Oristano 3 Novembre 2011
Cari amici,
credo che scuserete la mia ironia nel dare un titolo calcistico a questa riflessione. Ho volutamente usato il gergo dello sport più popolare per riflettere sui dati del recente rapporto annuale stilato dal Programma dell’Onu per lo Sviluppo (Undp).
La lettura di questi dati evidenzia che anche nel 2011, la Svezia mantiene la prima posizione di questa classifica, mentre l’Italia che nel 2009 era arrivata alla 15^ posizione si ritrova, ancora retrocessa: alla 24^ posizione.
L’esame annuale fatto dall’ONU evidenza le diseguaglianze che contraddistinguono la crescita e sviluppo nei vari Stati del mondo: nell’accesso al lavoro e quindi al reddito, nell’adeguatezza del sistema sanitario ed in quello dell’istruzione; annualmente cambiano, modificando la situazione precedente in meglio ed in peggio, elaborando “l’Indice di Sviluppo Umano (Isu)”, strumento che costituisce spesso una cartina al tornasole per i Paesi più ricchi. Ma cos’è esattamente questo Indice di Sviluppo Umano? Vediamolo insieme.
L'Indice di sviluppo umano (in inglese: HDI-Human Development Index) è un indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato dall'economista pakistano Mahbub ul Haq nel 1990. È stato utilizzato, accanto al PIL (Prodotto Interno Lordo), dall' Organizzazione delle Nazioni Unite a partire dal 1993 per valutare la qualità della vita nei paesi membri. In precedenza, veniva utilizzato soltanto il PIL, semplice indicatore di sviluppo macroeconomico che rappresenta il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un anno su un determinato territorio nazionale. Questo riduttivo parametro misura esclusivamente il valore economico totale senza tener conto della distribuzione media del reddito. In pratica, un cittadino molto ricco “ridistribuisce” la sua ricchezza su molti poveri falsando in tal modo il livello di vita di questi ultimi; come ha sempre ben spiegato la storia del “pollo” e dei due individui che lo avevano a tavola: pur mangiato da un solo di essi risultava, invece, che ne avevano mangiato metà a testa.
Per cercare di rendere l’indice più reale si è cercato, modificando il precedente parametro, di tener conto di altri fattori aggiuntivi. Oltre al PIL pro-capite, si sono inseriti altri due parametri: l'alfabetizzazione e la speranza di vita. Lo sviluppo umano, infatti, esula dal solo dato economico, coinvolgendo e riguardando alcuni ambiti fondamentali dello sviluppo economico e sociale: la promozione dei diritti umani, la ricerca del diritto alla convivenza pacifica, la difesa dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile delle risorse territoriali, oltre lo sviluppo dei servizi sanitari e sociali. A tutto questo deve aggiungersi il miglioramento dell'educazione della popolazione, con particolare attenzione all'educazione di base, allo sviluppo economico locale, all'alfabetizzazione ed all’incentivazione alla partecipazione democratica, oltre all'equità delle opportunità di sviluppo e d'inserimento nella vita sociale.
Il nuovo metodo di calcolo tiene ora conto, oltre che del P.I.L., delle seguenti altre dimensioni:
. Una vita lunga e sana: misurata dall'Aspettativa di vita alla nascita.
. L'accesso alla conoscenza: misurata dagli Anni medi di istruzione e dagli Anni previsti di istruzione.
. Uno standard di vita dignitoso: misurato dal Reddito nazionale lordo (GNI) pro capite (in termini di parità di potere d'acquisto in dollari USA).
Il Rapporto 2011 ha analizzato 187 nazioni; scarse le variazioni, sopratutto nelle prime posizioni della classifica.
Nella tabella riportata qui sotto sono indicate anche le posizioni in classifica dei primi 10 Paesi, con, in basso, l’indicazione della posizione dell’Italia che si colloca ancora al 24° posto.
Come accennato, è la Norvegia che si conferma il Paese con il più alto valore di Sviluppo umano, seguita dall’Australia, dall’Olanda, dagli Stati Uniti ed al 5° posto dalla Nuova Zelanda. La Repubblica Democratica del Congo è invece il fanalino di coda (al 187° posto). Facile comprendere perché il fondo della classifica risulti occupato da Paesi dell'Africa sub-sahariana come Niger, Burundi e Mozambico, dove lo sviluppo in generale è assente.
L’Italia, come prima accennato, non solo non è riuscita a tornare alla posizione dell’anno 2009, ma neanche a migliorare quella del precedente anno. Non è certo un grande onore se una nazione come la nostra, per anni baluardo dello “Stato Sociale”, sia ormai tramontata e ingigantisca ogni giorno i suoi problemi.
Se lentamente ma inesorabilmente la coperta dello Stato si fa sempre più corta, non è detto, però, che tutti noi non dobbiamo cercare le giuste soluzioni, vivendo esclusivamente alla giornata. Viviamo, come membri della Comunità Europea, una situazione quasi Kafkiana: non possiamo prendere le decisioni da soli ed allo stesso tempo non possiamo contare su un’Europa che, con voce univoca agisca e trovi, caso per caso, i giusti rimedi. Un’Europa zoppa, senza un'unica e forte voce, continuando di questo passo potrà fare più danno che guadagno.
Uno dei principali obiettivi strategici programmati dalla C.E. per il 2020 è la “crescita inclusiva”. Si tratta di un progetto in cui gli Stati membri dovrebbero restare impegnati a far ripartire le loro economie, aprendo, senza privilegi, al tempo stesso sia i mercati del lavoro e i sistemi di protezione a tutti gli outsider. La scommessa dell’Unione Europea è che crescita ed inclusione possano procedere di pari passo. Ragionando “in casa nostra” , secondo Voi, è pensabile che ciò possa avvenire anche in Italia? Personalmente sono convinto di no, ma chissà! Intanto le avvisaglie, a partire dalle situazioni quotidiane, non sono buone.
Vediamo tutti i giorni che la conflittualità all’interno della compagine di Governo non accenna a diminuire e che vecchi e nuovi fronti di guerra permangono aperti su non pochi livelli; la litigiosità continua anche se, invece, in un momento cosi delicato, dovrebbe proprio cessare.
Per mettere al sicuro il Paese dalla speculazione occorrerebbe dare forti segnali di coesione, di determinazione, e di una capacità reale di “potere e sapere” governare il Paese, senza tentennamenti. L’assalto della finanza speculativa al nostro sistema economico e di credito, ha costretto il governatore della Banca d’Italia, insediatosi proprio questi giorni alla presidenza della BCE, a rilasciare un tranquillizzante comunicato sullo stato di salute delle nostre banche ma, nonostante la bontà della fonte, non è bastato. I ripetuti attacchi ed i conseguenti tonfi della nostra “Borsa” (terrificanti quelli degli ultimi giorni), ancorché conforti da analoghi andamenti in ribasso delle altre borse, non fanno presupporre ne tranquillità ne serenità.
Le nostre debolezze sono risapute: crescita bassa già prima della crisi, forti vincoli di bilancio, profonde distorsioni sul welfare, debito pubblico ormai non più tollerabile. Praticamente sarà un miracolo riuscire ad evitare la catastrofe. Nel circolo vizioso dei rating, a volte poco meditati, dei timori dei piccoli e grandi risparmiatori, ogni sforzo può risultare vano. L’aumento preoccupante degli interessi sul debito pubblico continua a sottrarre indispensabili risorse per la “crescita e la ripresa”. L’inderogabile necessità di trovare “danaro fresco” per agevolare la ripresa è un angosciante problema che toglie il sonno sia a chi governa, che ai “governati onesti”, ai quali viene chiesto, ancora di contribuire. Tutto questo sembra quasi una contraddizione in termini: se è già cosi difficile trovare i danari per ridurre il debito, dove potremo mai trovarne degli altri per finanziare la ripresa? Aumentare l’età pensionabile se da un lato alleggerisce le casse pubbliche, dall’altro aumenta la disoccupazione, soprattutto quella giovanile.
L’Europa invita (purtroppo senza potere reale non può fare altro) in modo forte ad investire sul “fattore giovani”, considerato un “capitale fresco”, indispensabile per portare avanti l’innovazione e lo sviluppo, ma non riesce a trovare le armi per dare una risposta unitaria, che spinga “con forza” tutti gli Stati aderenti in un’unica direzione. La mancanza di una “vera Europa Stato Federale”, impedisce tutto questo, per cui vengono emesse solo ‘paternali raccomandazioni’ , inviti, rivolti ad incentivare l’autonomia, la mobilità, le politiche attive del lavoro e niente di più. L’Europa manca di una forte politica “comune” di incentivazione all’occupazione, soprattutto giovanile, l’unica capace di creare concretamente nuovi e produttivi investimenti nei settori della nuova economia.
L’Europa “Stato Federale” è oggi ferma per l’egoismo degli Stati che la compongono. Ognuno cerca di tenere più rigoglioso il proprio giardinetto, senza pensare che un possibile, anzi probabile, incendio nel giardino del vicino (la Grecia non è lontana), si estenderà e brucerà con grande probabilità anche il suo. L’egoismo, da che mondo è mondo, ha già sentenziato che “Chi troppo vuole nulla stringe”.
Grazie della Vostra attenzione.
Mario
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