Oristano 7 agosto 2024
Cari amici,
Che la SARDEGNA sia una
terra antichissima, patria di un popolo di alta cultura che ha dato vita alla
così detta “CIVILTÀ NURAGICA”, viene confermato ogni giorno che passa. Di
recente, come riporta il giornale on line “VISTANET”, nella Barbagia di
Seulo, precisamente in territorio di
Esterzili, località Cuccureddì, un altopiano posto a quasi mille metri d’altezza,
è stato scoperto su uno dei versanti del Monte Santa Vittoria, un antichissimo
insediamento nuragico, contenente un vero e proprio tesoro archeologico, che,
pensate, ha contribuito ad alimentare ulteriormente una antica leggenda
popolare che poi riporto.
Il ritrovamento ha
riguardato, un “tempio a megaron”, considerato il più grande finora conosciuto in
Sardegna. L’antica struttura nuragica fu
edificata in un meraviglioso contesto scenografico, in quei tempi certamente
incontaminato! In questo antico tempio è stato rinvenuto n vero “tesoro”, come
affermano gli esperti, considerato straordinario. Questo tempio nuragico, un
vero e proprio santuario, fu edificato nell’età del Bronzo recente, alla fine
del XIII sec. a.C., e – secondo gli archeologi – fu edificato sovrapposto ad una
struttura nuragica preesistente, parte di un precedente villaggio, che occupava
il territorio. Ciò è dimostrato da alcune capanne dell’abitato più antico, che
furono inglobate nelle strutture murarie del nuovo recinto.
Il “tempio a megaron”, posto
all’interno di un recinto di forma ellittica, è davvero grande: misura 22 metri
e mezzo di lunghezza e poco meno di otto di larghezza. La struttura
rettangolare, con forma allungata, è costituita da un vestibolo (detto “in
antis”, realizzato sul prolungamento dei muri laterali, una cella divisa in due
ambienti e un piccolo opistòdomo (è questo un vano distilo in antis, ovvero con
due colonne tra le ante), situato dietro la cella, sul lato opposto
all’ingresso. Il materiale da costruzione usato è lo scisto, lavorato in
blocchi squadrati e disposti a filari orizzontali.
La prima camera, di
pianta rettangolare (m 8 x 4,5), è dotata di un largo bancone-sedile di lastre
di scisto; lungo il suo sviluppo è presente una lastra ortostatica che
delimitava una sorta di piccolo ripostiglio. Anche la seconda cella è provvista
anch’essa di bancone-sedile. Entrambi gli ambienti conservano tracce del
battuto pavimentale, con le impronte delle lastre di copertura. Lo scavo di
questi ambienti ha restituito pestelli, macine, lisciatoi, denti di falcetto,
schegge di ossidiana, ciotole ed olle, attribuibili cronologicamente al Bronzo
recente e finale.
L’indagine archeologica
degli strati superficiali dell’area d’ingresso del recinto ha consentito
infatti il recupero di un tesoretto di monete di età romana, che attesta la
continuità di frequentazione del sito fino ad epoca storica. Il recente scavo
del vestibolo ha portato al rinvenimento, nel lato destro del bancone-sedile,
di una straordinaria composizione di bronzi votivi, con un personaggio
abbigliato di stola che sostiene un cervo da offrire alla divinità e che, nel
contempo, fa il gesto di offrire – con la mano destra – un piatto sul quale
sono posati strumenti da caccia (palle da fionda, una corda, uno stocco): un
cane, munito di collare, tiene ancora abbrancata la preda.
Lo stesso cacciatore
offre ancora un muflone, un toro, una colomba poggiata al centro di grandi
corna e un uccello che originariamente stava infilato in una spada tramite una
fessura passante. La scena è costituita, inoltre, da due sacerdotesse
ammantate, rappresentate nell’atto della preghiera, che sostengono una sorta di
torcia con le fiamme, e da due figurine maschili con una stola sulle spalle,
armati di pugnale, che porgono un’olla a colletto sostenuta da una corda. Ancora, un arciere con
veste militare borchiata, che rimanda alla tradizione orientale, ma con un
copricapo sormontato da 4 corna convergenti verso l’alto, di tradizione
nuragica. L’arciere è simile a quelli ritrovati nel santuario di Santa
Anastasia di Sardara. All’interno della prima camera di Domu de Orgia
era deposto un altro bronzetto rappresentante un cacciatore offerente che porta
sulle spalle un muflone. Nello stesso vano, in corrispondenza del
bancone-sedile, sono stati rinvenuti frammenti di olle con decorazioni
plastiche, ciotole, vasi per l’acqua necessaria durante le abluzioni rituali e
piccoli recipienti in miniatura.
Cari amici, questo
ritrovamento non fa che confermare le leggende che hanno riguardato questo
territorio. Secondo una di queste leggende, in questo tempio operava e abitava una Strega
o, forse, meglio dire una fata, di nome Orgia. Un giorno, però, gli abitanti
del luogo decisero di scacciarla dalla propria dimora (altre versioni dicono
che le furono uccisi i figli). Lei, però, subito l’affronto, decise di
vendicarsi. Prima di andare via lasciò sul posto due orci: uno pieno di api e
l’altro pieno di musca Macedda (secondo diverse leggende sarde, “Sa musca Macedda”
era un grosso insetto, la cui puntura era velenosa e mortale). Gli abitanti, dopo la sua
partenza, trovarono gli orci ben sigillati. In alcuni la tentazione di aprire
quello delle api era forte, per ricavarne del miele, ma temevano di sbagliare e
magari aprire quello mortale! Per cui gli orci furono nascosti sotto terra e
non furono mai aperti. La leggenda narra che i due orci stanno ancora lì, sotto
terra, proprio vicino al tempio. (le foto a corredo, prese da Facebook, sono di
Mario Fsnci Carcangiu).
Cari amici, questo
ritrovamento è la conferma che la nostra straordinaria Sardegna è uno scrigno
ancora pieno di meravigliosi segreti!
A domani.
Mario
1 commento:
Il tuo reportage basta e avanza caro Amico Mario non mi permetterei pur sempre piccolo. Grazie sempre
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