 Giugno 2014
Cari amici,
miracoli, per ora, non
è in grado di farne nessuno. Il recente intervento del Presidente della Banca
centrale europea, Mario Draghi, che ha ulteriormente abbassato il costo del
denaro è certamente un provvedimento utile ma non risolutivo. Draghi, nell’intento
di rilanciare l’economia del Vecchio Continente, ha anche cercato di stimolare
le banche a investire in aziende e famiglie, penalizzando i loro depositi
presso la BCE non solo remunerandoli poco o per niente, ma facendo addirittura “pagare” un
costo (lo 0,10%) sulle giacenze. Aveva promesso interventi forti ed è stato di
parola. Nel comunicare gli ultimi provvedimenti ha anche aggiunto una frase
poco usuale per i banchieri centrali, e cioè: “E non è finita”. Parole che, se
pur sibilline, in sostanza significavano che se l’economia non avesse ripreso a
marciare in tempi abbastanza rapidi, la Bce sarebbe stata pronta a varare
misure ancora più penetranti.
L’intervento di Draghi,
ai limiti delle severe regole che governano la BCE, è stato necessario per
ovviare alla mancata definizione del processo di unificazione europea che,
nonostante il passare degli anni continua a restare nel limbo. Un’Europa a
metà, come quella che abbiamo oggi, se non completa il suo percorso non solo
non potrà assumere il ruolo importante che le spetta, ma corre il serio
pericolo di scomparire per sempre. Quando i processi economici sono slegati da
quelli politici, quando la “leva della quantità di moneta in circolazione” non
può essere manovrata e adeguata quando è necessario, solo perché non esiste un “unico
stato” che potrebbe e dovrebbe
autorizzarla, l’economia corre il rischio di fermarsi. Per fare un esempio è
come se in un grande ospedale, pur dotato di tutte le medicine necessarie, in
assenza del primario, i molti medici al capezzale del malato si scontrino sulla
terapia, ipotizzando ognuno una “medicina diversa”. In questi casi, lo sappiamo
bene, il malato corre il serio pericolo di morire.
La BCE, la struttura
bancaria centrale che governa l’Euro (nato “prematuro”, in quanto avrebbe
dovuto vedere la luce unitamente all’Europa Stato federale), ha uno statuto
molto particolare (voluto dai tedeschi) che in teoria dovrebbe occuparsi solo della stabilità dei prezzi. Questa
volta Draghi ha avuto non poco coraggio nel dribblare l’opposizione tedesca e “stampare
denaro”, grazie proprio al fatto che l’inflazione è troppo bassa. Negli Stati
membri la gente non compra, pur avendo i soldi per farlo, anche perché
probabilmente spera che nel giro di qualche mese le merci e i servizi costino
ancora meno. Rendersi conto di tutto ciò non è difficile. Senza stare a
consultare le complesse statistiche comunitarie, basta aprire un sito di
vendite online per vedere cose che fino a qualche mese prima erano impensabili. Ad
esempio, per incentivare la vendita, il trasporto viene offerto in omaggio e vengono
praticati sconti che vanno da 20 al 50 per cento.
La spirale "minore
inflazione – meno soldi in circolazione", sta diventando cronica: se la gente
riduce gli acquisti perché spera di spendere meno domani (e meno ancora dopo
domani), la poca inflazione di oggi rischia di trasformarsi in deflazione vera
e propria: cioè in una convinzione diffusa che bisogna rimandare gli acquisti
il più possibile. Atteggiamento, questo, che rischia di farci precipitare nel
fantasma più spaventoso che si aggiri per l’Europa: il temuto “Triple Deep”, la terza recessione, dopo
le due precedenti, dalle quali siamo fortunosamente appena usciti quasi per miracolo.
La mossa di Draghi, che
facendo stampare banconote dalla Banca Centrale Europea, farà aumentare la
circolazione della moneta nei Paesi dell’Unione, non è, però, certamente la
soluzione definitiva ma solo un modesto tampone. Il provvedimento preso può
dare una mano, ma non può sostituirsi ai Governi nazionali, spogliati della
facoltà di “stampare moneta” ed in assenza di un unico “Governo centrale
Europeo, deputato a farlo. In un’Unione Europa ancora a metà, sono ancora i vari Governi deputati a mettere in atto le misure atte a consentire una maggiore
crescita e di conseguenza una minor disoccupazione.
In attesa che
quest’Europa “zoppa” possa completarsi, sono i Governi dei vari Stati che
devono ridurre la burocrazia, tagliare la spesa pubblica e lasciare più libertà
all’economia nel suo complesso. Come è stato detto altre volte “i posti di
lavoro non si creano per Decreto”, ma sono le aziende a farlo: sono queste che
debbono essere incentivate, riducenti i pesantissimi oneri pubblici (tasse) che oggi gravano su
di esse. Se si vuole che l’Europa riparta in fretta bisogna diminuire il peso fiscale che oggi le soffoca e lasciare che riprendano a correre. Il
gesto lungimirante di Draghi ha solo cercato di “guadagnare tempo”, ma questo
gioco non potrà durare all’infinito. E’ la politica che deve accelerare il
passo, senza continuare a pensare ognuno al proprio giardinetto ma al futuro
benessere comune, che deriverebbe dalla nascita di una vera e propria Nazione
Europea.
Il traguardo, cari
amici, per ora sembra molto lontano, mentre i venti della recessione scuotono
una traballante Unione Europea, che conta sempre più numerosi euroscettici che
non vogliono curare l’Europa malata ma farla morire definitivamente, tornando agli steccati del passato.
Dovremo riflettere
tutti, seriamente, perché solo così credo ci possa essere salvezza e futuro per i nostri ragazzi e le generazioni a venire.
Grazie amici dell'attenzione!
Mario
Nessun commento:
Posta un commento