Oristano
26 Luglio 2015
Cari amici,
l’attributo di “Ottavo vizio capitale” dato all’indifferenza,
fu quasi certamente coniato per la prima volta da Don Andrea Gallo, in
un’intervista fattagli in occasione dell’alluvione di Genova. Restai colpito
dalla forte affermazione di questo vecchio prete, perché mi sembrava un
appellativo particolarmente adeguato, usato per definire un incomprensibile comportamento
assente, privo di qualsiasi partecipazione emozionale. “Questa alluvione non è certo una
novità per noi, e questo è triste. Ma le cose peggiori sono l’indifferenza
della gente e lo scaricabarile dei politici”, sosteneva il prete, 83
anni suonati, trascorsi a Genova a lottare per gli emarginati e contro i non
pochi pregiudizi della gente. Certo da prete conosceva bene i vizi capitali
dell’uomo, vizi mai dismessi, mai abbandonati, anzi, sotto certo aspetti
incrementati nel tempo, proprio come l’indifferenza, sempre più diffusa.
“A volte l’indifferenza
e la freddezza fanno più male che l’avversione dichiarata”,
sostiene J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, facendo capire che si può
amare o odiare, ma che restare indifferenti è qualcosa di assolutamente inconcepibile.
Definire qualcuno indifferente, significa considerarlo neutro, inanimato. L’indifferenza
è associata all’insensibilità, al distacco ed alla freddezza, caratteristiche
che in teoria portano verso una vera e propria asocialità, in quanto per l’essere
umano relazionarsi, sia in senso positivo che negativo, è una condizione
sociale, assolutamente necessaria.
L’indifferenza è un vero
vizio sociale, che spesso si propaga rapidamente diventando contagioso. La vita
tutti i giorni si presenta costantemente piena di momenti e situazioni in cui è
difficile restare indifferenti. Possiamo essere più o meno interessati a quello
che succede, a volte anche disgustati, ma non possiamo di certo restare inerti.
Partecipare, condividendo o rifiutando, è sempre un modo di “vivere le
situazioni”: schierarsi in un campo, favorevoli o contrari che sia, è comunque
un modo di percepire gli stimoli, manifestare consenso o dissenso.
Restare indifferenti significa continuare
a nutrire l’egoismo innato che c’è in ogni uomo. Significa alimentare
l’individualismo a scapito dell’altruismo, significa pensare a se stessi
dimenticando gli altri: in sintesi estraniarsi nei confronti del mondo che ci circonda. Di
recente Papa Francesco, in una delle sue quotidiane esternazioni ha detto: “…
succede che quando noi stiamo bene e ci sentiamo comodi, certamente ci
dimentichiamo degli altri (cosa che Dio Padre non fa mai), non ci interessano i
loro problemi, le loro sofferenze e le ingiustizie che subiscono… allora il
nostro cuore cade nell’indifferenza: mentre io sto relativamente bene e comodo,
mi dimentico di quelli che non stanno bene. Questa attitudine egoistica, di
indifferenza, ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo
parlare di una globalizzazione dell’indifferenza...”
Si, ha detto bene il Papa: l’indifferenza si è globalizzata”! Come
un cancro continua ad espandersi, a contagiare tutto il mondo, anzi “quella
parte del mondo” che sta meglio, ignorando chi è in difficoltà, chi soffre. Se
ancora oggi oltre due miliardi di persone soffrono di malnutrizione, e la metà
di loro anche di fame cronica, la causa, nonostante le belle parole delle Nazioni
più ricche, va ricercata soprattutto nella mancata volontà di condivisione dei
beni con gli altri; nell’Occidente sviluppato, spesso, i beni di prima
necessità sono più che abbondanti, ma vanno invece dispersi, sprecati, anziché
essere condivisi.
Cari amici, la nostra
società oggi, nel Terzo Millennio, appare popolata non da una Comunità unita,
coesa, disposta ad una reciproca vita comune di amicizia e di servizio, ma
tutto il contrario! Essa appare popolata da un “Folla solitaria”, come l’ha ben definita David Riesman, fatta di
passanti distratti e noncuranti, affetti dall'indifferenza dell'uomo verso
l'uomo, dotati di una moralità precaria e asservita esclusivamente all'interesse
personale.
Come non pochi di Voi sanno,
sono rotariano da molti anni e già prima di entrare a farne parte conoscevo il
suo motto operativo “Servire al di sopra
dell’interesse personale”. Motto che rispecchia, come dicevo prima, l’altruismo
in tutte le sue manifestazioni, prestato agli altri sotto forma di amicizia, etica,
tolleranza, sostegno, aiuto e servizio, rivolto in particolare alle fasce più
deboli. Ho letto su Internet di una recente “conversazione rotariana”, tenuta presso il Rotary Club di
Cosenza Nord dal suo Past President Gianfranco Marcelli, che aveva per titolo “Coscienza e Indifferenza non possono
coesistere”. Tema prettamente etico quello trattato, esplicato attraverso
un percorso partito dal XVII secolo, passando da Cartesio a Kant (con l”io
penso”), poi da Fitchte, attraverso l’”io assoluto”, per arrivare al moderno
pensiero di Papa Francesco. Quale la sostanza della dotta relazione? Eccola.
Coscienza
come antidoto non solo al male ma anche ad
indifferenza, abulia e abitudine, sostiene Marcelli. Citando prima Oriana
Fallaci (“L’abitudine è la più infame delle malattie…”), poi Gramsci (“Odio gli
indifferenti …”), Marcelli ha detto che “la nostra (quella di rotariani) è una
postazione privilegiata nella società, abbiamo tutti un livello culturale
adeguato, siamo tutti portatori di esperienze qualificate, sentiamo tutti la
necessità di allargare gli orizzonti della nostra conoscenza, quindi della
nostra consapevolezza, quindi di arricchire la nostra coscienza. Persone che
hanno queste caratteristiche e che costituiscono, sono sicuro, la maggioranza
dei rotariani, non potranno mai essere sopraffatti dall’offuscamento dell’abitudine”.
Parole sante, perché personalmente
ritengo che (cattiva) abitudine e indifferenza siano praticamente lo stesso male. Se
George Bernard Shaw sosteneva che “Il peggior peccato contro i nostri simili
non è l’odio ma l’indifferenza”, Martin Luther King, invece, affermava:
“Non ho paura della cattiveria dei maligni
ma del silenzio degli onesti”.
I rotariani possono e debbono fare la differenza.
I rotariani possono e debbono fare la differenza.
Grazie amici, a domani.
Mario
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