Oristano 12 Luglio 2012
Cari amici,
da parecchi giorni ormai i giornali, in prima pagina, continuano a parlare del nuovo Consiglio di Amministrazione della RAI. Tra veti incrociati ed accordi sottobanco la lotta per accaparrarsi un posto importante in Consiglio continua.
Neanche la proposta di Monti, poi approvata, di mettere al vertice della TV pubblica un nome altisonante come quello di Anna Maria Tarantola, attuale Vice Direttore generale della Banca d’Italia, è riuscita a rasserenare gli animi. Tutto questo credo faccia presumere che, allora, molti altri interessi si celino dietro la facciata della “necessaria pubblica garanzia dell’informazione”! La mano pubblica nel settore delle telecomunicazioni aveva un senso ed era una vera necessità nei primi anni del secolo scorso, non certo oggi. I tempi sono cambiati, cari amici, e le necessità di oggi sono molto diverse da quelle di ieri.
Per poter meglio conoscere il problema di oggi credo sia necessario ripercorrere, anche velocemente, la lunga storia di questa nostra “Mamma Rai”, telenovela che appassionava, appassiona e forse appassionerà ancora a lungo con chissà quante altre puntate le serate degli italiani.
La Rai Radiotelevisione Italiana, Società per Azioni nota più semplicemente come RAI, è la società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia. È una delle più grandi aziende di comunicazione d'Europa, il quinto gruppo televisivo del continente. La società ha origine dal Regio Decreto n. 1067/1923, che affidava allo Stato l'esclusiva sulle trasmissioni radiofoniche da esercitare tramite società concessionarie. È così che il 27 agosto 1924 nacque a Torino l'Unione Radiofonica Italiana (URI), sotto forma di Società anonima (ossia società per azioni per le norme del tempo) creata dal primo Ministro delle Comunicazioni d'Italia Costanzo Ciano. Quattro anni dopo, nel gennaio del 1928, l'URI venne trasformata in Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR), mantenendo una quota in mano ai privati. Il 26 ottobre 1944 l’EIAR si trasforma, diventa la Radio Audizioni Italiane (RAI), sempre struttura privata, ma le azioni furono acquistate dal Ministero delle Comunicazioni, che divenne successivamente Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni. Il 10 aprile 1954, in seguito all'avvio delle trasmissioni televisive regolari (avvenuto il 3 gennaio 1954), la Radio Audizioni Italiane S.p.A. si trasformò in Rai Radiotelevisione Italiana S.p.A. Ultimo passaggio è stato la fusione nel 2004 della Rai Holding S.p.A. (che deteneva la maggioranza relativa delle azioni della Rai) con la Rai S.p.A. diventando quella che oggi è: una società controllata dalla mano pubblica. Con il referendum popolare del 1995 venne abrogata la legge che riservava esclusivamente alla mano pubblica il possesso delle azioni RAI, anche se non si è mai proceduto alla privatizzazione che si intendeva avviare.
La RAI, come detto concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo italiano, non è un’azienda che trova sul mercato i mezzi per svolgere i suoi compiti. Per far fronte al contratto di concessione la Rai riceve dallo Stato un importante finanziamento: incassa il ricavato di un'imposta sugli apparecchi televisivi, chiamata “Canone televisivo”, dovuta da chiunque detenga apparecchi in grado di ricevere trasmissioni televisive. A fronte di questa entrata, la RAI deve rispettare un Contratto di servizio con lo Stato italiano, pena una eventuale revoca della concessione annuale. La concessionaria dal servizio radiotelevisivo pubblico resta impegnata a svolge una funzione di servizio universale di pubblica utilità.
Detto questo, cari amici, e prima di porci delle domande specifiche vorrei fare con Voi una piccola riflessione.
Se nel 1923, anno di nascita di questo “monopolio”, il controllo delle telecomunicazioni poteva avere un senso, legato ai tempi, alla monarchia imperante, ed alla necessità di controllo in un’Italia da poco tempo unita ma non ancora perfettamente consolidata come “Nazione”, oggi, considerati i tempi credo proprio di no. In un millennio come il nostro, dominato dalla globalizzazione, che senso può avere una struttura di “comunicazione”, governata dalla mano pubblica? Sapete qual è l’ironico esempio di confronto che mi viene in mente? Quello della “mano invisibile” in economia, teorizzata e portata avanti da Adam Smith. Il grande economista sosteneva che l’equilibrio dei mercati avviene automaticamente tra compratore e venditore senza interventi esterni modificatori; il “miglior prezzo” di mercato si forma attraverso la selezione naturale tra venditori e compratori (ecco la dimostrazione della “mano invisibile”): solo i migliori venditori riuscivano a soddisfare le esigenze dei compratori, eliminando quelli meno competitivi e capaci. In questa teoria l’eventuale intervento della mano pubblica sarebbe stato considerato una turbativa della libertà di scambio, contribuendo a creare prezzi artificialmente formati.
Sono convinto che avete compreso il senso della mia riflessione. L’attuale struttura “pubblica” dell’informazione, che si deve misurare con una competizione costante con i privati che operano sullo stesso mercato, credo possa paragonarsi all’esempio precedente: contribuire a vanificare, come in economia, l’intervento della “mano invisibile”.
Perché allora, nonostante il referendum popolare del 1995, la “mano pubblica” continua a tenere saldamente stretta a se la RAI? Quali i motivi che impediscono la sua privatizzazione? Il primo, anche se non certo l’unico, è quello del controllo politico sull’informazione. I dati rilevati dal Centro di Ascolto dell'informazione radiotelevisiva, accusano da anni la RAI di soggiacere al controllo politico (Parlamento e Governo), con la conseguenza, quindi, di non essere in grado di assicurare un'informazione indipendente, non condizionata dagli interessi di parlamentari e ministri. L'accusa alla RAI è di mancare di pluralismo e di operare un vera “censura” nei confronti di professionisti di indubbio valore e competenza ma sgraditi agli uomini politici di riferimento; in sostanza l'azienda viene tacciata di lottizzazione, ovvero avere nei posti chiave, dove si prendono le decisioni, persone scelte dai partiti politici ed a loro asservite.
Se riflettiamo un attimo ci viene spontanea una domanda: ma la mano pubblica sulla RAI non era prevista proprio per garantire una informazione “libera ed obiettiva”, sganciata dagli interessi di parte, non era nata per garantire quella “pluralità di informazione” che, invece, viene negata?
Anche in molti altri paesi europei la TV pubblica esiste, anche se sono ormai in atto leggi che hanno iniziato a svincolarla, almeno parzialmente, dal controllo dei politici. In Italia oggi una delle proposte che viene avanzata per risolvere l’anno problema del controllo politico sull'informazione e che la Rai tagli definitivamente il “cordone ombelicale” che la lega alla politica, trasferendo il controllo dell’azienda a seri e preparati professionisti del settore.
Non continuiamo a far finta di non vedere o, ancora peggio, fregandocene! Per svincolare l’azienda dal potere di controllo dei politici, bisognerebbe poter effettuare le nomine attraverso “puliti” concorsi pubblici, mezzi che anche la Costituzione vede come garanzia di indipendenza, come nel caso ad esempio della magistratura. Altra soluzione, che per me resta certamente la migliore, quella della reale privatizzazione. Nell’odierno mondo globalizzato, dove Internet porta quotidianamente, momento per momento, tutte le notizie dal mondo in tempo reale, una TV pubblica come la nostra è uno strumento “obsoleto”, fuori dal tempo, capace solo di soddisfare il grande bisogno dei politici di mostrarsi, di esibirsi e se del caso di “omettere”, di nascondere, le quotidiane malefatte.
Una delle cose che ho apprezzato in questa tornata di “rinnovo” del Consiglio di Amministrazione della RAI è la nomina di Anna Maria Tarantola a Presidente. Conosco personalmente la Tarantola per essere stato in passato consigliere di filiale della Banca d’Italia e posso dire che la Sua professionalità è fuori da ogni dubbio. Credo che le Sue capacità manageriali e di controllo possano essere, per il momento, la migliore soluzione possibile. Solo in attesa, però, di costruire una “Nuova Rai”, diversa, non lottizzata, capace di muoversi sul mercato liberamente, senza “Padrini”, che possa competere con le sue gambe ripristinando quel meccanismo della “Mano Invisibile”, tanto caro ad Adam Smith.
Grazie a tutti dell’attenzione e… Buone Vacanze!
Mario
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