martedì, luglio 15, 2025

NASCE AL POLITECNICO DI ZURIGO UNA RAFFINERIA CHE PRODUCE CARBURANTE DAL SOLE E DALL'ARIA. NON È FANTASCIENZA MA REALTÀ.


Oristano 15 luglio 2025

Cari amici,

Può sembrare una favola, mentre invece è proprio una grande realtà. Alcuni ricercatori e ricercatrici del Politecnico di Zurigo hanno studiato e messo in funzione un interessante procedimento di raffinazione, dal quale si ottiene un carburante “pulito”, ricavato dal sole e dall’aria. La mini raffineria solare dimostrativa è stata realizzata sul tetto di uno degli edifici universitari nel centro della città. L’importante scoperta, che può portare a sviluppi straordinari, appare davvero di estremo interesse.

In realtà l’idea di una raffineria in grado di produrre carburante utilizzando la luce solare e l'aria che ci circonda e respiriamo, appare proprio fantascienza, mentre, secondo alcuni scienziati svizzeri è una realtà. Oltre ad affermarlo, i ricercatori del Politecnico di Zurigo (il cui Rettore è italiano di Merano - Günther Dissertori), lo hanno dimostrato, riuscendo a creare un metodo per produrre con questi due elementi dei “carburanti sostenibili”, potenzialmente ottenibili su larga scala. Ora si può passare dal prototipo, da loro realizzato, alla costruzione in serie per arrivare, quanto prima, alla diffusa, concreta realizzazione degli impianti con questa nuova tecnologia.

Questa prima mini-raffineria solare, appollaiata sul tetto dell’Università di Zurigo, appare a chi guarda come una semplice installazione bianca, con una torretta che, curiosamente, sembra uscita da un film di James Bond, quando la parabola esce dal suo involucro e punta al cielo. Ma la sua funzione, amici, non è quella di intercettare, da parte del famoso agente segreto, le comunicazioni secretate. La sua funzione è quella di produrre carburanti a impatto zero, a partire dall’aria e dalla luce solare.

Dopo tutta una serie di studi di fattibilità durati due anni, il team di ricerca ha appurato che l’impianto dimostrativo ha confermato il regolare, “stabile e affidabile” funzionamento del processo di produzione di combustibile solare. Il professor Aldo Steinfeld del Department of Mechanical and Process Engineering - ETH Zurich,  che guida il gruppo di ricerca, ha dichiarato: “È stata una straordinaria odissea, con fallimenti e successi”, come ha raccontato l’avventura a SWI swissinfo.Ch. Ma vediamo, seppure in estrema sintesi, come funziona questo interessantissimo processo.

Il processo è complesso ma allo stesso tempo brillante. Nella prima fase avviene il processo di “Cattura dell’aria” (Direct Air Capture); l’impianto aspira l’aria atmosferica e, tramite speciali materiali assorbenti, separa due ingredienti fondamentali: CO₂ (anidride carbonica) e H₂O (vapore acqueo). Queste due sostanze sono la “materia prima” del carburante artificiale. Nella seconda fase, inizia il lavoro il  “Reattore solare a concentrazione”. Qui avviene la vera magia: un enorme specchio parabolico concentra la luce solare in un punto focale, raggiungendo temperature superiori ai 1.500 °C. All’interno del reattore c’è un materiale ceramico chiamato ossido di cerio (CeO₂), che agisce da catalizzatore redox.

A questo punto nella miscela che si crea si riduce, con il calore estremo, l’ossigeno; poi, una volta raffreddato, il composto lo riacquista, sottraendolo da CO₂ e H₂O iniettate nel reattore. Così facendo, viene rilasciato syngas, una miscela esplosiva (in senso tecnico) di monossido di carbonio (CO) e idrogeno (H₂). Nella fase 3 avviene la Sintesi del carburante (Fischer-Tropsch o metanolo): il syngas ottenuto viene poi convogliato in un secondo modulo, dove si verifica la sintesi chimica del carburante. A seconda del catalizzatore usato, si ottiene: Cherosene sintetico (ideale per aerei), Metanolo (per auto, caldaie o come base industriale). Questo carburante è chimicamente identico a quello fossile, ma prodotto senza inquinare.

Amici, ci si domanda: Perché questo impianto è da considerarsi così importante? Intanto: Emissioni nette zero: la CO₂ emessa quando il carburante viene bruciato è la stessa che è stata assorbita all’inizio del processo; Compatibilità totale: può essere usato nei motori attuali, senza doverli modificare; Fonte illimitata: aria, sole e acqua sono disponibili ovunque; Impianto adattabile ovunque ci sia sole forte: deserti, tetti industriali, zone aride. Una delle ipotesi avanzate dagli scienziati e che, se si coprisse meno dell’1% del Sahara con impianti simili, si potrebbe produrre tutto il carburante necessario all’aviazione mondiale. Un sogno che presto potrebbe avvicinarsi alla realtà.

Cari amici, credo che quella di cui parliamo sia una scoperta davvero interessante, capace di aprire la strada alla produzione industriale di combustibili sintetici puliti, in grado di mettere al bando i combustibili fossili, quali cherosene, benzina e diesel. Un passo importante verso quella transizione ecologica capace di rendere i trasporti a lunga distanza marittimi e aerei più sostenibili. Questi due settori sono responsabili dell’8% delle emissioni globali di gas a effetto serra. Seppure molto lavoro resti ancora da fare, credo che sia la via giusta da intraprendere.

A domani.

Mario

lunedì, luglio 14, 2025

SCOPERTO DAGLI STUDIOSI UN COLEOTTERO CHE RICAVA ACQUA DALL'ARIA: È L'ONYMACRIS BICOLORE, ABITANTE DEL DESERTO AFRICANO.


Oristano 14 luglio 2025

Cari amici,

Un gruppo di scienziati della Jilin University cinese, dello Smart Materials Lab della New York University di Abu Dhabi e del Center for Smart Engineering Materials, ha sviluppato un interessante studio sulla particolare capacità di alcuni coleotteri, abitanti del deserto africano, di ricavare acqua dall’aria. Lo studio pubblicato sul Journal of the American Chemical Society spiega in modo dettagliato la straordinaria capacità di questi scarafaggi di ricavare acqua dall’aria. Nel deserto, come ben sappiamo non ci sono fonti di approvvigionamento idrico, per cui chi ci vive abitudinariamente, deve faticare non poco a sopravvivere, data l’estrema calura che richiede un costante bisogno di acqua.

Amici, mentre la specie umana cerca in vari modi di ricavare acqua dolce, magari dissalando quella del mare, per gli animali che abitano il deserto il problema diventa molto più complicato. Per questi l’unica fonte contenente acqua è l’aria, una grande risorsa, come ben sappiamo di acqua, ma come ricavarla? Per la specie umana, come succede negli emirati arabi il problema appare più semplice: ricorrere alla desalinizzazione, un procedimento ampiamente utilizzato per produrre acqua potabile, che risolve il problema eliminando il sale dall’acqua. Ma per gli animali? Ecco cosa si è scoperto.

Amici, sono stati gli scienziati prima accennati a scoprire un fatto inusuale: il comportamento di un ingegnoso coleottero, l'Onymacris bicolore, abitante del deserto africano, che riesce a ricavare acqua dall’aria. Vediamo come. Questo coleottero, che vive in quel torrido deserto del Namib (è detto anche ‘scarafaggio delle dune), riesce a raccogliere acqua dall’umidità presente nell’aria, condensandola sul proprio esoscheletro. Questo scarafaggio ha un particolare corazza, rivestita da piccole protuberanze idrofile e da una copertura cerosa idrofoba. È questa a giocare un ruolo fondamentale nella raccolta dell’acqua, in quanto delle minuscole irregolarità e protuberanze superficiali sono presenti sul dorso di questo coleottero.

Nello specifico, le parti del corpo dell’insetto che presentano queste protuberanze sono chiamate elitre, che costituiscono il rivestimento di protezione che ricopre le ali e l’addome dell’insetto. Quando l’insetto si arrampica sulla cima delle dune desertiche sollevando la parte posteriore del suo corpo, fa sì che i piccoli rigonfiamenti idrofili sul suo esoscheletro agiscano come calamite per raccogliere le particelle di umidità presenti nell’aria umida. Grazie a questo rivestimento, le gocce d’acqua si aggregano e scivolano verso la bocca del coleottero, dissetandolo nell’arido deserto.

Amici, questo strano coleottero ha il corpo costruito proprio ingegnosamente: il suo esoscheletro, essendo idrofilo (cioè, che non respinge l’acqua), accumula umidità dall’aria formando acqua liquida, che, attraverso dei piccoli canali (che sono idrofobi) la incanalano verso le sua bocca! Da questa acuta osservazione il team di scienziati ha avuto una brillante idea: creare qualcosa che riuscisse a replicare questo comportamento duale: da una parte assorbente l’aria umida e dall’altra repellente per portare l’acqua alla bocca.

Secondo i dati dell’agenzia ambientale americana USGS (United States Geological Survey), l’atmosfera terrestre conterrebbe circa 13.000 chilometri cubi d’acqua, una risorsa preziosissima che aspetta solo di essere sfruttata. Più facile a dirsi che a farsi, come ha ricordato il professore di chimica della New York University Abu Dhabi, Pance Naumov, che ha guidato il gruppo di ricercatori: “È un’acqua che non contiene sali; quindi, non abbiamo bisogno di usare alcuna energia per desalinizzarla e vorremmo raccoglierla, ma non ci sono modi efficienti per farlo e convertirla in acqua potabile”.

Ma ecco arrivare, da parte degli scienziati, l’idea brillante: ispirarsi all’ingegnosità della natura per trovare una soluzione al problema. L’ispirazione è arrivata osservando proprio il coleottero del deserto africano prima descritto, e cercando di replicarne il funzionamento. Il Team guidato dal professor Naumov è riuscito a creare uno straordinario materiale cristallino, in grado di replicare la funzione svolta dal coleottero, ricavando acqua senza bisogno di fornire energia dall’esterno. L’acqua prodotta dall’aria viene raccolta in un’area idrofila per condensazione e poi trasportata attraverso un’area idrofoba fino ad un recipiente. La caratteristica principale di questi particolari cristalli è quella di avere contemporaneamente una parte idrofila e una idrofoba.

Cari amici, La natura non smette mai di sorprenderci: come dimostra l’esempio di oggi, con protagonisti dei minuscoli coleotteri. Mentre miliardi di persone in tutto il mondo faticano ad accedere all'acqua potabile, i ricercatori hanno fatto, utilizzando l'esperienza della natura, una scoperta straordinaria che potrebbe cambiare il futuro della scarsità d’acqua nel pianeta. Madre Natura, come spesso accade, ha in serbo delle straordinarie soluzioni geniali, sta a noi scoprirle con intelligenza!

A domani.

Mario

domenica, luglio 13, 2025

UNA RECENTE PROPOSTA LANCIATA DA ESPONENTI DEL GOVERNO: UTILIZZARE IL TFR PER ANDARE PRIMA IN PENSIONE. UN ESEMPIO: IN PENSIONE A 64 ANNI CON 1.500 EURO AL MESE.


Oristano 13 luglio 2025

Cari amici,

In campo pensionistico c’è una interessante proposta al vaglio del Governo: utilizzare il TFR maturato e in mano all’INPS, per consentire a chi ha necessità di andare in pensione di farlo in anticipo: ad esempio a 64 anni, garantendogli una pensione di almeno 1.500 euro mensili. Per ora è solo una proposta, ma un “pensionamento anticipato” di questo tipo potrebbe diventare più accessibile grazie all’utilizzo del TFR. Il Governo, infatti, sta pensando di introdurre tale provvedimento nella prossima manovra economica.

Finora per i lavoratori italiani, il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) – o Trattamento di Fine Servizio (TFS) per i dipendenti pubblici – è stato a lungo considerato una sorta di “tesoretto” accantonato nei lunghi anni di servizio e da riscuotere al termine della carriera. Un accantonamento pari a circa una mensilità per ogni anno di lavoro prestato. Negli ultimi anni di lavoro questo tesoretto ha consentito di realizzare molti sogni: acquistare una piccola casa vacanze, una dimora al figlio, oppure l’acquisto di un orto da coltivare.

Ora, invece, in seguito all’iniziativa del sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, esponente della Lega, il TFR ritorna in auge per essere utilizzato in altro modo. L’idea si basa praticamente sulla nota Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA). Per chiarezza, RITA in passato era una prestazione che permette agli iscritti a fondi pensione di ricevere anticipatamente una parte o l'intero capitale accumulato, sotto forma di rendita, fino al raggiungimento dell'età pensionabile. In pratica, è un modo per trasformare il capitale del fondo pensione in una rendita mensile o trimestrale per il periodo che intercorre tra la cessazione dell'attività lavorativa e il pensionamento di vecchiaia.

Ora, in altre parole, per consentire di andare prima in pensione, si potrebbe ricorrere ad una parte del capitale accumulato nei fondi pensionistici integrativi, che verrebbe impiegato per raggiungere il requisito minimo richiesto per l’assegno pensionistico, ossia tre volte il valore dell'assegno sociale. In pratica, se l’iniziativa fosse accolta, i lavoratori, una volta raggiunti i 64 anni e con versamenti contributivi superiori a 20 anni, potranno utilizzare una parte del TFR versato nei fondi pensionistici per colmare eventuali contributi mancanti e raggiungere il requisito di una pensione pari a tre volte il minimo.

Secondo il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, in questo modo si aiuterebbero i lavoratori più giovani, che rischiano di avere pensioni basse con il sistema contributivo, garantendo loro un assegno di almeno 1.500 euro al mese. Un ulteriore vantaggio consiste nella riduzione, da parte dello Stato, dell’esigenza di effettuare interventi integrativi delle pensioni minime, rappresentando altresì un primo passo verso la revisione della Legge Fornero, che attualmente prevede l’età pensionabile a 67 anni con almeno 20 anni di contributi.

Sempre da parte di esponenti dell’attuale Governo, si discute, inoltre, dell’eliminazione del pensionamento obbligatorio a 67 anni per i dipendenti pubblici, nonché dell'introduzione di incentivi per incoraggiare i lavoratori, sia pubblici che privati, a prolungare la loro attività nonostante abbiano raggiunto i requisiti pensionistici. Indubbiamente, questo meccanismo, se reso operativo, consentirebbe di rinnovare, di ringiovanire il parco lavoratori, inserendo al posto dei neo-pensionati forze giovani.

Cari amici, a mio avviso, si potrebbe anche andare un po’ oltre! Perché non consentire anche a chi è vicino ai 63 anni di utilizzare il proprio TFR come ponte verso la pensione? Un’ipotesi che, seppure necessiti di un impianto normativo specifico, potrebbe rappresentare una risposta concreta al ringiovanimento lavorativo, inserendo “forze fresche”, ovvero validi giovani preparati, facendo godere la pensione a chi la sogna da una vita!

A domani.

Mario

 

sabato, luglio 12, 2025

C'È UN ANIMALE CON UN'INTELLIGENZA QUASI UMANA: È IL CORVO. LA SUA INTELLIGENZA ARRIVA ANCHE A RICORDARE I TORTI SUBITI PER ANNI!


Oristano 12 luglio 2025

Cari amici,

I CORVI sono considerati gli uccelli più intelligenti del pianeta. Appartengono alla famiglia dei Corvidi (Corvidae), che fa parte dell'ordine dei Passeriformi e della classe degli Uccelli. La specie che identifica il corvo è il "Corvus", che include varie specie, come il corvo comune (Corvus frugilegus) e il corvo imperiale (Corvus corax). I numerosi studi scientifici su questo curioso animale hanno accertato che hanno una grande intelligenza: sono in grado di capire in modo straordinario, come ad esempio ricordare per lungo tempo i volti umani che hanno avuto modo di conoscere negli anni.

Si, il loro cervello, per quanto piccolo, è in grado ri ricordare le conoscenze fatte, entrare senza problemi in relazione con gli umani, sia in modo positivo che negativo. Per esempio, un corvo, se lo infastidisci una volta, non lo dimenticherà mai più, anche per decenni, e non saprà e vorrà perdonarti. Gli studi effettuati hanno accertato che possono ricordare i volti umani per oltre 17 anni. Inoltre, sono in stretta relazione con i loro simili: i corvi si avvertono tra loro su chi non gradiscono. Insomma, queste creature dalla livrea nera fanno delle vere e proprie “liste nere” dei personaggi a loro non graditi!

Le straordinarie capacità di questo volatile sono note fin dalla metà dell‘800. Da sempre le capacità intellettuali dell’uomo occupano il posto più alto nella scala degli abitanti del pianeta. Mai è stata messa in discussione la convinzione che l’uomo sia, se non l'apice dell'evoluzione, per lo meno l’animale più intelligente. Insomma, siamo convinti di fare sempre 4 a 0 alla possibile intelligenza degli altri esseri viventi! Il fatto che certi uccelli o tartarughe marine siano in grado di orientarsi con il magnetismo terrestre per le loro migrazioni non sembra, comunque, scalfire la nostra presunzione di essere sempre i migliori.

Da decenni però gli studiosi di comportamento e cognizione animale stanno contribuendo ad abbattere certe stratificate convinzioni. Ad esempio, risulta ben evidente il fatto che gli scimpanzé, alcune scimmie e alcuni corvidi, sono in possesso di una proprietà nota come teoria della mente, ovvero la capacità di attribuire stati mentali (desideri, intenzioni, conoscenze, credenze) a se stessi o ad altri individui: “io so che tu sai che dietro quell’albero c’è del cibo, quindi mi comporto di conseguenza”. Gli esseri umani sono molto bravi a fare questo genere di inferenze, e, secondo lo psicologo e scienziato cognitivo Michael Tomasello questa capacità sarebbe alla base dello sviluppo di una coscienza di sé prima e della complessa cultura umana poi.

Amici, la natura ci sta rivelando, giorno dopo giorno, che abbiamo ancora tanto da scoprire, nell’analizzare la perfezione che alberga negli esseri viventi e che consente di vivere insieme agli altri in modo praticamente perfetto. Tornando ai nostri corvi, essi hanno dimostrato di avere abilità cognitive paragonabili a quelle di certi mammiferi (come alcuni primati): sanno maneggiare strumenti, comprendere concetti astratti, stabilire nessi causali tra oggetti. Questo nonostante le dimensioni del loro cervello siano molto più modeste: più piccole quelle dei corvi, ben più grandi quelle dei primati.

L’esperimento realizzato qualche anno fa all’Università di Tübingen, che si è guadagnato addirittura la copertina della rivista SCIENCE, secondo gli autori, dimostrerebbe la presenza di attività neuronale cosciente in una popolazione specifica di neuroni del pallio degli uccelli, in particolare dei corvi. Si, i corvi sono in grado di portare a termine compiti che suggeriscono la capacità di stabilire nessi causali. Insomma, amici, primati e corvi potrebbero essersi evoluti in maniera indipendente nei rispettive direzioni, oppure potrebbero averla ereditata da un antenato comune, vissuto magari molti milioni di anni fa!

Cari amici, gli studi e gli esperimenti fatti, seppure di grande interesse, non sono certo decisivi per stabilire e dimostrare la presenza di attività cosciente in alcuni animali come i corvi e i primati, comunque gli studi sono concordi nello stabilire gli importanti passi avanti fatti. Insomma, il forte convincimento che l’uomo sia l’unico a possedere certe capacità, comincia a vacillare…

A domani.

Mario

venerdì, luglio 11, 2025

PER ORA "RINVIATO" IL BLOCCO DELLA CIRCOLAZIONE DEI VEICOLI INQUINANTI: ERA STATA PREVISTA L'ENTRATA IN VIGORE DAL 1° OTTOBRE 2025, IN ALCUNE REGIONI, PER I VEICOLI EURO 5. SPUNTA, COMUNQUE, UN POSSIBILE RIMEDIO.


Oristano 11 luglio 2025

Cari amici,

Per ora, dopo le forti proteste, il blocco della circolazione degli EURO.5 DIESEL è stato rinviato di un anno (al 1° ottobre 2026), ma è solo un breve rinvio! La battaglia per cercare di ridurre le emissioni inquinanti in atmosfera, create dalla circolazione dei veicoli datati continua senza sosta, e, nonostante si continui a cercare di “allungare i tempi”, i divieti per le auto più inquinanti scatteranno senza assoluzioni. Era stato deciso che a partire dal 1° ottobre di quest’anno, in alcune Regioni italiane, le auto diesel Euro 5 sarebbero state assoggettate a restrizioni alla circolazione. Questo divieto, che riguarda principalmente le regioni del Nord Italia come Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia-Romagna, prevedeva di coinvolgere, per ora, i comuni con più di 30.000 abitanti.

Il problema è serio. Purtroppo il parco dei mezzi circolanti in Italia continua ad invecchiare. Una recente indagine svolta da “FACILE.IT” ha stabilito che l'età media delle auto che circolano sulle strade della Penisola è arrivata a toccare 11 anni e 8 mesi! Il dato, aggiornato al mese di settembre 2024, è addirittura in crescita: superiore del 3% rispetto a quello di un anno prima! In presenza di un parco circolante così vetusto, diverse Regioni, in particolare quelle del Nord Italia, hanno già predisposto dei limiti alla circolazione dei veicoli più vecchi ed inquinanti.

Amici, anche se per ora il blocco è stato rinviato, a partire dagli automobilisti del Bacino Padano – ovvero Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna – il blocco alla circolazione dei veicoli Diesel Euro 5, diventerà operativo; la restrizione, prevista nell’ambito delle misure contro l’inquinamento atmosferico, ha creato grande preoccupazione per l’alto numero di auto circolanti definite “inquinanti”. Poiché in gran parte questi mezzi sono in possesso di famiglie con scarsa possibilità di poter accedere al cambio dell’auto, sarà alquanto difficile riuscire ad ottemperare all’imposizione!

I rimedi per poter risolvere questo difficile problema non sono molti: al momenti l’unica deroga concreta, per chi non vuole (o non può) cambiare auto, è un particolare strumento: il sistema MOVE-IN, acronimo di Monitoraggio Veicoli Inquinanti. Ma di cosa si tratta in realtà? Come agisce questo strumento che in teoria consentirebbe di far circolare, nelle zone interdette, il veicolo inquinante? Vediamo in cosa consiste.

Il sistema MOVE-IN, in realtà è una piccola “scatola nera”, dotata di GPS, che, una volta installata nel veicolo, è in grado di registrare i percorsi effettuati. Considerato che non si può privare del tutto l’auto a chi non può cambiarla, viene assegnato un plafond di chilometri nelle zone a rischio; il sistema MOVE.IN segna i chilometri percorsi, e, una volta superato il limite previsto, il veicolo non potrà più circolare nelle aree soggette a restrizioni fino alla fine dell’anno solare di adesione.

Per ora, solo il sistema MOVE-IN consentirebbe ai proprietari di auto e veicoli commerciali con classi ambientali da Euro 0 a Euro 5 Diesel, di circolare nelle zone soggette a limitazioni, come quelle dei Comuni prima ricordati sopra i 30.000 abitanti, senza vincoli orari o giornalieri, ma con un tetto massimo di chilometri annui. Tuttavia, nonostante gli apparenti vantaggi, rimangono dubbi e criticità, soprattutto sulle regole che varranno e dovranno essere emanate nei prossimi mesi.

Amici, in realtà il costo dell’adesione al MOVE-IN è abbastanza accessibile: la spesa si aggira sui 50 euro per il primo anno (30 euro per l’installazione della scatola nera e 20 euro per il servizio) e 20 euro per i rinnovi annuali successivi. Chi possiede già una black box compatibile pagherà solo i 20 euro del servizio, anche al primo anno. In Piemonte, inoltre, il costo di 50 euro si riduce a 20 grazie a un contributo della regione.

Come si aderisce al sistema? L’iscrizione si effettua online attraverso il portale MoVe-In della propria Regione, con autenticazione tramite SPID, CIE o CNS. Servono i dati del veicolo (targa, telaio, classe ambientale, categoria e alimentazione). Una volta attivato il servizio, si può monitorare in tempo reale il chilometraggio residuo tramite l’app dedicata. Il principale punto critico del MoVe-In oggi è l’assenza di aggiornamenti ufficiali sulle percorrenze valide a partire dalla data del blocco, proprio quando la maggior parte degli automobilisti interessati dovrebbe valutare l’iscrizione o il rinnovo. In assenza di indicazioni chiare, molti utenti esitano ad attivare il servizio, temendo di investire inutilmente in un dispositivo che potrebbe non garantire la libertà di circolazione sperata.

Come accennato prima, in Italia sono circa un milione i veicoli Diesel Euro 5 immatricolati tra il 2011 e il 2015, cifre mica di poco conto! Si, un numero enorme, soprattutto se si considera che molti di questi mezzi sono ancora perfettamente funzionanti. In un contesto economico in cui sostituire l’auto – anche con un usato recente – è un impegno non da poco! Per ora, dunque, il sistema MoVe-In si configura come l’unica vera alternativa alla rottamazione o alla svendita forzata.

Cari amici, il futuro del nostro parco auto circolante è pieno di dubbi e incertezze. Personalmente credo che, se è pur vero che dobbiamo fare di tutto per salvaguardare l’ambiente,  il sistema di governo, a partire dall’Europa debba trovare soluzioni valide per consentire ai ceti meno abbienti di sopravvivere senza subire salassi impossibili. Bisogna salvare l’ambiente, certo, ma anche le persone!

A domani.

Mario

giovedì, luglio 10, 2025

IL FUSARIUM OXYSPORUM: LO STRAORDINARIO FUNGO CHE, IN PRESENZA DI ROCCE METALLIFERE, RIESCE A FABBRICARE L'ORO!


Oristano 10 luglio 2025

Cari amici,

Che in natura ci siano tanti segreti ancora da scoprire, è una realtà ogni giorno più chiara! Di recente un team di ricercatori australiani ha fatto una scoperta sorprendente, meglio dire straordinaria: alcuni funghi sono in grado di metabolizzare l’oro! La ricerca, iniziata nel 2019, ha messo in luce che il fungo FUSARIUM OXYSPORUM,  noto soprattutto per la sua capacità di decomporre la materia organica, era in grado anche di estrarre l’oro presente nel suo ambiente. La ricerca, condotta dal Dr. Tsing Bohu del CSIRO (l’agenzia scientifica nazionale australiana), ha dimostrato che alcuni ceppi di questo fungo sono in grado di metabolizzare l’oro. Un fenomeno alquanto strano, che ha fatto molto discutere nel mondo scientifico, ma suscitato grande interesse nel settore minerario.

I ricercatori hanno trovato questi funghi particolari nella regione di Kalgoorlie, nell’Australia occidentale. In questi terreni si possono vedere funghi filamentosi decorati con piccole sfere d’oro fissate sui loro filamenti. Il processo avviene attraverso un’ossidazione che permette ai funghi di dissolversi e precipitare. Questo fenomeno dà una vera spinta ai funghi interessati. Crescono più grandi e si diffondono più rapidamente rispetto ai loro omologhi non ricoperti d’oro. Inoltre, svolgono un ruolo importante nella biodiversità del suolo, ospitando una maggiore varietà di altri funghi.

La scoperta apre a valutazioni che si perdono nel tempo. Storicamente non si sa con esattezza quando l’uomo ha iniziato a scoprire e apprezzare l’oro. Le prime indicazioni potrebbero puntare alla Bulgaria, in particolare nella necropoli di Varna, luogo del primo giacimento con resti di oro manipolato dall’uomo. Tale giacimento, risalente alla fine dell’età del rame, tra il 4600 e il 4200 a.C., è il riferimento più antico di questo metallo, uno dei simboli storici di ricchezza del nostro pianeta.

Ma ora, dopo la sensazionale scoperta, fatta millenni dopo i primi riferimenti all’oro, si inizia a ipotizzare che l’oro potrebbe essere stato “coltivato”, fin da tempi remoti, grazie al mining metabolico. A questa conclusione sono giunti i scienziati del CSIRO, l’Ente di ricerca scientifica australiano, scoperta che è stata pubblicata su Nature Communications, e che avrebbe implicazioni rivoluzionarie. In primo luogo, perché propone un’alternativa ai metodi tradizionali di estrazione mineraria, sostituiti da un processo naturale e molto meno invasivo.

Come descritto in dettaglio nella ricerca, il team guidato dallo scienziato Tsing Bohu ha combinato ceppi microscopici di questo fungo in un recipiente con minerali provenienti da un asteroide della fascia principale del sistema solare. Come risultato dell’esperimento, il fungo ha assorbito i minerali e ha prodotto particelle d’oro con una rapidità che ha sorpreso gli scienziati. “L’oro è così inattivo che questo tipo di interazioni è insolito e sorprendente, dovevo vederlo per crederci”, ha aggiunto il ricercatore principale.

Ma, amici lettori, come riesce questo fungo a metabolizzare il prezioso metallo? Ecco in sintesi il processo biologico. Il fungo non “crea” l’oro dal nulla (nessuna magia!), ma sfrutta una reazione chimico-biologica intelligente. Ecco come funziona: 1. Secrezione di enzimi – Il Fusarium oxysporum rilascia enzimi e composti riducenti (come NADPH-dependent reductasi). 2. Interazione con ioni metallici – Questi composti reagiscono con ioni di metalli nobili come l’oro (Au³⁺), presenti in soluzioni o ambienti contaminati. 3. Formazione di nanoparticelle d’oro – Gli ioni vengono ridotti e si aggregano formando minuscoli cristalli d’oro puro, visibili solo al microscopio elettronico. In pratica, questo fungo si comporta come un raffinatore biologico, trasformando materiali inquinanti in risorse preziose!

Amici, l’interesse di questa scoperta non si limita ai laboratori. Il settore minerario australiano, che è il secondo produttore mondiale di oro, lo sta studiando con grande interesse. Le aziende minerarie stanno valutando la possibilità di utilizzare questi funghi come indicatori naturali per individuare nuovi giacimenti auriferi, analizzando il terreno per rilevare ceppi specifici di Fusarium oxysporum in grado di metabolizzare l’oro. Grazie a questo nuovo metodo, la ricerca dell’oro diventerebbe più efficiente e molto meno invasiva rispetto alle tecniche di estrazione tradizionali.

Questo fenomeno fa proiettare nel futuro le operazioni di approvvigionamento dei metalli: utilizzare i processi naturali presenti nel pianeta per sostituire le devastazioni attuali svolte sul suolo terrestre. Insomma, si inizia una nuova fase: l’estrazione metabolica. Il suo obiettivo è proprio quello di sostituire i metodi tradizionali di estrazione, energivori e devastanti per l’ambiente, con processi biologici in cui funghi, batteri o altri organismi viventi svolgono il lavoro.

Cari amici, questa incredibile scoperta apre anche prospettive entusiasmanti per l’esplorazione spaziale. Il concetto di “metallurgia metabolica”, ovvero l’utilizzazione di microrganismi per trattare i minerali presenti su asteroidi o altri corpi celesti. In altre parole, questo approccio potrebbe semplificare l’estrazione di risorse nello spazio, senza ricorrere a macchinari pesanti o attrezzature molto complesse. La natura, insomma, ci ricorda che abbiamo tante risorse che non conosciamo!

A domani.

Mario