mercoledì, giugno 18, 2025

LA CURIOSA STORIA DEL DETTO “PARLARE A VANVERA”. TRA LE DIVERSE, POSSIBILI INTERPRETAZIONI SULLE ORIGINI, UNA DERIVA DA UN ANTICO STRUMENTO VENEZIANO.


Oristano 18 giugno 2025

Cari amici,

Tra i numerosi detti popolari, frutto dell'antico sapere, uno risulta particolarmente curioso: "PARLARE A VANVERA". È questa un'espressione popolare molto diffusa, utilizzata per descrivere un modo di comunicare privo di senso, senza costrutto, incapace di far capire ciò di cui si parla. Il motto ha origini storiche  e culturali alquanto incerte. Come accertato anche da l’Accademia della Crusca, l’espressione “parlare a Vanvera” risulta usata sia nella quotidianità che in testi letterari, anche da autori qualificati, come Carducci e Bacchelli, che ne apprezzarono la forza espressiva. Partita inizialmente come un’espressione regionale, si diffuse poi in tutta Italia, diventando un modo immediato e colorito per descrivere un’azione fatta senza logica o senza pensarci troppo.

Si, amici, questa curiosa espressione compare per la prima volta nel 1565 in un testo dello storico fiorentino Benedetto Varchi, ed è riportata col significato di dire cose senza senso o senza fondamento. Sulla sua provenienza, comunque, si sono fatte molte ipotesi. Anche il poligrafo toscano, Francesco Serdonati, vissuto tra il XVI e il XVII secolo, attribuiva all’espressione “Parlare a Vanvera” il significato di parlare senza criterio o fondamento; il termine Vanvera, associato principalmente ai verbi “parlare” e “fare”, veniva usato per indicare un’azione fatta proprio senza riflessione.

Amici, tra le diverse ipotesi, l’origine più accreditata di questa particolare espressione è sicuramente legata a Venezia, e, in particolare, ad uno strumento alquanto curioso usato in particolare dalle dame del ‘600 nella città lagunare, la cosiddetta “VANVERA”. Si, amici, la vanvera era in quei tempi un oggetto molto in voga, che, nella Venezia seicentesca, veniva usato dalle dame che non andavano mai in giro senza le loro ampie gonne sorrette da rigide strutture a gabbia. La Vanvera era una parte integrante dei sontuosi abiti delle veneziane, che veniva usata in qualsiasi occasione di festa. 

Ma come era fatto, e in particolare a cosa serviva, questo strumento? Si trattava di un particolare palloncino, munito di una sorta di tubicino posizionato sul sedere (ovviamente indossato sotto le ampie gonne), che serviva per contenere le possibili flatulenze delle signore, evitando così rumori e odori molesti, che, finiti nell’aria, avrebbero provocato spiacevoli brutte figure alle elegantissime dame! Questo attrezzo, amici, non mancava mai nell’outfit delle signore veneziane: era usato nelle occasioni ufficiali, come balli, feste di palazzo o cene di gala; serviva sostanzialmente come contenitore di flatulenze ed era molto più comune di quello che oggi si possa pensare!

Altri tempi, altre consuetudini, diete Voi! Pensate che esisteva anche un’altra versione della VANVERA: veniva utilizzata sotto le coperte, ed evitava di ammorbare l’aria con le proprie flatulenze! Anche in questa versione, un tubicino, attraverso la finestra, portava l’aria delle proprie flatulenze fuori dalla stanza, scaricando i pestiferi odori! Forse proprio dal collegamento tra questa Vanvera scarica odorose flatulenze, è nata, almeno nella prima fase embrionale, il detto “parlare o dire a Vanvera”! Un modo ironico per scherzare su questo particolare doppio senso! Con la successiva scomparsa della Vanvera, a noi è comunque rimasto il modo di dire che continuiamo ad usare.

Amici, sul detto “Parlare a Vanvera” ha scritto un libro curioso anche Bianca Pitzorno. Il libro racconta una storia curiosa, quella di una bambina  vissuta nel secolo scorso. Il 12 agosto del 1897 ai coniugi Van, di lontana origine olandese, nacque una bella bambina di tre chili e mezzo, che fu battezzata col nome di Vera. La signora Van, da signorina, era stata un’attrice famosa; sposandosi aveva abbandonato a malincuore la carriera per dedicarsi alla famiglia. Così, da mamma, quando cullava la piccola Vera per farla addormentare, invece di cantarle le solite ninne nanne, le recitava dei lunghi monologhi, sforzandosi di usare un tono calmo e monotono, capace di conciliare il sonno.

La madre, però, con questo stratagemma non ebbe successo. Vera ascoltava la mamma con gli occhietti sgranati, zitta, ma il sonno proprio non arrivava, e per quanto la mamma si sforzasse, lei non riusciva ad addormentarsi! Anzi, più la madre le parlava, più lei drizzava la sua testolina e, con gli occhi attenti, restava ben sveglia e attenta ad ascoltare! Anche negli anni successivi, a scuola, la bambina dimostrò un grande piacere ad ascoltare. Da grande divenne così famosa che - scrive la Pitzorno nel libro - quando i ragazzi parlando con i loro genitori – che ci sentivano benissimo – dicevano qualche stupidaggine, si sentivano rimproverare: “Ehi! Cosa stai dicendo? Non stai mica parlando a Van Vera!”

Col tempo, il nome e cognome della bambina si fusero in un’unica parola e la fama si sparse al punto che, ancora oggi, quando qualcuno parla dicendo delle cose senza senso, si usa dire che... “parla a vanvera”! Curiosa questa versione della Pitzorno, molto diversa dalla possibile versione di origine veneziana del detto, ma c'è da dire che i libri scritti da Bianca Pitzorno sono tutti davvero molto interessanti! Anche questo è un libro curioso, che tutti dovrebbero leggere, o almeno regalare, perchè è di vero, curioso interesse! Un’ultima curiosità: la signora Van Vera, fu alquanto longeva: morì a novantanove anni, felice!

Ciao, amici lettori, oggi avete saputo qualcosa di più sulla “VANVERA”!

A domani.

Mario

 

 

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