lunedì, gennaio 23, 2012

LA FAINE’ A SASSARI: UN GUSTOSO E TIPICO STUZZICHINO DELLE SERATE AUTUNNALI ED INVERNALI, DI ORIGINE GENOVESE.


Oristano 23 Gennaio 2012

Cari amici,

oggi mi sento un po' sassarese. Sarà che negli ultimi 10 anni ho frequentato Sassari in modo quasi esclusivo, ma non solo. Credo che la ragione vera sia un'altra. Credo che questo sentirmi "a casa" a Sassari derivi dal fatto che li ho molti amici che stimo e che ho imparato ad apprezzare. Proprio per questo, pensando di fare loro un piccolo "regalo", ho voluto riepilogare su questo blog la storia di un gustoso prodotto che Sassari ha sempre amato molto: la Fainè. Ecco la sua storia.

La “Fainè alla Sassarese” è considerato, dai sassaresi DOC, un piatto tipico ‘speciale’, sapientemente preparato usando farina di ceci, acqua, olio, sale e pepe; l’impasto viene poi cotto in forno in grandi teglie circolari. E’ un piatto calorico, adatto alle fredde e umide serate invernali, retaggio dell’antica amicizia tra Sassari e Genova.

Sassari e Genova vantano antichi ed importanti rapporti che risalgono al lontano Medioevo. Le leggende che albergano nei ricordi della “sassareseria” fanno risalire le prime tracce di fainè a Sassari fin dai tempi della battaglia della Meloria (1284), quando i liguri sconfissero i pisani. Si narra, tra storia e leggenda, che al ritorno dalla battaglia, le navi genovesi si trovarono coinvolte in una tempesta ed alcuni barili d'olio e farina di ceci si rovesciarono bagnandosi d'acqua salata. A causa della scarsità di provviste, fu recuperato tutto il possibile ed ai marinai fu servito, per sfamarsi, quel miscuglio di ceci ed olio che, nel tentativo di renderlo meno sgradevole, fu messo ad asciugare al sole ottenendo così una specie di frittella. Tutto sommato il risultato fu abbastanza gradito e giunti a terra, i Genovesi, decisero di migliorare la ricetta di questa frittella improvvisata, cuocendo la purea che si otteneva in forno. Il risultato fu così buono che per scherno agli sconfitti, venne chiamato l'oro di Pisa! La ricetta era ormai entrata nella storia. Nel quindicesimo secolo un decreto, emesso a Genova, ne disciplinava la produzione, allora chiamata "scripilita". Dal consumo casalingo a quello dei pubblici esercizi il passo fu breve. I locali, abbastanza particolari, in cui si poteva gustare questa specialità, insieme ad un buon bicchiere di vino, erano chiamati "Sciamadde". Clienti abituali delle “Sciamadde” erano in particolar modo gli artisti ed i letterati, tra cui ricordiamo Fabrizio de Andrè, il quale amava frequentare queste locande.

Tornando a Sassari è interessante ricordare che nel trattato del 1294 tra Genova e Sassari, nell’intento di favorire la diffusione dei prodotti liguri nel sassarese, si stabilì di contenere le produzioni cerealicole nelle campagne del nord Sardegna, favorendo di conseguenza le importazioni da Genova. Iniziarono ad arrivare da Genova navi cariche di cereali liguri, in particolare sacchi della sostanziosa farina di ceci (o polenta di ceci, come era meglio nota), diffondendone il consumo. A Genova ed in tutta la Liguria l’utilizzo della farina di ceci, era molto diffuso. Le ampie coltivazioni consentivano abbondanza di prodotto che, opportunamente macinato, veniva utilizzato in svariate ricette, tra le quali una era proprio quella della preparazione della “fainà”, come veniva chiamata, in terra ligure, questa “pizza” sostanziosa e gustosa, capace di saziare con poca spesa.

La ‘fainè sassarese è molto simile nella preparazione alla ricetta ligure, costituita da un impasto di farina di ceci, diluito in acqua e lasciato riposare per diverse ore. Per ottenere un prodotto soffice e squisito ci vuole una buona capacità tecnica e grande bontà degli ingredienti. Mentre il composto riposa viene preparata una grande teglia rotonda, sapientemente unta di buon olio d’oliva, dove viene, appena pronto, depositato l’impasto. Lavorato da mani sapienti, amalgamato e lavorato con l’olio, si aggiunge all’impasto in giusta dose sale e pepe e, a lavoro concluso, accertato che non vi siano parti raggrumate, l’impasto viene ben pressato nella teglia e messo in cottura in forno.

A cottura ultimata, lasciata raffreddare, la fainè viene tagliata a rombi e gustata con un bel bicchiere di vino.

Le origini di questa semplice ricetta sono, però, molto più antiche. Anche la Liguria, in effetti, non ha inventato di sana pianta questo gustoso prodotto culinario. Attingendo alla storia troviamo che questo prodotto nacque come “surrogato del pane”, già al tempo dei Greci e dei Romani, quando, i soldati usavano preparare un "intruglio" di farina di ceci ed acqua che facevano poi cuocere al sole o sul proprio scudo, per sfamarsi velocemente e con poca spesa. Il risultato era talmente semplice e nutriente, che la ricetta sopravvisse alla caduta dell'impero Romano arrivando senza problemi nel Medioevo, epoca nella quale la ricetta originale si arricchì di altri ingredienti: per dare maggiore gusto e sapore al prodotto, questi veniva mangiato accompagnato con un trito di cipolle bagnate nell'aceto, o con del formaggio fresco.

Cari amici, siamo d’inverno e a Sassari il pomeriggio, dopo la passeggiata e prima del rientro a casa con gli amici è bello gustare un pezzo di fainè, accompagnato da un buon bicchiere di vino novello. Un consiglio: io non sono sassarese ma ho dei cari amici che “sanno” dove poter consumare quella “buona”, quella fatta a regola d’arte. In una parola la fainè D.O.C.! Mangiare la fainè è un piacere, gustare quella particolare, “speciale” è tutta un’altra cosa.

Sono disponibile, a chi me lo chiede, di fornire nome, cognome e indirizzo di un sassarese DOC (che ora abita ad Oristano) che conosce i pochissimi locali dove si può consumare quella giusta. Qui anticipo solo le iniziali L.G.

Per finire ecco una bella poesia dedicata alla fainè.

LA FAINÈ, una poesia in dialetto Sassarese di Tino Grindi, tratta dal Blog http://sassareserie.blogspot.com/





L’abbrusgienti caldha o fainè
da li tempi di Pemperempè
piazia a tutti li sassaresi,
porthuturresi, sussinchi e sinnaresi.

Baciccia lu genobesu ha ischuminzaddu
e Mario ancora megliu cand’ha imparaddu.

Sempri in via Usai è giuntu Valentinu,
ischuminzaba a infurrà a Santu Marthinu
candu s’ippuntaba lu primu vinu,
era bona primamenti bibendi vermentinu.

Cu la ziodda era una duzzura,
cun sasthizza fazia megliu figura,
la punta secca era licchitta
e faziani tutti a furadura.

Si vindia puru i la carrera
cun un triciclu da manzanu a sera:
sobra una teglia cuvaccadda
e sottu un brasgeri sempr’azzesu.

Lu più famosu amburanti
era Sacconi lu baibanti,
fazia li fetti umbè minoreddi
e li pizzinni sempr’offesi, corareddi.

Un’althru bonu era Zizzu Pira
da eddu tutti faziani la fira,
sempri fabiddendi che matracca
e punendi li dinà in busciacca.

Ancora reggi un forru in via Usai,
la fainè è sempri bona e no mori mai
li padroni si ciammani Sassu,
ma candu t’arreggani lu contu
ti fara un collassu…!

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Grazie a tutti Voi della sempre gradita attenzione!

Mario

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