domenica, giugno 15, 2025

LA COSTANTE SPINTA DELLE AZIENDE VERSO IL SUPER-LAVORO E L’IPER-PRODUTTIVITÀ. QUANDO, PERO' SI SUPERANO DETERMINATI LIVELLI, I DIPENDENTI ARRIVANO AL “QUIET QUITTING”.


Oristano 15 GIUGNO 2025

Cari amici,

Che il lavoro, da tempo, non sia più quell’antico mezzo per procurare all’uomo il cibo e quant'altro necessario alla sua esistenza, è più che noto! Nel tempo la serena vita della specie umana è enormemente cambiata, e, passo dopo passo, si sono create nuove esigenze che, a volte, definirle assurde appare anche riduttivo. Negli uffici e nelle fabbriche, oramai, vige da tempo una cultura schiavista: quella dell’iper-produttività, che osanna e glorifica l’impegno esclusivo a 360 gradi. È la degradante cultura dell'uomo-macchina ad imperversare! Ma tutto ha un limite: all’esagerazione, come la storia ci insegna, c’è sempre una forte reazione, come è avvenuto anche in questo caso.

La reazione forte verso la cultura  dell’iper-produttività ha preso il nome di “QUIET QUITTING”, termine che letteralmente significa “dimissioni silenziose”, nato nel 2022 grazie a una serie di video virali su TikTok. Lentamente ma inesorabilmente, dunque, il  Quiet quitting da comportamento particolare e limitato, si è presto diffuso, avviando una trasformazione profonda nel mondo del lavoro. Messo in atto inizialmente da quei dipendenti particolarmente stressati ed in preda al burnout,  il fenomeno si è sempre più esteso.

Per metterlo in atto, i dipendenti, arrivati oramai allo stremo, ossessionati da carichi di lavoro sempre più onerosi, iniziano a dire basta. Lo fanno smettendo di fare più del necessario: nessuna aggiunta all’orario normale, nessun impegno extra, nessun allungo di lavoro non previsto dal contratto. Insomma, una stretta applicazione del contratto di lavoro, dando all'azienda solo quanto previsto dal contratto, seppure, ovviamente, eseguito con la necessaria diligenza e correttezza. Una forte risposta, dunque, ai super carichi di lavoro e alla logica dell’iper-produttività, quella da tempo dominante, e che per decenni ha magnificato l’essere sempre presenti, facendoli diventare uomini-macchina! Insomma, un riappropriarsi della propria vita utilizzando per se stessi il tempo libero recuperato!

Il QUIET QUITTING, dunque, è da considerarsi una specie di ribellione all’uomo-macchina, una risposta al burnout e alla cosiddetta hustle culture, la cultura dell’iper-produttività. Dopo l’abbandono della serena vita familiare, e della conseguente vita di relazione sociale, rinasce il lavoratore con la voglia di “vivere oltre il lavoro”, rivalutando l’uomo nella sua interezza, non solo come macchina produttiva!  Dopo la reclamizzata cultura dell’uomo-macchina, che ha contribuito a ribaltare le precedenti priorità, molti lavoratori hanno iniziato a dire stop, a mettere la propria salute, in particolare quella mentale, al primo posto. “Non vivo per lavorare” è il messaggio implicito del Quiet Quitting, ma lavoro per vivere.

Amici, questo fenomeno, che cerca di recuperare il valore dell’uomo, secondo i dati raccolti dall’Istituto americano di consulenza aziendale GALLUP, già nel 2022 si stava estendendo negli USA. Infatti, almeno la metà dei lavoratori americani sono diventati QUIET QUITTERS. Numeri simili si registrano anche in Europa, Italia inclusa. L’identikit è variegato, ma i protagonisti principali sembrano essere i Millennials e la Generazione Z.; sono giovani, spesso iper qualificati, cresciuti con l’illusione che l’impegno sarebbe stato premiato. Una promessa che, nel tempo, però, si è rivelata poco credibile.

Il Quiet quitting, amici, in particolare nella mentalità dei giovani, non è sinonimo di svogliatezza, ma, al contrario, un rifiuto a vivere la propria esistenza “vivendo per lavorare, e non lavorando per vivere”! Un deciso rifiuto, insomma, a sacrificare la propria vita per l’azienda. Il punto di rottura non è il lavoro in sé, ma il mancato riconoscimento delle altre necessità della vita. Ci si domanda: ma le aziende come stanno vivendo questo comportamento di QUIET QUITTING? Indubbiamente è percepito come un segnale d’allarme per la produttività, ma, nelle aziende più attente, anche come un’occasione per ridefinire il contratto psicologico tra datore di lavoro e dipendente.

Cari amici, purtroppo c'è da dire che nella gran parte delle aziende si stenta a comprendere il malessere del lavoratore, e ovviamente, risulta mancare la necessaria volontà di cambiare. Solo i leader aziendali più attenti hanno iniziato a capire, cominciando a rivedere le proprie politiche interne. Nelle aziende più consapevoli, infatti, aumentano i progetti di benessere aziendale, la formazione di manager più attenti all’ascolto del personale, e avviato iniziative atte a bilanciare i carichi di lavoro con la vita privata. In quest’ottica il Quiet quitting è servito a smuovere le acque, diventando un’opportunità per costruire ambienti di lavoro più sostenibili. La risultante? Il lavoratore soddisfatto, trovando nell’azienda dove lavora le condizioni migliori per crescere, opera con maggiore soddisfazione, con il conseguimento di positivi risultati per entrambe le parti!

A domani.

Mario

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