giovedì, ottobre 03, 2013

STORIA DELL’ANTIQUARIUM ARBORENSE, NATO NEL 1938 DALL’ACQUISIZIONE DA PARTE DEL COMUNE DI ORISTANO DELLA PRESTIGIOSA “COLLEZIONE PISCHEDDA”.



Oristano 3 Ottobre 2013

Cari amici,

la mia recente riflessione sull’illustre oristanese Peppetto PAU, primo direttore dell’Antiquarium Arborense, mi da l’opportunità di parlare qui del nostro museo, che può essere considerato uno dei più importanti della Sardegna.

L’Antiquarium Arborense nasce ufficialmente nel 1938 con l’acquisizione al pubblico patrimonio della pregiata Collezione Pischedda, messa su da Efisio Pischedda, avvocato di Seneghe, amante sin da giovane di archeologia e antichità, che strinse fruttuosa amicizia con il canonico Giovanni Spano, responsabile per i Musei e gli scavi della Sardegna.
Efisio Pischedda era nato a Seneghe, centro dell’Oristanese, nel 1850 da un’agiata famiglia di possidenti. Da loro viene avviato alla carriera in legge, dato che suo padre era notaio e sua madre apparteneva ad una famiglia di magistrati. Il suo grande interesse per l’archeologia gli fu facilitato sia dall’esercizio della professione forense, che lo mise in contatto con clienti legati a questo mondo, che dalle frequentazioni e dalle amicizie coltivate nell’ambiente dei Musei e delle Antichità. L’amicizia, in particolare, con il  Canonico Spano, primo Commissario per i Musei e gli Scavi della Sardegna e poi direttore del Museo di Cagliari, gli consentì di acquisire, non appena ne ebbe notizia, la preziosa collezione di Giovanni Busachi, di cui faceva parte un preziosissimo scarabeo intarsiato con punte d’oro, insieme ad altri numerosi reperti che Busachi aveva messo insieme in trent’anni di lavori e scavi. Dopo la morte del Canonico Spano, avvenuta nel 1878, Pischedda strinse cordiali rapporti con il suo successore, Filippo Vivanet e con il fedele discepolo dello Spano, Filippo Nissardi. Attraverso questi buoni legami, nel luglio del 1891 il Pischedda chiese e ottenne dal Ministero dell’Istruzione Pubblica il permesso per effettuare degli scavi a Tharros e nel Sinis di Cabras.

I suoi primi scavi riguardarono la zona de “Su Muru Mannu”, la fortificazione muraria a ponente della torre di San Giovanni di Sinis, dove rinvenne diverse tombe romane. Successivamente Pischedda proseguì i suoi scavi ottenendo un ulteriore rinnovo della concessione da parte del Ministero. Innumerevoli i ritrovamenti che nelle varie campagne di scavo il Pischedda riuscì a portare a casa, eludendo spesso le relazioni obbligatorie da fare alla Direzione del Museo di Cagliari. Nella Sua abitazione privata in Oristano il Pischedda realizzò un incredibile e straordinario “Museo Privato”, considerato dagli esperti “la più cospicua fra le collezioni private formatesi in Sardegna”, come sostenne con competenza anche l’archeologo Doro Levi.
Per mezzo secolo, sino alla sua morte, Efisio Pischedda accolse nel suo Museo studiosi provenienti sia dall’Italia che da numerose nazioni europee, intrattenendo anche rapporti epistolari con archeologi di chiara fama. Il Pischedda apriva tuttavia le porte del suo museo anche ai rari turisti della Oristano del primo Novecento, tant’è vero che la prima edizione della Guida Rossa della Sardegna, del Touring Club Italiano, citando Oristano, faceva puntuale riferimento alla collezione Pischedda.
Di quella straordinaria originaria collezione, però, mancano oggi i pezzi più preziosi e pregiati, che svanirono nel nulla. Una tradizione orale raccolta dalle labbra dell’ultima governante di Efisio Pischedda, Donna Sara Marongiu, da parte del primo Conservatore dell’Antiquarium Arborense, Peppetto Pau, racconta che la notte della morte dell’avv. Pischedda la cassetta con gli ori punici e romani e le gemme, fu recata ad un misterioso avventuriero che aveva preso temporaneo alloggio all’Albergo Industriale (poi Firenze) in Piazza Roma. 
Così scomparvero i pezzi più preziosi e unici della straordinaria collezione. Anche gli altri reperti corsero il rischio di passare al British Museum e a Berlino. Fortunatamente, otto anni dopo la morte dell’avvocato, nel 1938, il podestà di Oristano Paolo Lugas e l’archeologo Doro Levi riuscirono ad far acquistare al Comune i materiali di Pischedda, dando vita all’Antiquarium Arborense. Una scritta, incisa su una lastra di marmo bianco, commemora l’avvenuta costituzione dell’ “Antiquarium” cittadino.



Il Museo “Antiquarium Arborense” è, dal 1992, ospitato nell’ottocentesco Palazzo Parpaglia.
La collezione Pischedda, acquisita dal Comune di Oristano, si compone di numerosissimi reperti, che sono testimonianza di un arco temporale amplissimo. Dai reperti di Età Prenuragica (5000-1800 a.C.) a quelli del Paleolitico Inferiore (200-150.000 a.C.) ed al Mesolitico (12.000 a.C. circa). A seguire i reperti dell’Età del Rame (2700-1800 a.C.) e dell’Età del Bronzo Antico (1800-1500 a.C). Ben rappresentata, con interessanti reperti, sia l’età Fenicio-Punica che l’Età Romana; anche la successiva Età Vandalico-Bizantina (460-534 d.C. / 534-900 d.C.) è presente con numerosi reperti. Arricchiscono la collezione museale le lucerne mediterranee di produzione africana (sec. V-VI d.C.), tra cui spiccano una lucerna giudaica con la menorah (candelabro a sette braccia), rappresentante la prova della presenza di un nucleo di ebrei a Tharros nel sec. IV d.C., e delle lucerne paleocristiane col chrismon (monogramma di Cristo o della croce gemmata) appartenenti al sec. V d.C. A queste si affiancano le lucerne bizantine di produzione orientale, probabilmente egiziana, del sec. VII-VIII d.C.
Oltre la principale Collezione Pischedda, sono pervenute al Museo, successivamente, altre collezioni. Completano, infatti, la collezione Pischedda cinque collezioni minori donate all’Antiquarium Arborense dalle famiglie: Carta, Vitiello-D’Urso, Sanna-Delogu, Cominacini-Boy e Pau, che comprendono materiali principalmente delle stesse epoche. Eccone per sommi capi la composizione.
La collezione di Angelo Carta, costituita dai suoi antenati intorno alla metà dell’800, raccoglie materiali di età fenicio-punica, romana e bizantina. Segnaliamo fra i primi un’anforetta cartaginese, un askòs a forma di volatile e ceramica attica importata nel V sec. a.C. dai mercanti tharrensi. Per l’epoca romana, oltre alla ceramica sigillata italica e ceramica comune, spicca un’urna cineraria in vetro soffiato verde-azzurro del sec. I d.C. Alla fase bizantina si ascrive la lucerna di produzione orientale (egiziana).
La collezione Vitiello-D’Urso è formata dal corredo di una tomba greca della necropoli di Cirene della fine del IV-inizio III sec. a.C. I materiali funerari sono composti da: un’anfora a vernice nera di produzione alessandrina o apula con graffito sul fondo il nome del proprietario Parmeniskos figlio di Erostratos, una statuetta di divinità femminile, un guttario (vaso per versare l’olio nelle lucerne) e, infine, una coppa a vernice nera.
La collezione Sanna-Delogu comprende materiali preistorici, fenicio-punici, romani e alto-medioevali derivati in prevalenza da Tharros e dal Sinis. Eccezionale importanza ha la statuetta della Dea-Madre in arenaria, riferibile probabilmente all’Eneolitico Antico (2700-2300 a.C). Il vasellame fenicio comprende una brocca con orlo a fungo e altri manufatti di ambito funerario. Di età romana sono le ceramiche a vernice nera, in sigillata italica, in sigillata chiara A e il vasellame comune. Di ambito tardo romano è una lucerna bronzea a forma di piede.
 La collezione Cominacini-Boy è composta da materiale di corredo funerario fenicio-punico e romano, derivato in gran parte dalla necropoli di S.Giovanni di Sinis. Segnaliamo l’askòs configurato a cavalluccio montato da un personaggio con barbetta a punta (artigianato fenicio della fine del sec. VII – prima metà del sec. VI a.C.), importante esempio in Sardegna di oggetto lavorato al tornio. Il vasellame comprende una brocca con orlo a fungo, due brocche con orlo bilobato e un’anfora vinaria di età punica. La ceramica comune romana di età imperiale comprende vasellame da mensa, una lucerna con raffigurato un leone e, infine, un’anfora romana.
La collezione di Peppetto Pau, primo Conservatore dell’Antiquarium Arborense, abbraccia tre millenni e mezzo di storia del Sinis. Dalle ceramiche neolitiche al vasellame nuragico (pintadera, pesi per telaio, olle) al modello di Nuraghe in arenaria gessosa di Cannevadosu (Cabras-OR), alle terrecotte cartaginesi (piatti, brocche, portaprofumi), alle lucerne romane, alle numerose urne cinerarie. Due stele funerarie mostrano la recezione dei simboli cartaginesi da parte delle popolazioni del Sinis tra l’epoca Punica e quella Romana.
Per Chi visita oggi il museo di Palazzo Parpaglia (che si affaccia sia sulla Via Parpaglia che sulla laterale Piazzetta Corrias), l’attuale disposizione dei reperti ha il seguente schema organico:
 il piano terra del museo è riservato alle mostre temporanee, sempre di tema archeologico, mentre il piano superiore è dedicato all'esposizione stabile delle raccolte archeologiche e di alcune tavole di retabli quattro-cinquecenteschi.
La sala archeologica ospita la collezione Pischedda e le altre collezioni minori, costituite da materiali provenienti specialmente dalla penisola del Sinis e compresi nel periodo preistorico e protostorico, dal neolitico alla civiltà nuragica. Sono ben rappresentati anche i corredi tombali fenici e punici (VII-III secolo a.C.), provenienti in particolare da Tharros, e non mancano i reperti di età romana, paleocristiana e altomedievale (II sec. a.C.-VII sec. d.C.). Notevole il plastico ricostruttivo della città di Tharros nel IV sec. d.C. e il plastico ricostruttivo della città di Oristano nel XIV secolo d.C. durante il periodo giudicale, quando la città era circondata da una importante cinta muraria.
La sala retabli espone opere pregevoli quali il retablo di San Martino (XV secolo), il retablo del Santo Cristo (1533, di Pietro Cavaro) e il retablo della Madonna dei Consiglieri (1565, di Antioco Mainas).
L’Antiquarium Arborense è l’unico museo dell’isola a disporre di una sezione espositiva dedicata ai non vedenti e agli ipovedenti, dove è possibile toccare con mano alcuni fra i più bei manufatti esposti al Museo o facenti parte del patrimonio culturale cittadino.
Oristano è città ricca di storie e il visitatore che in futuro vorrà ripercorrere, unitamente alle sue vie, la sua storia potrà a breve anche arricchire la sua conoscenza visitando il Museo Diocesano, di prossima apertura che contiene manufatti di pregio straordinario relativi in particolare al periodo Tharrense.
Spero di poterlo presto visitare anch’io!
Grazie cari amici della Vostra gradita attenzione.
Mario

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