martedì, aprile 07, 2015

JOBS ACT E LAVORO: LE NORME POSSONO FAVORIRLO, NON CERTO “INVENTARLO” PER DECRETO.



Oristano 7 Aprile 2015
Cari amici,
dopo un lungo e penoso iter parlamentare il “Jobs Act” è diventato norma di legge. Apparentemente una vittoria del Governo sui detrattori, sui frenatori, su quelli legati al vecchio concetto di “protezione a tutti i costi” dei lavoratori, a prescindere dall’impegno prestato, dal rendimento, dal necessario feeling che dovrebbe sempre legare chi il lavoro lo da e chi lo riceve.
La nuova legge, se da un lato è riuscita a scrostare determinate sedimentazioni che rendevano difficile se non impossibile la fluidità necessaria per consentire alle Aziende di poter competere ad armi pari sui mercati internazionali, dall’altra potrebbe risultare effettivamente poco efficace, se questa legge non verrà accompagnata da ulteriori provvedimenti tali da rendere, per le Aziende, appetibile e vantaggiosa la ripresa produttiva, in quanto solo in presenza di maggiore produzione potrà verificarsi anche l’inserimento massiccio di ulteriore manodopera.
Non sono certo io il primo a sostenere, come una sacrosanta verità, il detto che “il lavoro non si crea per decreto”: la legge può e deve, certamente, regolamentarlo, non certo di punto in bianco inventarlo, perché è l’impresa che da sempre il lavoro lo crea.   L’Italia è un Paese che manca di molte materie prime, quindi è più che altro un paese “trasformatore” importate. A causa delle rovinosa crisi che, complice la Globalizzazione, ha stravolto il mondo della produzione in campo mondiale, le Aziende italiane non potevano far altro che, rallentare prima, per poi arrivare anche alla chiusura.
Da tempo, dunque, l’Azienda Italia soffre di una disoccupazione elevata: di fatto oscilla fra il 12 e il 13%, quando fino a 10 anni fa era mediamente poco sopra il 7%. Il perché di questo aumento della disoccupazione, dunque, non è come molti sostengono misterioso, ma legato a doppio filo al “mercato globale mondiale”: l’Italia, parte integrante di un unico mercato, ha smesso di crescere per mancata capacità competitiva, e, stante la situazione, continua a fare ulteriori passi indietro. Le recenti statistiche indicano che oltre un quarto del sistema industriale italiano ha di fatto chiuso i battenti! La cosa ancora più pericolosa è che risulta che non si tratta solo di un “fermo temporaneo” in attesa di tempi migliori, in quanto risulta che molti hanno chiuso l’attività in modo definitivo.
Sicuramente l’adozione del “Jobs Act”, che risulta ben apprezzato anche dall’Unione Europea, sarà un’importante variabile nel risveglio e nella rinascita del sistema industriale italiano, ma da solo poco potrà contare, se non verranno affiancati ulteriori provvedimenti fiscali incentivanti, per garantire una migliore competitività internazionale. Anche i consumi interni, per poter riprendere in maniera consona, dovranno essere sostenuti con una vera e non fittizia riduzione del carico fiscale, che oggi ha raggiunto limiti insopportabili.
Cari amici, come dicevo all’inizio, inventare nuovo lavoro non è certo facile e, soprattutto, non potrà essere fatto per decreto. L’euforia dei primi giorni dopo l’adozione del Jobs Act, strombazzata a gran voce dal Governo che declamava in lungo e in largo l’aumento degli occupati nei mesi Dicembre 2014 e Gennaio 2015 (la disoccupazione era calata dal 13,2 al 12,6 %), si è presto spenta, in quanto a Febbraio è arrivata gelidamente la notizia che la disoccupazione era in risalita: dal 12,6 al 12,7%. Un fuoco di paglia, dunque, quello intravvisto, in quanto dopo le regolarizzazioni degli occupati da tempo determinato a tempo indeterminato, tutto si è nuovamente fermato.
L’aumento dell’occupazione in modo stabile può avvenire in un solo modo: attraverso la crescita economica. Solo quando le aziende lavorano di più, se il giro d’affari aumenta, allora vengono fatte nuove assunzioni: in caso contrario no. E l’Italia, per ora, ha un tasso di crescita molto basso, insufficiente per innescare una buona ripresa dell’occupazione, come tutti si aspettano. La ripresa vera la si potrà toccare con mano solo quando il Pil segnerà un aumento di almeno un 2% all’anno: un  traguardo che per ora appare praticamente irraggiungibile. Ci saranno forse, con l’aiuto di provvedimenti governativi, solo dei piccoli incrementi dell’occupazione, ma non significativi.
Cari amici, senza una seria inversione di tendenza nella tassazione, sia delle imprese che dei lavoratori e delle loro famiglie, poco potrà cambiare: nelle condizioni attuali il numero dei senza lavoro aumenterà ancora; per produrre di meno serve meno gente sia nei capannoni che negli uffici! Sono immaginabili cambiamenti, in positivo, a breve? Io penso di no. Le previsioni, a bocce ferme, ci dicono che nel 2023, cioè fra otto anni, la disoccupazione in Italia rischia di essere ancora superiore al 10%. Previsione pessimista, direte Voi? Forse. Ricordiamoci che prima della grande crisi del 2007 la disoccupazione era intorno al 7%. Oggi i numeri dicono che, per poter tornare a quel dato, bisognerebbe “creare” almeno un milione e mezzo di posti di lavoro! Un’inezia, insomma!
Che dite, cari amici, lo ritenete possibile? Io mi astengo dalla risposta, aspetto la Vostra.
Ciao, a domani.
Mario

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