Il recente articolo della Prof. Maria Ausilia Fadda, archeologa della Soprintendenza di Sassari e Nuoro, apparso nell'ultimo numero della rivista “Archeologia Viva” , riapre l’annoso quesito-dilemma sulla reale e incisiva dominazione romana in Barbagia. La nota archeologa afferma, a chiare lettere, che le recenti scoperte presso il villaggio nuragico di Sirilò, hanno messo in evidenza che la dominazione romana, nonostante i miti, non risparmiò neanche le zone più interne ed impervie del Supramonte. I recenti scavi effettuati a Sirilò, con l’attento esame di ambienti di epoche diverse, documentano che gli ultimi a frequentare quest'area furono proprio i Romani. Il riuso di tombe nuragiche dimostra che la romanizzazione della Barbagia ci fu eccome, fugando definitivamente i residui dubbi. Ulteriore conferma arriva dal ritrovamento di un deposito votivo nella gola di Gorropu: tutti i reperti rinvenuti sono stati classificati di epoca romana o greca. «Appare evidente - spiega Maria Luisa Fadda - che la convinzione diffusa di un isolamento resistenziale della Barbagia merita di essere rivista, per restituire al territorio il giusto ruolo».
Se a molti questa affermazione può sembrare straordinariamente nuova, in realtà è solo una conferma di qualcosa che non pochi studiosi avevano già da tempo ribadito. La capacità dominante dei romani e, prima di loro dei Greci, era stata già fortemente dimostrata oltre trent’anni fa dal Prof. Antonio Mereu, come possiamo leggere nel suo libro “Fonni Resistenziale nella Barbagia di Ollolai e nella storia dell’Isola”, uscito nel 1978, nelle edizioni della Tipografia Solinas di Nuoro.
Antonio Mereu, classe 1922, “Barbaricino d’adozione”, nacque a Cagliari ma si trasferì fin da giovane a Fonni nel 1948. Preside per anni della locale Scuola Media, divenne successivamente Ispettore onorario alle Antichità e belle Arti, ed apprezzato giornalista.
Mereu, ripercorrendo nel libro la nostra storia di Sardi, e partendo dalle antiche fonti classiche, afferma che i Greci, già prima della colonizzazione dell'Occidente (VIII sec a.C.), e i Latini conoscevano bene la Sardegna. Le testimonianze di Erodoto, Diodoro Siculo, Sallustio, Strabone e, soprattutto, Pausania - vissuto nel II sec. d.C. e che nel decimo libro della sua Tes Ellados Periegesis (Descrizione della Grecia) dedica un intero capitolo alla mitica colonizzazione della Sardegna - raccontano di popolazioni greche in fuga da Troia che si rifugiarono sui monti dell'isola e vennero chiamati Iliesi (appunto da Ilio). Successivamente la colonizzazione romana - iniziata nel 238 a.C. durante la seconda guerra punica – si estese dalle coste in tutta l’Isola, trovando all’interno una forte resistenza, in particolare ad opera delle popolazioni barbaricine, che cercarono in tutti i modi di non sottomettersi, rallentando il processo di romanizzazione, che per alcuni studiosi non fu mai totale. La verità, si sa, non è facile da reperire a posteriori.
Certo le affermazioni della Fadda riaprono un dibattito solo accantonato e sempre aperto, tra i convinti assertori dell’invincibilità dei barbaricini da una parte e dall’altra quelli che, come me, hanno sempre sostenuto invece la completa “colonizzazione” della nostra Isola.
Le ritenute innovative affermazioni dell’archeologa Maria Luisa Fadda, relativamente ai ritrovamenti di “Sirilò”, sito nuragico da Lei ben conosciuto, visto che in passato vi aveva già operato, dirigendo altri scavi, a mio avviso non sono, però, di nessuna particolare novità o straordinarietà. Altri, come dicevo prima, hanno in precedenza accreditato, dimostrandola, questa tesi, oggi sbandierata come “ capace di riscrivere la storia della Sardegna”. Di certo le recenti scoperte contribuiscono a rafforzare le tesi precedenti, che già affermavano che non ci furono enclave di resistenza neppure nelle cime del Gennargentu.
Che i romani avessero una ‘mansio’ a Sorabile, un chilometro circa da Fonni, e che frequentassero l'emporio di Santo Efisio vicino ad Orune è cosa nota. Come è cosa nota che il villaggio nuragico “ Su Romanzesu”, tra Nuoro e Bitti, allocato sull’altopiano granitico, perennemente battuto dai venti, che si estende nella parte più elevata dell'agro di Bitti, ai limiti settentrionali del territorio nuorese, prese nome proprio dalla presenza di numerose testimonianze lasciate dai romani che in epoca imperiale (II - III sec. d.C.) occuparono l'altopiano con insediamenti produttivi. Gli stessi romani colonizzatori che realizzarono l’importante strada che partiva dalle sorgenti del fiume Tirso (Caput Tyrsi) e raggiungeva la mansio di Sorabile, in agro di Fonni, un avamposto militare per il controllo delle zone più interne della Sardegna nell'area dei monti del Gennargentu. Da tutto questo ne deriva che i romani riuscirono senza ombra di dubbio a colonizzare anche le alte terre della Barbagia.
Scrive Antonio Mereu nel suo libro “Fonni Resistenziale nella Barbagia di Ollolai e nella storia dell’Isola”, che i romani occuparono l’Isola nel 238 A.C., nell’intervallo tra la prima e la seconda guerra punica, attratti dall’alto valore cerealicolo delle terre sarde, oltre che ritenere la Sardegna centro di primaria importanza per la produzione mineraria e base militare di prim’ordine, per la sua posizione al centro del Mediterraneo.
Se l’occupazione romana delle coste risultò più semplice, anche per la maggiore mitezza delle popolazioni costiere, ben più lunga e difficile fu la lotta per asservire la parte interna dell’Isola. Le lotte contro l’invasore latino, che aveva prepotentemente sostituito quello punico, videro un alternarsi di lotte e di vittorie su entrambi i fronti, coinvolgendo anche le popolazioni delle pianure. Cosi riporta Antonio Mereu:
“…La ribellione del 231 A.C. si scontrò con i legionari di M. Pomponio Matone, lo stratega antiguerriglia che impiegò nella repressione onde snidare i Pelliti dai loro rifugi, cani particolarmente addestrati nella caccia all’uomo. Narra la tradizione locale che i “mastini fonnesi”, razza di cani da pastore, usati nell’Ottocento dai banditi barbaricini nelle bardane, siano i diretti discendenti delle bestie utilizzate dal console romano per fiaccare i ribelli montagnini. Di questi animali, alquanti imbastarditi, esistono oggi pochi esemplari, a causa della requisizione indiscriminata, comprese le femmine, operata dal governo italiano nel 1912 per utilizzarli nella campagna di Libia contro i Senussi…”.
Altro tassello in favore della compiuta colonizzazione romana è quello che si può leggere in una dedica su stele marmorea, rinvenuta in prossimità delle terme romane di Forum Traiani, dove alcune popolazioni di “Civitates barbariae” facevano ‘omaggio’ all’imperatore in carica Tiberio. L’omaggio, si sa, è normalmente fatto dal suddito nei confronti del dominatore sovrano.
Tutto questo dimostra che, nonostante le resistenze, i sardi delle montagne si erano rassegnati ad accettare il conquistatore ed a subire il diritto del più forte, rintuzzando, in attesa di tempi migliori, il loro incoercibile desiderio di libertà.
“…Dopo Tiberio la romanizzazione dell’Isola e la penetrazione nell’interno divenne massiccia” , scrive Mereu nel suo libro. “…Da Forum Traiani prima e da Agustis successivamente, nonché da Karalis e da Ulbia, le coorti ausiliarie di Spagnoli, Galli, di Mauritani e Africani, si spinsero verso le montagne del Gennargentu, sino ai pendii del Monte Spada , seguendo un percorso stradale parzialmente punico tracciato sugli antichi sentieri nuragici…”.
Le strade, come sappiamo, furono la migliore arma di conquista dei romani.
In oltre 500 anni i romani costruirono in Sardegna quattro arterie principali che consentivano sia i commerci che la difesa. Una, la “Turre-Karales”, passante per Forum Traiani; un’altra, la “Portus Tibula-Karalis, che attraversava la parte orientale dell’Isola; un’altra, in tre tronconi, si snodava ad occidente: la “Tibula-Sulcis, la “Sulcis-Nora” e la “Karalis-Nora”. La quarta detta “ Per Mediterranea” o centrale “Alio itinere Ulbia Karalis, passante per Sorabile (a 2 Km. Da Fonni) in tangenziale ai monti del Gennargentu.
Quest’ultima, la più importante per l’argomento che trattiamo, è stata definita dall’archeologo Giovanni Lilliu “economica e strategica”, per il suo particolare tracciato a carattere militare che i romani avevano studiato in funzione soprattutto di controllo delle zone residenziali del Gennargentu, del Nuorese e del Bittese, sino ad Alà dei Sardi. Tre le stazioni intermedie tra Ulbia e Karalis: Biora, Sorabile e Caput Thirsi. Poche le tracce rimaste di questa importante arteria: solo 2 cippi, di cui uno rinvenuto proprio a Sorabile.
Per concludere non posso che ribadire quanto affermato all’inizio: che la dominazione romana dell’Isola fu piena e completa e che i recenti ritrovamenti non fanno che confermare quanto già ampiamente noto. Voglio chiudere questa riflessione riportando le parole del Prof. Antonio Mereu, della cui amicizia ho potuto godere e che ancora (in sua memoria) mi onora. Eccolo come riporta le sue idee nel suo libro prima citato.
“…Tutte queste testimonianze che abbiamo riportato, riflettenti una situazione politico-militare durata oltre 700 anni, riteniamo siano state sufficienti a dimostrare l’occupazione quasi completa del nostro territorio da parte di Roma repubblicana e imperiale, sfatando le tesi di alcuni studiosi del secolo scorso, che per inclinazione sciovinistica davano la zona montana esente da tale controllo...”.
Un sentito grazie alla memoria del Prof. Mereu per il Suo acume e la Sua lungimiranza ed a tutti Voi per la sempre gradita attenzione.
Mario
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