Oristano 10 giugno 2020
Cari amici,
Considerare la propria casa
un perfetto rifugio sano e sicuro, è qualcosa che succede più spesso di come di
norma si possa immaginare! Quando, per esempio, dopo una lunga malattia che ci
ha costretto a casa e abbiamo stentato a riprenderci, il medico ci dice che
possiamo di nuovo uscire di casa, siamo assaliti dall’ansia, dalla paura che un
filo d’aria, un colpo di freddo, ci possa nuovamente colpire. E non sono solo
le malattie a crearci questo stato di disagio, ma diverse altre esperienze
negative, come aver subito uno scippo, essere stati aggrediti per strada,
oppure aver anche solo assistito ad azioni che possano causare danno. E allora
ci rifugiamo in casa.
Ebbene, questo bisogno,
questo stato di disagio si è molto diffuso con l’arrivo improvviso della
pandemia scatenata dal Coronavirus, che ci ha costretti a casa per quasi 3
mesi, e che ancora ci impone restrizioni alla normale vita sociale. Questo
lungo periodo di Lockdown, ci ha dimostrato ancora di più che la nostra casa è
un sano rifugio dai pericoli, e che fuori dall’uscio di casa nostra non siamo
più protetti; insomma, una paura interiore che resta anche dopo che il pericolo, almeno in
parte, è cessato. Questa forma di “paura” ha un nome ben preciso e in campo
scientifico è chiamata “Sindrome della capanna”.
Sindrome che anche ora,
dopo il pericolo Coronavirus, ci crea una folle paura di uscire, di lasciare la “nostra
casa”, dove per diverse settimane, anzi mesi, siamo stati costretti a
rifugiarci per evitare il pericolo di esser contagiati.
Eppure all’inizio molti di noi hanno faticato a sopportare il peso di rimanere chiusi tra le mura domestiche; poi, però, lentamente ci siamo abituati alla reclusione, superando le difficoltà iniziali e imparando a godere della protezione che ci veniva data dal nostro rifugio, dalla nostra casa.
Eppure all’inizio molti di noi hanno faticato a sopportare il peso di rimanere chiusi tra le mura domestiche; poi, però, lentamente ci siamo abituati alla reclusione, superando le difficoltà iniziali e imparando a godere della protezione che ci veniva data dal nostro rifugio, dalla nostra casa.
Ebbene, dopo questa
buriana, l’idea di tornare alla vita normale di prima, di ritrovarci per
strada, sul tram o sul treno, ci spaventa. La prima cosa che pensiamo è che
fuori dalle mura domestiche la protezione totale ancora non c’è, che il
pericolo non è cessato e che possiamo ancora contrarre l’infezione, cosa che ci
terrorizza quanto e più di prima. È una nuova paura, quella che ci assale, che
ci crea un senso di impotenza; è praticamente, il nostro, uno stato ansioso che
viene definito “Sindrome della capanna o del prigioniero”. A soffrirne sono oltre un milione di italiani, secondo le stime della Società italiana di
psichiatria (SIP), che ha di recente lanciato l’allarme.
È una sindrome a largo
raggio, che è presente un po’ in tutto il mondo. In Spagna, il Collegio
Ufficiale di Psicologia di Madrid, ha segnalato che ne soffrono più persone di
quante si possano immaginare; basti pensare che lo stesso comportamento è ben presente anche altrove, come negli Stati Uniti, dove in alcune aree gli inverni sono talmente
rigidi che la popolazione è costretta a rimanere in casa per mesi. In questi
luoghi è stato osservato che molte persone fanno poi fatica, in primavera, a
lasciare quella sorta di letargo protettivo a cui si erano abituate.
Si, amici, la Sindrome
della capanna, scatenata dal COVID-19, sta diventando un serio problema, come
ha avuto modo di dichiarare il Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale
della Sanita (OMS), Tedros Adhanom Ghebreyesus, secondo il quale
l’emergenza del Coronavirus sta provocando l’aumento di patologie come ansia e
paura, ma anche disturbi del sonno e depressione. E, purtroppo, anche in forme
gravi.
Secondo gli esperti di
psicologia per contrastare positivamente questa sindrome molto dipende dalle personalità degli
individui, spesso molto diverse tra loro. Le reazioni positive alla sindrome dipenderanno
dalla capacità degli individui di far fronte all’emergenza. Roberto Ferri,
Presidente della Società italiana di Psicologia dell’emergenza parla di “…resilienza
di ciascuno, che a sua volta dipende dalla personalità e dalla storia del
singolo individuo. Mi auguro, però, che ci sarà particolare attenzione da parte
delle istituzioni e delle strutture sanitarie verso tutte le persone fragili,
ma anche verso quelle situazioni che andranno oltre il virus. Chi può, si affidi
a specialisti”.
Cari amici quando un
problema è serio bisogna chiedersi: come uscirne? Quali le soluzioni più efficaci per
contrastare l’ansia di uscire fuori di casa? L’importante è iniziare ad
uscire, facendo inizialmente dei piccoli passi. Uscire le prime volte solo
quando è necessario e con le dovute precauzioni, magari con qualcuno di cui ci fidiamo. Anche quando si sta in casa, il comportamento deve essere più
elastico: evitare di ascoltare tutto il giorno le notizie sul Covid-19, curare
i propri hobby, migliorare gli interessi culturali, fare giardinaggio, insomma svolgere tutte
quelle attività che ci piacciono e che ci fanno stare bene. “Chi può, si dedichi
all’attività fisica che, sappiamo, ha anche una valenza psicologica”,
dicono gli esperti.
Amici, come in tutte le guarigioni,
la convalescenza (in realtà anche questa un po’ lo è) non è veloce ma lenta, perché
la ripresa deve avvenire sempre senza fretta. Speriamo bene!
Grazie, amici, a domani.
Mario
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