Oristano
21 Settembre 2015
Cari amici,
Settembre è il classico
mese dedicato alla vendemmia. Chi si aggira in questi giorni per le nostre
campagne, dove ancora sopravvivono piccoli vigneti familiari, può osservare
l’impegnativo compito di tagliare l’uva che, dopo essere stata riposta
amorevolmente nei cesti, viene trasportata in cantina per la
vinificazione. Bevanda antica il vino,
forse nata casualmente, magari dalla naturale fermentazione dell’uva lasciata a
lungo nei recipienti di raccolta. Nel 1996 in una zona dell’Iran, fu scoperta
una giara di terracotta, della capacità di 9 litri, che conteneva una sostanza
secca proveniente da grappoli d’uva. L’analisi dell’antico reperto diede questo
responso: il succo secco era risalente a circa 7.000 anni fa. Gli storici, tra
l’altro, pensano che il vino sia ancora più antico e risalga ad epoche ancora più
remote.
Questo iniziale succo d'uva fermentato era certamente molto diverso da quello che noi oggi beviamo. Solo i Greci
e i Romani iniziarono a “vinificare” l’uva in modo abbastanza simile al metodo
attuale. Secondo lo storico greco Tucidide, la coltivazione della vite e
dell’ulivo segnò la linea di confine tra la cultura barbara e quella civilizzata.
La capacità di donare all'uomo la leggerezza e il riso dell’ebrezza, ha fatto sì
che questa bevanda prendesse il titolo di “nettare
degli dei”, capace di collegare il mondo terreno con quello divino, ed
entrando, a pieno titolo, all'interno della religione e del culto. Nell'antica Grecia, teatro, vino e religione erano temi profondamente correlati. Dionisio,
considerato nel mondo greco il dio del vino, incarnava perfettamente questo legame.
Nel mondo romano era invece Bacco a rappresentare quest’unione, e metteva in luce la gioia che l’antico popolo latino aveva verso una bevanda che aumentava notevolmente
i piaceri dei sensi.
In Sardegna le più
antiche testimonianze della coltivazione della vite si fanno risalire al XV-XIV
sec. a.C. A Borore, presso il sito Duos Nuraghes, sono stati rinvenuti dei
vinaccioli carbonizzati che evidenziavano una sicura vinificazione. Le attrezzature e le tecniche
di lavorazione delle uve da trasformare in vino, erano costituite da manufatti realizzati in pietra, e da raccolta e spremitura a mano; riscontri positivi sono stati accertati
sia in alcuni insediamenti nuragici (Genna Maria-Villanovaforru, Monte
Zara-Monastir), che in altri, risalenti sia ad età punica (Truncu ’e
Molas-Terralba) che romana (Arrubiu-Orroli, S’Imbalconadu-Olbia).
Nei secoli successivi,
alle iniziali coltivazioni di specie viticole poco selezionate, si aggiunsero
incroci e varietà sempre più diversificate: Bovale Sardo, Bovale di Spagna,
Moscatello, Semidano, Vermentino, Nasco, Barbera Sarda, etc.. La coltivazione
della vite in Sardegna, per secoli non è avvenuta nei modi e con le modalità che pratichiamo oggi: l’allevamento delle piante di vite avveniva con l’utilizzo di sostegni
vivi, come querce, bagolari, lecci e frassini, e le coltivazioni avvenivano nelle vicinanze
di corsi d’acqua e ai margini dei confini di proprietà. Anche la lavorazione
dei grappoli da vinificare avveniva sempre con sistemi arcaici prima menzionati: mediante l’utilizzo di
vasche per la pigiatura chiamate lacos
de catzigare. Erano questi dei rudimentali recipienti, scavati nella roccia
affiorante delle campagne, e costituiti da un sistema di due vasche comunicanti
attraverso un foro o un’apertura a canaletta.
La vasca superiore era
denominata sa pratzada, ed era scavata leggermente
inclinata, di non grande profondità e di forma grossolanamente semicircolare; risultava più ampia rispetto alla seconda, posta un gradino più in basso e deputata a ricevere la parte liquida riversata dalla prima vasca. Questa vasca sottostante, chiamata su lacu, era profonda circa 40 cm. e di
forma normalmente rettangolare, anche se non mancano varianti tondeggianti. La
spremitura dei grappoli avveniva con la tecnica secolare della pigiatura con i
piedi, effettuata da un pigiatore esperto (su catzigadore). Il mosto così
ottenuto veniva poi versato negli otri (sas butzas) che, trasportati a dorso
d’asino, venivano successivamente travasati nelle botti (sas cubas) dove
avveniva la fermentazione.
Le vinacce residue, dopo
la prima spremitura, non venivano gettate via, in quanto erano considerate
ancora utili; esse venivano poste a macerare in una miscela composta di acqua e
zucchero, in modo da far ripartire la fermentazione; dal succo idroalcolico ricavato
(ancora ben colorato) si otteneva un vinello leggero, su piritzolu, una bevanda identica a quella che gli antichi romani
chiamavano "Iora". Questo vino povero era destinato alla servitù,
in quanto i padroni della terra, i “Prinzipales”, consideravano i propri
servitori non degni di bere il “vino vero”,
quello ottenuto dalla sola uva. Questa, purtroppo, era la logica che caratterizzava la
cultura della Civiltà Contadina, a lungo imperante nei secoli scorsi.
Questa particolare
metodologia di ri-vinificazione delle vinacce in acqua e zucchero consentiva di
ricavare una bevanda pronta in tempi rapidi: dopo tre giorni di lavorazione e
una ventina di riposo, il vinello ,dopo un travaso e una leggera
chiarificazione, poteva tranquillamente essere bevuto subito, senza attendere i
tempi ordinari richiesti dal vino di prima spremitura.
Qualche anno fa, per
rispolverare questa antica tradizione contadina, a Macomer l’Associazione
culturale “Coro Melchiorre Murenu”, con il patrocinio del Comune e in
collaborazione con l’agenzia Laore, Esedra e naturalmente i viticoltori e ‘vignaioli
per passione' macomeresi, hanno organizzato un’apposita sagra, chiamata proprio
de “Su Piritzolu”, che si tiene di anno in anno proprio in questo periodo, tra fine Settembre e Ottobre, e che ha ottenuto finora un buon successo.
Cari amici, la Sardegna
annovera oggi molte pregiate qualità di vino, derivate dall'alta qualità delle
sue uve maturate al caldo sole di Sardegna, terra incontaminata e unica al
mondo. Certo, l’insularità ci crea costi e oneri superiori a quelli degli
altri, ma questo non ci deve scoraggiare: la qualità vale certamente qualcosa
di più. Facciamola valere questa nostra grande unicità tutta sarda!
Ciao, amici, a domani.
Bacco, il dio del vino (Caravaggio)
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