Oristano 10 luglio 2021
Cari amici,
Ci sono momenti in cui,
per tutta una serie di ragioni, la disoccupazione la fa da padrone e molte
famiglie stentano a cucire il pranzo con la cena e a gestire, anche al lumicino, il ménage familiare. In situazioni come questa lo Stato interviene sostenendo e
famiglie in difficoltà con interventi assistenziali che in Italia hanno preso il nome il nome
di “Reddito di cittadinanza”; sostegno che, seppure necessario a soddisfare i bisogni
primari, non ha realmente risolto il problema di fondo: quello di sostenere e incentivare l’occupazione, creando le condizioni per la nascita di nuovi posti di lavoro e quindi migliorare l’economia.
Detto in parole povere, questo
“reddito assistenziale” se da un lato mitiga la fame momentanea, non
risolve di certo il problema vero: trovare un lavoro a chi non ce l’ha. In un
mio recente post su questo blog ho criticato non poco le modalità attuali di
erogazione di questo reddito, sostenendo anche che, a mio avviso, l’impostazione
era errata, in quanto le erogazioni avrebbero dovuto avere, come contropartita,
l’impegno lavorativo del beneficiario di questo sostegno, svolto, tanto per esempio, in
favore del Comune di residenza, dove c’è certamente tanto bisogno.
Oggi, però non voglio tornare
sull’argomento già trattato, ma ragionare con Voi delle due tesi che su
questo argomento si scontrano: la prima, la così detta “leggenda del
sussidio pigro”, che sostiene che non è vero che i sussidi cancellano o
attenuano la voglia di lavorare e la seconda, antitetica tesi, che afferma invece
che chi guadagna dei soldi senza lavorare, e quindi può fare la cicala, non viene stimolato ad impegnarsi nella ricerca di un lavoro ma addirittura è portato a rifiutare le eventuali
proposte ricevute. Credo che entrambe queste teorie meritino un’attenta
analisi.
I fautori della Leggenda
del sussidiato pigro portano l’acqua al proprio mulino sostenendo che l’essere
umano è istintivamente portato ad impegnarsi, quindi a lavorare. Come molti altri animali, che si producono in
sforzi prolungati e apparentemente inutili (alcuni uccelli come i tessitori
costruiscono e distruggono freneticamente i propri nidi, le termiti creano
strutture a volte assai sovradimensionate rispetto alle loro esigenze, etc.),
la specie umana opera allo stesso modo: cercando sempre di rimanere impegnata in attività,
incapace quindi di restare con le mani in mano! L’uomo, si sostiene, come si può constatare fin da
quando è bambino, non riesce a stare mai fermo, operando e impegnandosi in attività
anche fantasiose, come ad esempio, anche da grande, quando è in vacanza.
L’essere umano,
a differenza delle altre specie, non pensa solo a soddisfare le normali
esigenze di sostentamento, ma, da essere sociale, opera per realizzarsi nella
sua Comunità per avere posizioni elevate
e di prestigio. Ne sono un esempio, dicono i fautori di questa teoria, i nostri
antenati che durante i lunghi inverni dell’ultima glaciazione, chiusi nelle
loro caverne, si producevano in magnifiche pitture rupestri mentre i loro
coinquilini, gli orsi delle caverne, andavano in letargo. A maggior chiarimento
di questa teoria viene portato anche uno studio della Banca Mondiale del 2013.
Questo studio ha cercato
di dimostrare che i soldi dati in sussidio non venivano sprecati dai percettori
del reddito assistenziale (come per esempio in alcol o sigarette) ma utilizzati
con parsimonia nella gestione corrente o risparmiati. La motivazione parrebbe
derivare sempre dal passato: l’uomo avrebbe mantenuto la paura atavica di
essere rifiutato dalla Comunità che lo aveva assistito, in quanto in passato
ciò voleva dire essere abbandonato dalla tribù in un ambiente ostile e di
conseguenza morire; e tanto più era debole, tanto più eri un soggetto a
rischio.
Molto diverso, invece, il
concetto opposto, portato dai fautori della teoria che il reddito di sostegno, erogato
senza chiedere in cambio una prestazione lavorativa, sia qualcosa di totalmente
errato. Ricevere erogazioni di denaro senza far nulla, senza dare niente in
cambio, comporta quella sindrome che viene definita “pigrizia lavorativa”; ciò
significa che il percettore di questo reddito è portato non solo a non cercare
lavoro, ma anche a rifiutare eventuali offerte lavorative, accontentandosi del
sussidio erogato senza nulla dover dare in cambio!
A chiara dimostrazione di
ciò, tra l'altro da me ben evidenziato nel mio precedente pezzo prima richiamato, a distanza di tempo, nonostante il “Reddito di
cittadinanza” sia stato concesso in pompa magna con la dichiarazione che esso era propedeutico ad una
successiva collocazione lavorativa, ben pochi sono stati i posti di lavoro nati
da questa misura (che è costata molti miliardi di euro), con l’ulteriore
aggravante che quest’estate mancano moltissimi lavoratori stagionali che prima invece
risultavano abbondanti. Questo sistema iniquo non fa altro che condurre molte
persone nella cosiddetta “trappola della povertà”: "se trovare un lavoro
– magari sgradevole, di certo non scelto – mi toglie il sussidio, allora
preferisco tenermelo, anche se lo stipendio fosse più alto".
Cari amici, sapete bene
che io propendo per la seconda teoria, ovvero che il reddito assistenziale, senza
una contestuale richiesta di prestazione lavorativa, sia una forma non solo poco
equa ma anche disincentivante per la ricerca o l’accettazione di un’occupazione.
Se quella montagna di miliardi spesi per il “Reddito di Cittadinanza” avesse
coinvolto in primis le aziende, sostenendole con incentivi per l'assunzione di lavoratori, credo che di posti di lavoro ne sarebbero saltati
fuori mica pochi!
A domani.
Mario
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