Oristano
23 Aprile 2015
Cari amici,
se c’è una virtù
particolarmente utile e necessaria all’uomo, in tempi di crisi come quelli che
stiamo attraversando, questa è la Fortezza.
Definita Fortitudo in latino (in greco ἀνδρεία - andreia), essa è una virtù che
assicura, nelle difficoltà della vita, la fermezza e la costanza nella ricerca
del bene. Viene anche indicata, in modo maggiormente esplicativo, con in
termine coraggio. Già il greco Platone aveva incluso la fortezza fra le più
grandi virtù dell’uomo, e successivamente nella dottrina cristiana ancor meglio
definita “cardinale”, per evidenziare la sua somma importanza, come si può
rilevare, in primis, dagli scritti di Sant'Ambrogio.
Fortezza o Coraggio
sono dunque termini che indicano la capacità dell’uomo di continuare a lottare,
a vivere, nonostante le durezze, le avversità e le forti prove alle quali la
vita lo sottopone. Virtù, dunque, costituita da una non comune forza spirituale
e morale, che Gli consente di non lasciarsi andare, quando invece ci sarebbero
tutte le condizioni per farlo. È la fortezza che ci consente di resistere nella costante ricerca della
giustizia, nei nostri ambienti sempre più corrotti; che ci fa continuare a
pagare le tasse, quando troppi non lo fanno; che ci fa rispettare gli altri
anche quando siamo vilipesi, e ad astenerci dalla violenza dove questa è di
casa.
Essere forti, spesso,
non è facile: richiede impegno e determinazione, fede e coraggio. La vita
comunitaria, in particolare in questo terzo millennio, è sempre più in preda
all’egoismo ed alla prevaricazione, comportamenti che alimentano, giorno dopo
giorno, le disuguaglianze. La fortezza, soprattutto per i tanti delle classi più
umili, è considerata addirittura sinonimo di salvezza: grazie a questa virtù essi
riescono a sopportare l’ingiusta mancanza di risorse, la negazione di molti diritti,
l’assenza di rispetto, riuscendo con dignità a non soccombere. Fortezza la loro
che è evidenziata anche dalla capacità di resistere alle lunghe carestie (gli
esempi delle grandi migrazioni di massa di questo periodo ne sono un esempio
eclatante), causate dalle interminabili guerre pseudo religiose o economiche,
fomentate queste ultime dall’egoismo delle classi più ricche.
Fortezza, cari amici, è
da considerarsi anche l’accettazione rassegnata ma dignitosa delle sventure che
ci colpiscono: come una malattia grave, un fallimento, una vedovanza o una
separazione. La dignità e la forza morale posseduta in questi momenti, ci da la
misura della nostra “fortezza”, della nostra capacita di superare le debolezze,
proprio attraverso la nostra forza interiore. Fortitudo che risulta essenziale per superare e vincere le
tentazioni che ogni giorno costantemente ci assalgono. L’inciviltà causata
dallo spreco nei consumi (siamo i protagonisti della società dell’usa e getta),
dalla propensione più all’egoismo che all’altruismo, dalla pratica speculativa,
sia quella finanziaria che quella del gioco d’azzardo, è la fonte primaria
delle tentazioni che assalgono l’uomo del terzo millennio e che solo la
fortezza è in grado di vincere.
Fortezza è anche evitare
i compromessi, non farsi tentare dalla “corruzione”, sempre più presente e
praticata, rifiutando grandi e piccole donazioni immorali. Fortezza è anche
affrontare con grande dignità le problematiche della vita familiare, senza
cadere nella trappola delle tentazione, del tradimento e dell’egoismo. Essere
forti e responsabili in questo campo significa avere il coraggio di frenare le
proprie pulsioni: non lasciarsi coinvolgere o assecondare un innamoramento
sbagliato, restando fedeli al proprio partner e salvaguardando l’armonia del
proprio focolare domestico.
Fortezza è anche la
virtù dell’imprenditore rispettoso della propria azienda e dei suoi dipendenti,
che non si lascia tentare dalle furbizie, pur apparentemente legali, per
guadagnare di più sulla pelle dei propri operai. L’imperativo morale di essere
forti e coraggiosi è valido in ogni campo: dallo sport, dove fortezza significa
competere senza violare le regole dopando il risultato, alla vita lavorativa,
dove la prestazione deve essere sempre adeguata e mai inferiore o falsamente e
artificiosamente attestata, così come ha la sua grande validità nella politica
e nell’economia.
Certo, praticare
costantemente la fortezza richiede uno sforzo non comune e, spesso, corre un
rischio di non poco conto: quello dell’esaurimento. Senza essere costantemente
alimentata, la fortezza inizia a decadere, ad andare in lento ma inesorabile declino,
perché se è vero che praticando la fortezza questa ci tempra e ci da la forza
di continuare, senza un’alimentazione costante essa svanisce come nebbia all’alba.
Un segnale inequivocabile che la fortezza sta finendo (o è finita) è la comune
frase che spesso si sente in giro: «Non
ne vale più la pena». Guai all’uomo che arriva a rinunciare a praticare la
fortezza!
Cari amici, il mondo
sarebbe certamente molto diverso, senza la pratica di questa virtù. Essa
risulta indispensabile all’uomo per conservare la gioia, la letizia e
l’allegrezza del vivere, non solo nei momenti felici, privi di difficoltà, ma
anche nei momenti in cui dobbiamo affrontare le avversità, come malattie, dissesti
e tradimenti.
Una delle “cose grandi”,
fra le più sublimi al mondo è l’esempio datoci dalle persone che vivono con gioia anche le situazioni più tragiche che la
vita ha dato loro: una malattia invalidante come la sclerosi, per esempio, sopportata
con fede e coraggio. Questo tipo di gioia-virtuosa, praticata sempre con grande
dignità, è un vero inno alla vita, un bene prezioso che arricchisce tutti
coloro che ne sono contagiati.
Da cristiano, amici
miei, voglio dirvi che vivere la vita
terrena praticando la fortezza, rende il giogo delle lunghe avversità terrene più
leggero, persino soave.
A presto, amici! Magari
tra qualche giorno esamineremo la quarta ed ultima virtù: la Temperanza.
Mario
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