domenica, settembre 22, 2019

LA TERRA È UN PIANETA SEMPRE PIÙ CALDO. LO SCIOGLIMENTO DEL PERMAFROST È GIÀ INIZIATO: DOVEVA AVVENIRE TRA UN SECOLO, MA È GIÀ IN CORSO E IN 10 ANNI…


Oristano 22 settembre 2019

Cari amici,
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Ieri Greta Thunberg ha ribadito ai potenti del mondo, con l'irruenza dei suoi 16 anni e la treccina sventolante, che la nostra terra non ha molto tempo per salvarsi; ha confermato che milioni di ragazzi e ragazze della sua generazione non vogliono belle parole ma fatti, e lo dimostrano con manifestazioni oceaniche! Anche loro, ha ribadito, hanno diritto al futuro, senza egoismi, senza false promesse e ha ammonito con forza chi ci governa che il tempo per mettere mano ai danni fatti è quasi terminato.
Le previsioni degli esperti sul riscaldamento globale, infatti, si sono dimostrate troppo rosee: se fino a ieri si sosteneva che lo scioglimento dei ghiacci (il così detto PERMAFROST) sarebbe dovuto avvenire fra circa un secolo, la realtà ha dimostrato che invece è già iniziato e che in 10 anni potrebbe addirittura scomparire, con conseguenze inimmaginabili. 
Lo ha dichiarato di recente all’ANSA il super esperto russo Serghei Zimov, condirettore, insieme al figlio Nikita, della stazione di ricerca nord-orientale della Yakutia. "Se il trend continua di questo passo – ha dichiarato - nei prossimi 10 anni il permafrost rischia di sparire del tutto".
L’allarme è scattato quando qualche anno fa il ghiaccio ha iniziato a sciogliersi ovunque in continuazione. Per gli scienziati questo veloce disgelo, causato dell'impatto del Climate Change, in Yakutia è apparso particolarmente grave, in quanto lì "il permafrost non è solo ricco di CO2 ma di metano, gas serra 25 volte più potente della CO2”; Zimov, ha ribadito affermando anche che "La situazione è critica, in quanto in 2 anni ha passato la soglia di stabilità, iniziando a sciogliersi ovunque in Yakutia”.  "Se il trend continua di questo passo – ha aggiunto - ne prossimo decennio il permafrost non esisterà più".
Serghei Zimov oltre che essere uno dei massimi esperti russi di permafrost è anche il fondatore del Parco del Pleistocene, un particolare esperimento unico al mondo, che tenta, attraverso l'introduzione nella regione artica di grandi erbivori, di ricreare l'ecosistema della steppa dei mammut e, così facendo, cercare di rallentare gli effetti del cambiamento climatico. Gli inviati dell'ANSA andati ad intervistare Zimov hanno avuto l’occasione di visitare anche l’innovativo Parco, e potuto constatare di persona il deterioramento del permafrost nell'area di Cherskij, che si trova oltre il circolo polare artico. 
Serghei, che per la sua esperienza potrebbe essere definito il “Guru dell’Artico”, è apparso agli intervistatori una persona che ha destato non poca curiosità: un tipo abbastanza particolare, con l’aspetto più di un vecchio rocker che di uno scienziato; con la barba folta e grigia, i capelli raccolti in una lunga coda, Serghei si è fatto interrogare fumando lentamente una sigaretta di fronte ad una stufa accesa e con lo sguardo perso nei suoi pensieri. Parlando lentamente, senza fretta ed enfasi, ha fatto un’analisi precisa sugli effetti del cambiamento climatico in Yakutia, lanciando una condanna senza appello. Non è stato difficile capire il perché. "A luglio abbiamo fatto sci d'acqua... pensate, quasi un'assurdità", ha commentato. Nikita, suo figlio, anch’egli presente al colloquio in abbigliamento casual (indossava una t-shirt e una felpa), ascoltava e assentiva. 
Serghei e Nikita dirigono insieme la Stazione di Ricerca Nordorientale, affiliata all'Accademia delle Scienze russa, considerata uno dei tre centri di studio maggiori della regione artica. I due gestiscono, sempre insieme, il Parco del Pleistocene, fondato da Serghei nel 1996. È questo un luogo unico al mondo, che l'ANSA ha potuto visitare in esclusiva (primo media italiano a metterci piede). In pratica il parco può essere considerato una sorta di macchina del tempo. L'idea, infatti, è stata quella di ricreare l'ecosistema della steppa dei mammut e, così facendo, eliminare (o perlomeno mitigare) lo scioglimento del permafrost, oltre a cercare di ridurre la presenza di CO2 nell'atmosfera. 
L’idea di creare il Parco del Pleistocene è venuta agli Zimov per cercare di riportare allo stato primitivo quei luoghi. Serghei e Nikita nel corso degli anni hanno introdotto nell'habitat artico grandi erbivori come yak, bisonti, buoi muschiati, vacche della Kalmykia, alci, renne e cavalli. Nel passato la diffusione della foresta in queste zone, sarebbe infatti avvenuta solo dopo l'arrivo degli esseri umani, circa 13mila anni fa. La ragione? La caccia estensiva, che però ha ridotto la mega fauna di 10 volte, alterando in questo modo l'ecosistema, riducendo i pascoli e spianando la strada agli alberi. E questa è la prima sorpresa, perché a tali latitudini, sostengono gli Zimov, fanno più male che bene.
"L'ecosistema attuale – ha spiegato Nikita - trasferisce al suolo 10-16 kg di CO2 per metro quadrato. All'interno del primo recinto del Parco, dopo 20 anni, i dati parlano di una media 26 kg al metro, con punte di 65 chilogrammi. La potenzialità stimate sono di ben 100 kg. Nella parte esterna del Parco, dove gli animali non brucano attivamente, arriviamo comunque a una media di 22 chilogrammi". 
Tutto questo avviene grazie al manto erboso, che riflette la luce, attira meno calore ed è più efficace nell'attirare l'anidride carbonica. Gli animali, poi, con la loro attività rompono l'effetto 'cappotto termico' della neve e mantengono più freddo il suolo. Risultato: nel Parco la temperatura del permafrost è minore di 3 gradi rispetto alle altre zone. E questo solo grazie a vacche e yak. "Pensate - ridacchia Nikita – cosa avremo potuto fare con i mammut".
Il Parco, per quanto abbastanza esteso (ha una superficie di oltre 144 chilometri quadrati), è naturalmente troppo piccolo per avere un impatto su scala globale. Ma offre una soluzione pratica (ed economica) alla lotta contro il riscaldamento globale. Persino senza mammut. "I mercati - chiosa Serghei - non permetteranno mai una reale riduzione delle emissioni. Per cui facciamo quel che possiamo: abbiamo dimostrato che il nostro modello funziona. Ma serve l'intervento della Comunità internazionale". E stando alle condizioni del permafrost riscontrate a Chersky, bisognerebbe agire anche abbastanza in fretta.
Cari amici, Serghei Zimov non è l’unico ad aver constatato il tragico scioglimento del permafrost: anche uno studio condotto dalla ricercatrice canadese Louise Farquharson, che ha preso in esame per 12 anni le condizioni del permafrost in 3 diverse aree dell’Artico Canadese, ha dimostrato che questo si sta sciogliendo più rapidamente del previsto, facendo posto a una superficie ricoperta di tumuli, buche e laghi, con danni irreversibili per l’intero habitat. 
Insomma, cari lettori, il mondo continua ad essere in pericolo, ma chi potrebbe poco fa. Eppure, la storia insegna che quando la situazione diventa davvero grave, servirebbe il concorso di tutti, nessuno escluso; ecco perché soluzioni innovative come quella degli Zimov sono importanti, anche se possono essere considerate solo una goccia in un mare…(che comunque è fatto di un'immensità di gocce!).
A domani.
Mario



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