L'ALLUVIONE A BITTI |
Oristano 14 dicembre 2020
Cari amici,
Si fa presto a dare la
colpa alle calamità naturali, quasi che l’uomo fosse sempre e solo vittima di
qualcosa di assolutamente imprevedibile, attribuibile dalla natura, che, nella sua
perenne e spesso capricciosa variabilità, si diverte ogni tanto a giocarci un
tiro mancino, capace di metterci in difficoltà, spesso anche molto serie. Se l’uomo,
invece, prendesse finalmente atto della sua cocciuta testardaggine ed evitasse
di fare modifiche astruse in quella natura retta da un perfetto equilibrio che la
governa con le sue leggi, quanto staremo meglio!
La Sardegna, per rimanere a casa nostra,
paga da tempo gli errori che nel corso del tempo l’uomo ha commesso, e l’elenco
potrebbe essere davvero tanto lungo! Errori che vanno dall’abbandono delle
campagne al disboscamento fuori misura, dagli incendi dolosi o colposi che modificano, spesso
per molti anni, habitat naturali, dalla cervellotica modifica del corso dei fiumi fino alla
loro canalizzazione all’interno di aree abitate. Poi, successivamente, piangiamo lacrime amare quando la natura
si riprende i suoi spazi e ritorna, spesso con prepotenza, dove l’uomo l’aveva
maldestramente cacciata.
Il recente disastro che
ha messo in ginocchio la popolazione di Bitti non è che l’ennesima
dimostrazione degli errori commessi dall’uomo: anche a Bitti il fiume da tempo
tombato all’interno del paese è poi esploso, causando disastri e perfino perdita
di vite umane. Si, amici, la follia dell’uomo, purtroppo, non è roba recente,
in quanto affonda le sue radici addirittura in tempi lontani. Chi percorre la SS 125 in direzione Tortolì,
in Ogliastra, si trova, a breve distanza tra loro, i paesi di Osini Vecchio e
Gairo Vecchio: entrambi questi piccoli centri furono abbandonati in seguito ad
una terribile alluvione nel 1951. E questo non è che un piccolo esempio. Anche nel
Sulcis, a sud di Carbonia, sorgeva il paese di Tratalias Vecchia: il suo
spopolamento ebbe inizio nel 1954, quando la creazione di un lago artificiale
nei paraggi provocò dissesti, danni agli edifici e problemi igienico-sanitari,
tanto che si decise di ricostruire il paese su una zona collinare più sicura. Problematiche
ripetute in tempi più recenti a Mogoro e Terralba e diversi altri centri (ci basti menzionarne una:
il ciclone Cleopatra, che nel 2013 mise in ginocchio Olbia), per arrivare infine al fatto più recente di Bitti.
La Sardegna, amici, poco
ha fatto per cercare di proteggere il suo territorio dal possibile “DISSESTO
IDROGEOLOGICO”, se pensiamo che oltre 2.300 chilometri quadrati di territorio sono
a rischio frane e alluvioni. Eppure lo Stato per la nostra isola continua ad essere sempre
matrigna: i fondi necessari per prevenzione, messa in sicurezza e necessario ripristino, continuano ad essere in costante diminuzione, mentre i rischi aumentano. Le
statistiche dicono che il 9,7% della superficie della Sardegna è ad elevato
rischio frana e/o media pericolosità idraulica. Tale situazione evidenzia che
ben 338 Comuni dell’Isola, l’89,7% dei 377 totali, nei loro territori hanno
aree caratterizzate da un’elevata o molto elevata pericolosità da frane o da
una media pericolosità idraulica. In queste aree, di conseguenza, sono a
rischio 138.179 abitanti, 58.228 edifici, 10.701 attività produttive, 28.674
addetti e 684 beni culturali.
Sono numeri terribili,
che emergono dall’ultimo rapporto dell’Ispra sul Dissesto idrogeologico in
Italia (dati 2017), elaborati dall’Ufficio studi di Confartigianato Sardegna,
in base al quale, pochissimi Comuni isolani possono ritenersi al sicuro dalle
conseguenze degli eventi naturali. “Dopo le tragedie in termini di vite
umane, e dopo i disastri che hanno colpito infrastrutture ed edifici,
soprattutto nell’ultimo decennio – ha commentato Antonio Matzutzi,
Presidente di Confartigianato Imprese Sardegna – ogni anno nella nostra Regione
torna d’attualità il tema della lotta contro il dissesto idrogeologico”.
Cari amici, oggi la
Sardegna sta pagando (come altre Regioni del resto) un’inerzia operativa che ha
radici lontane. il dissesto idrogeologico che ci troviamo a fronteggiare è
frutto di mille rimandi, di mille disattenzioni, di mille omissioni, leggerezze che paghiamo con un prezzo salatissimo. Tutto parte dalle motivazioni che dicevo prima: violenza e approssimazione nei confronti
del rispetto della natura e delle sue leggi, e giorno dopo giorno si pagano con grande amarezza le
conseguenze. La catena idrogeologica non ammette distrazioni. La regimentazione
delle acque non parte dal basso, si costruisce a monte. A volte si ipotizzano
opere ciclopiche e milionarie dentro i paesi, si creano argini direttamente
dentro le città; nei bacini idrografici, quelli che raccolgono l'acqua tra una
montagna e l'altra, invece, tutto è lasciato al caso. E alla fine chi ne paga
le conseguenze è la salute del territorio. D'ora in poi saremo capaci di fare un severo “Mea
Culpa” e rimboccarci le maniche iniziando a correggere i tanti errori fatti finora? Chissà!
A domani.
Mario
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