Oristano
25 Novembre 2017
Cari amici,
C’è indubbiamente un
rapporto di valore importante, tra la data di andata in pensione e la durata
della vita residua, che in parole povere significa "per quanti anni potrai percepirla". Più tardi si inizia a godere della pensione, minore è
ovviamente la durata del trattamento pensionistico. In Italia dopo la famosa (o
famigerata, secondo alcuni) riforma Fornero, l’allungamento dell’età
pensionabile ha, inciso notevolmente sulla durata della corresponsione
della rendita. Se è pur vero che la riforma ha una base credibile (l’allungarsi
della vita media), per l'Ente pagatore, l'INPS, significa "risparmiare", evitare di erogare un trattamento pensionistico troppo lungo. Le statistiche attuali, a questo proposito, hanno messo in evidenza un dato certo,
difficilmente contestabile: in Europa
l’Italia è il Paese nel quale la durata della rendita pensionistica è la più bassa in assoluto!
Si, la realtà è che gli
italiani, secondo le statistiche, godono sì di buona salute e hanno un'ottima
aspettativa di vita, ma in realtà, a seguito dell’allungarsi di 3 anni del
collocamento a riposo, i nostri pensionati, rispetto alla media europea, godono
la loro pensione per un numero inferiore di anni rispetto ai colleghi degli
altri Paesi dell’Unione Europea. Questo dicono le statistiche, quindi sono una
realtà incontestabile. Ma vediamo meglio il problema nei dettagli.
I pensionati uomini
italiani percepiscono l'assegno pensionistico per una media di 16 anni e 4
mesi, ben 2 anni e 5 mesi in meno rispetto alla media europea; le donne per 21 anni
e 7 mesi, quindi per 1 anno e 7 mesi in meno, rispetto alla media europea. La realtà è
che siamo praticamente
all'ultimo posto tra le economie più
avanzate della UE e anche parecchio indietro in generale, nella classifica
della UE a 28 Stati. A stilare questa non bella fotografia è stata la UIL, che
ha reso pubblici i dati proprio alla vigilia del doppio incontro col Governo
sulle pensioni.
Il sindacato, che non
perde occasione per contestare in tutte le sedi la “pessima” (così viene
definita) riforma Fornero, lo ha
fatto per ribadire la contrarietà del sindacato al prossimo, ulteriore adeguamento
automatico dell’età pensionabile che scatterà nel 2018. "Non c'è nessun motivo di
aumentare l'età pensionabile in modo generalizzato, continuando a fare parti
uguali tra diseguali", ha ribadito il Segretario Confederale
Domenico Proietti. Nelle 3 tabelle allegate viene evidenziato, per i Paesi
europei, il periodo medio di percezione della pensione di vecchiaia in base
all'età pensionabile e all'aspettativa di vita a 65 anni.
Salvo variazioni,
pertanto, dal 2018 le pensioni, per uomini e donne saranno unificate, e le
donne andranno in pensione alla stessa età degli uomini. Una misura che, in soldoni, significa che le dipendenti staranno
al lavoro fino ai 66 anni e sette mesi. Insomma, per le lavoratrici italiane
scatterà l'età pensionistica più alta d'Europa! Età pesante, quella riservata alle
lavoratrici italiane, come in nessun altro Paese d’Europa!
Si, amici, al momento
l'Italia guida la classifica europea per quanto riguarda l'età necessaria per
lasciare il posto di lavoro. L'adeguamento all'aspettativa di vita porterà a un
ulteriore accrescersi del divario nei prossimi anni, quando (nel 2019) si
arriverà a 67 anni di età. Per fare un confronto, per esempio, la Germania si
porterà ai livelli italiani soltanto nel 2030. La Francia toccherà "quota
67" nel 2022 e per quanto riguarda il Regno Unito bisognerà attendere il 2028.
Insomma (nel male) qualche volta siamo proprio i primi!
A leggere con
attenzione i dati delle tabelle prima esposte, possiamo davvero constatare
quanto sia diventato iniquo il salto “in
negativo” fatto con la riforma pensionistica. Qualche esempio può meglio
chiarire. In Francia, il Paese UE al primo posto, quanto alla durata della percezione
della pensione (considerato che si lascia il lavoro a 60-62 anni), gli uomini
la percepiscono per 8 anni e 1 mese in più rispetto agli italiani; se poi
prendiamo ad esempio il Regno Unito (che nonostante la Brexit ai fini
statistici fa ancora parte dell’Unione) le donne, pur avendo un’aspettativa di
vita pari a 85 anni e 10 mesi e quindi di circa 1 anno e 4 mesi più bassa di
quelle italiane, poiché accedono alla pensione a 60 anni, godono dell’assegno
previdenziale per 4 anni e 3 mesi in più delle donne italiane.
Cari amici, stante
questa situazione, i sindacati premono per “congelare
l’adeguamento automatico” e avviare un tavolo di studio che consideri le
peculiarità dei singoli lavori, come previsto nel verbale siglato tra Governo e
sindacati lo scorso 28 Settembre 2016”. Ragioni certamente valide, ma a fare la
differenza ci sono, purtroppo, le casse dell’INPS sempre più disastrate! Che
fare allora? Difficile stabilire una ricetta valida e sicura, in grado di non
creare un default nel nostro Ente previdenziale. Il nodo da sciogliere,
pensate, non è né semplice né facile.
Il problema però, non
scordiamolo, è a monte. Se la nostra economia non è in grado di far lavorare i
giovani, e trattiene gli anziani al lavoro alle soglie dei 70 anni, come sarà
possibile trovare il giusto equilibrio tra introito dei contributi e il
pagamento delle pensioni? Che fare, dunque? Potrà sopravvivere il sistema o
andrà in default? Difficile dare una risposta, se non ci sarà una ripresa
economica di spessore…
A domani.
Mario
Nessun commento:
Posta un commento