Oristano 5 novembre 2019
Cari amici,
Tra Oristano,
erede di un grande e glorioso passato giudicale e la Sartiglia c’è
indubbiamente un legame così stretto e forte che pronunciare uno dei due nomi
significa, allo stesso tempo, mettere sul piatto anche l’altro. La Sartiglia,
la cui storia è carica di anni e di tradizioni, è parte indissolubile di quella
Oristano che, con il suo glorioso passato giudicale, ha rappresentato fin dal
XII° secolo una illuminata presenza nell’Isola.
Storia e tradizione viaggiano
per lo più sullo stesso binario. Mentre la storia, però, è sempre "provata", scritta e
documentata, la tradizione, per essere degnamente custodita e tramandata, ha
bisogno di costante e rinnovata ricerca. Su questo versante il Comune di Oristano e la
Fondazione Sartiglia, nel corso degli anni hanno operato con certosina costanza,
affiancando alle ricerche storiche quelle tramandate dalla tradizione, in modo
che, insieme, potessero mettere in luce usi, costumi e tradizioni che si sono
perpetuate nel tempo.
Ecco allora che Comune e
Fondazione, pur costanti nella classica ricerca storica sulla Sartiglia,
hanno voluto esplorare anche l’origine dei suoi simboli, a partire dai due più
importanti: la “Maschera de Su Componidori” e “Sa Pippia de Maju”, quel particolare
mazzo di fiori che il capocorsa, Su Componidori, utilizza per benedire il
popolo che Egli rappresenta con particolari gesti augurali.
Cari amici, i simboli che accompagnano qualsiasi competizione, in realtà,
sono importanti quanto la competizione stessa, perché se è pur vero che la gara è una
grande prova di abilità e di coraggio, tradizione vuole che essa, al suo interno, contenga anche qualcosa che va oltre la gara stessa, che funge da collante che la completa, come nel nostro caso anche da rito
propiziatorio, inteso come un’invocazione fatta alla divinità dal suo massimo
rappresentante (su Componidori che guida la Sartiglia col viso coperto da una
maschera androgina è l’espressione della Comunità), affinché il “suo popolo”
possa godere di un’annata agraria favorevole, di pace e di serenità. E per
chiedere questa intercessione divina egli usa proprio, in tono benedicente, “Sa
Pippia de Maju”.
Ebbene, amici, la
Fondazione Sartiglia (oggi Fondazione Oristano) nell’intento di approfondire la conoscenza di questo magico simbolo, ha attivato una ricerca minuziosa, facendo analizzare
Sa Pippia de Maju sotto i diversi aspetti: antropologico, etnografico e
etnologico.
Il non facile lavoro di ricerca è stato affidato ad una giovane di Seneghe, Erika Meles, in possesso della laurea in Beni Culturali con indirizzo Etno-antropologico e Ambientale, conseguita presso l’Università degli Studi di Sassari. La scelta è caduta su di Lei in quanto nel 2013 Erika effettuava un tirocinio presso la Fondazione e, considerate le sue capacità, nell'occasione Le fu affidato il gravoso compito di effettuare un’accurata ricerca per approfondire la conoscenza di questo magico simbolo.
Il non facile lavoro di ricerca è stato affidato ad una giovane di Seneghe, Erika Meles, in possesso della laurea in Beni Culturali con indirizzo Etno-antropologico e Ambientale, conseguita presso l’Università degli Studi di Sassari. La scelta è caduta su di Lei in quanto nel 2013 Erika effettuava un tirocinio presso la Fondazione e, considerate le sue capacità, nell'occasione Le fu affidato il gravoso compito di effettuare un’accurata ricerca per approfondire la conoscenza di questo magico simbolo.
L’impegnativo lavoro di
ricerca (proseguito per ben 5 anni, con faticosa operatività sul campo) è ora
diventato un libro, pubblicato da Camelia edizioni, e che ha per titolo “Sa
Pippia de Maju. Etnografia di un simbolo della Sartiglia di Oristano”. Nel
libro è riepilogato il certosino lavoro di Erika Meles che, attraverso le
numerose interviste fatte agli addetti ai lavori di ieri e di oggi (tutti
personaggi legati al mondo della giostra e in particolare dei Gremi), ha messo
insieme passato e presente, analizzando somiglianze e variazioni, perché anche
i rituali, è dimostrato, seppure tramandati, sono mutevoli nel tempo.
Le numerose interviste hanno evidenziato riti e cerimoniali di ieri e di oggi, il cui confronto ha
messo in luce la costante capacità di rinnovo anche delle tradizioni più
antiche; fondamentale è stata anche la raccolta, il confronto, l’analisi e le
possibili interpretazioni e assonanze con altri riti similari, mettendo in relazione il
simbolo de Sa Pippia de Maju con altri rituali svolti nella zona circostante e
che potrebbero aver generato contaminazione.
Domenica 3 novembre alle
17,30 un pubblico numerosissimo ha affollato la sala convegni dell’Hospitalis
Sancti Antoni, curioso di conoscere le novità riportate dal libro. In prima
fila un’ampia rappresentanza di autorità: dal V. Sindaco e Assessore alla
cultura Massimiliano Sanna ad altri Assessori, dal Presidente della Fondazione
Angelo Bresciani al Direttore Francesco Obino, da Maurizio Casu, Responsabile
Centro di Documentazione e Studio sulla Sartiglia, a Marcello Marras, antropologo,
Direttore del Centro servizi culturali UNLA. Numerosi anche gli ‘appartenenti’,
a diverso titolo, al mondo della Sartiglia: Presidenti e componenti dei Gremi,
cavalieri ed ex Componidori.
Al tavolo della
Presidenza l’autrice del libro Erika Meles, l’autrice delle foto del libro
Francesca Marchi, Marcello Marras e Maurizio Casu. Il convegno è stato aperto
da Maurizio Casu (tra l’altro ex Componidori, oltre che profondo studioso della
giostra), a cui ha fatto seguito l’intervento di Massimiliano Sanna con i
saluti del Sindaco e dell’Amministrazione comunale. A seguire i saluti di
Angelo Bresciani. È poi iniziato il dialogo tra Marcello Marras (relatore della
serata, oltre che importante supporto di Erika nella fase di realizzazione del
libro) ed Erika.
Marras, nella sua veste
di antropologo, ha chiarito che la ricerca effettuata da Erika, contrariamente
alle diverse ricerche storiche che di norma si effettuano sui documenti del passato,
è stata effettuata con il metodo antropologico, che lavora non “sulle fonti” ma
“sulle persone”. In quest’ottica, l'utilizzo de Sa Pippia de
Maju nella Sartiglia è stato analizzato partendo da quello che rappresenta nell’oggi e non nell’ieri,
mettendo a fuoco “l'utilizzo di oggi da parte della Comunità”, a prescindere dalla
tradizione che l’accompagna.
La ricerca antropologica,
ha chiarito Marras, non è la “verità storica”, ma una continua interpretazione
che può essere mutevole e che perciò si modifica e perfeziona nel tempo. L’analisi di
Erika è stata effettuata operando “sul campo”, interrogando in particolare gli
anziani e facendosi raccontare il mutare nel tempo del rito: com’era ieri e
com’è oggi. Erika non si è risparmiata, girando in lungo e in largo per Gremi e
scuderie, dialogando con curiosità, attenzione e tanta pazienza e umiltà. La
Comunità oristanese ha risposto con grande disponibilità e di questo Erika ha
ringraziato tutti pubblicamente, in quanto i protagonisti della Sartiglia con
cui è venuta a contatto l’hanno introdotta, in grande amicizia anche “dietro
le quinte”, ovvero l’hanno messa a conoscenza dei mille segreti che di norma
vengono vissuti in modo intimo e privato.
Quali le conclusioni? Sa “Pippia de Maju” rappresenta non solo uno "strumento benedicente", un simbolo di richiesta di "una buona annata" al Cielo, ma anche un inno gioioso di festa
per la rigenerazione della natura, per il rinascere della vita dopo il lungo
sonno invernale; simbolo duplice, di supplica ma anche di benvenuto alla Primavera incipiente, rituale
che risulta simile a quelli in uso in altre manifestazioni primaverili, come le “Bambine di
Maggio, le “Spose di Maggio” e così via. Da evidenziare un fatto importante: il
coinvolgimento dei bambini, utilizzati come messaggeri per consegnare al capocorsa Sa Pippia de Maju, in quanto ritenuti anime ancora candide; bambini ritenuti veicolo unico per fare da tramite tra la vita e l’aldilà, ai quali la tradizione destina dei doni in ricordo di chi non c’è più.
Nel libro viene messo in
evidenza anche l’evolversi dei rituali. Nel passato per esempio, come si può
rilevare anche dalla lettura delle carte dello Spano, era d’uso sciogliere Sa Pippia de Maju (mazzo di fiori una volta fatto di sole pervinche a cui poi si sono
aggiunte le viole e le mammole) per spargerne il contenuto sulla folla,
tradizione poi tramontata, in quanto ora Sa Pippia de Maju viene gelosamente
conservata.
È questo un passaggio, se
vogliamo analizzarlo con attenzione, che rappresenta un importante cambio di
valore di questo simbolo: da quello Comunitario a quello Individuale. Col disfacimento de Sa
Pippia de Maju, con il Componidori che sparge il contenuto sulla folla, la protagonista dell'evento è la Comunità, la vera titolare della gara, poi delegata per l’esecuzione al
Capocorsa. Con la trasformazione successiva, il fatto che Sa Pippia de Maju venga
conservata intatta a ricordare quel Componidori, si passa dall’attribuzione di
valore Comunitario a quello Individuale, ovvero al Componidori, Re, seppure per
un giorno.
Il libro di Erika Meles,
cari amici merita davvero di essere letto e conosciuto, corredato com’è, tra l’altro, dalle splendide fotografie di Francesca Marchi, perché le nostre tradizioni,
vissute tempo per tempo, non vanno mai dimenticate!
A domani.
Mario
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