venerdì, marzo 22, 2013

DEMOCRAZIA E LIBERTA’, UN BINOMIO INSCINDIBILE. LE SEI CONDIZIONI DI ALEXIS DE TOCQUEVILLE PER LA DIFESA DELLA LIBERTA’ NELLE SOCIETA’ DEMOCRATICHE.


Oristano 21 Marzo 2013


Cari amici,

con questa ulteriore riflessione vorrei completare il discorso iniziato qualche giorno fa sulla democrazia.

Strumento delicato quello della democrazia, non facile da gestire da parte degli uomini che, in breve tempo, si affezionano “troppo” al potere trasformando il governo democratico in qualcosa di molto diverso. L’analisi della nascente democrazia americana, fatta oltre 150 anni fa da Alexis de Tocqueville, evidenziava già questi rischi, pur mettendo in risalto la bontà di quel “nuovo regime” libero e democratico. Tocqueville osservava che con il trascorrere del tempo gli uomini in posizione di comando si affezionano al potere, mettendo in serio rischio e pericolo la libertà e l’uguaglianza garantita dal potere democratico. La seria riflessione fatta da Tocqueville sui rischi che corre la democrazia è riportata nella seconda parte del suo interessante libro “Democrazia in America”. La sua analisi mette in evidenza i “punti critici” che mettono in pericolo il perdurare della democrazia: sono almeno sei i punti chiave da Lui individuati, le “condizioni” per il mantenimento e la  difesa della libertà nelle società democratiche.
Tocqueville, pur apprezzando il sistema democratico americano, si rendeva conto che la libertà, insita in quella democrazia, si reggeva su un equilibrio precario e poteva essere annullata dalle derive dispotiche messe in atto dagli uomini al potere; derive che già aveva potuto constatare in Europa ed in particolare nella Francia rivoluzionaria. Come antidoto identificò una serie di condizioni che, a Suo avviso, erano necessarie per la difesa delle libertà nelle nuove società democratiche. Sei sono le condizioni indicate da Tocqueville: la divisione dell’autorità, la varietà delle Istituzioni (intese come centrali e locali), il sistema federale, la libertà di stampa, la necessità di uno Stato minimale (che crea una grande vivacità associativa) e la capacità di coniugare lo spirito religioso con quello liberale. Vediamole in dettaglio queste condizioni.

La divisione dell’autorità. Lo studioso francese riteneva che in America i diritti individuali fossero ottenuti e garantiti attraverso la diversificazione dell'autorità; questo principio sta alla base non solo della struttura di “autorità complessiva” in America, ma anche di tutte le istituzioni fondamentali della vita americana, inclusa la religione, l'economia e lo stesso governo politico.

La varietà delle Istituzioni. Una seconda fonte di libertà negli Stati Uniti, secondo Tocqueville, era la presenza e la rilevanza delle istituzioni locali, intese come vere e proprie scuole di cittadinanza e di libertà. Non centralismo accentratore, quindi, ma potere condiviso.

Il sistema federale. Intimamente collegata alla seconda condizione vi è questa terza: il sistema federale, che separa l'una dall'altra le branche esecutiva, giudiziaria e legislativa del governo nazionale e separa i poteri del governo nazionale dai poteri statali e locali.

La libertà di stampa. Quarta tra le condizioni necessarie, la libertà di stampa, ritenuta decisiva non tanto per un'astratta possibilità di giudizio individuale sulle cose pubbliche (come penseremmo forse oggi), ma innanzitutto perché agli occhi di Tocqueville una stampa libera era essenziale per stimolare le persone a formare associazioni di grandezza sufficiente per dedicarsi alle cause importanti.

La necessità di uno Stato minimale. La società democratica, secondo Tocqueville, è una società individualistica nella quale ognuno, con la sua famiglia, tende a isolarsi dagli altri. I cittadini americani amano auto amministrarsi, programmare, progredire in senso individualistico. Sono convinti che lo Stato debba lasciare il campo “perfettamente libero”, sgombro dagli effetti perversi generati dalle buone intenzioni dello Stato". Quello Stato che, sostituendosi al privato, non soltanto diventa imprenditore, educatore, assistente sociale, ma detta e definisce anche le idee e i valori da portare avanti. In questo modo la democrazia tende verso una forma di «dispotismo», vicino anche se abbastanza differente dalle passate forme di tirannia ancora ben presenti in Europa. La libertà dallo Stato consente in America ai cittadini di esprimersi liberamente, di associarsi liberamente. La società americana, come ha potuto rilevare Tocqueville, pur individualista, è capace di superare le barriere dell’individualismo attraverso la partecipazione associativa. Nel suo viaggio americano lo studioso francese era rimasto colpito sia dal numero delle associazioni civili e politiche, sia dalla loro grande vitalità. Queste associazioni erano essenziali per superare l'innata divisione degli individui all'interno della democrazia e per difenderli contro la centralizzazione del potere. In breve, le associazioni volontarie combattevano simultaneamente i due mali dell'individualismo e del dispotismo democratico.

La capacità di coniugare lo spirito religioso con quello liberale. Sesta ed ultima condizione la religiosità come fatto pubblico. La società americana è, agli occhi del non credente Tocqueville, quella che ha saputo unire in modo perfetto lo spirito religioso e quello liberale. Tutto l'opposto della Francia descritta in «L'antico regime e la rivoluzione», dove a un fortissimo centralismo politico si affiancò un diffuso sentimento antireligioso. Per il laico Tocqueville, dunque, la religione non doveva e non poteva essere semplicemente un “fatto privato” ma un “fatto pubblico”, anzi una «istituzione politica», pur nella rigorosa separazione dallo Stato. Solo la religione, agli occhi dello studioso francese, può formare uomini moralmente liberi, capaci di contrastare e superare i mali connessi all'egualitarismo democratico e alla materialistica riduzione della vita a “ricerca del benessere”. Dunque la religione non è soltanto una componente connaturata alla natura umana, ma una necessità civile e sociale per il mantenimento della libertà.

Queste le condizioni scaturite dalla lucida analisi di Tocqueville fatta ormai oltre 150 anni fa. Ma oggi, queste condizioni per il mantenimento della libertà nella democrazia, sono ancora valide?

Ferme restando le condizioni richiamate da Tocqueville oggi assistiamo a due fenomeni che, pur opposti, sono intrinsecamente legati e rendono il funzionamento democratico ancora più complesso e precario. I due fenomeni sono l’apatia politica ed il privilegio delle caste, fenomeni, entrambi, che mettono in serio pericolo l’uguaglianza democratica.

L’indifferenza politica o apatia, è stata denunciata in particolare da Norberto Bobbio, nell’ambito della trattazione delle cosiddette “promesse non mantenute della democrazia”. “ Guardiamoci attorno. – dice Bobbio – Si assiste impotenti al fenomeno dell’apatia politica, che coinvolge spesso la metà circa degli aventi diritto al voto. Dal punto di vista della cultura politica, costoro sono persone [...] semplicemente disinteressate per quello che avviene, come si dice in Italia, ‘nel palazzo’. So bene che si possono anche dare interpretazioni benevole dell’apatia politica...”.

A questo fenomeno, continua Bobbio, si aggiunge quello della vendita della propria dignità attraverso il cosi detto “voto di scambio”. Entrambi, l’apatia ed il voto di scambio, “venduto” per mero interesse personale, sottolineano in modo inequivocabile quel fenomeno terribile di indifferenza politica, ormai diffusa nelle nostre democrazia. E’ quasi un abbandono da parte dei cittadini governati del compito di agire, attraverso il voto, se non per governarsi da sé, almeno per influire sul governo!
Scarsa partecipazione o partecipazione egoisticamente interessata portano a quella artefatta “democrazia per assuefazione”, portata avanti in modo subdolo dai gruppi di interesse. La consolidata decisione di molti cittadini di “lavarsene le mani”, rinunciando al voto, ha come risultato quello di delegare impropriamente ai “gruppo interessati” il diritto di governare, con conseguenze e danni gravissimi. La sindrome di disaffezione, connessa alle logiche predatorie portate avanti dai gruppi di potere, e la conseguente crisi di rigetto dell’intera classe politica governante ha favorito il coagularsi del malessere intorno ad un nuovo soggetto (Grillo) che ha impersonato un nuovo “Batman”, e catalizzato una grossa percentuale dei voti degli elettori delusi. Bisogna stare attenti agli effetti di questo nuovo populismo che, sotto certi aspetti, può essere ancora più dannoso per la democrazia di quelle corrotte “aristocrazie o élites di governo” che si volevano combattere. Gli eccessi, da una parte o dall’altra non pagano, avvelenano solo la democrazia.

                           
La democrazia, come ben sappiamo, è fondata sugli individui, non sulla massa. Come Tocqueville stesso aveva constatato studiando la società americana del primo ottocento, la massificazione della società tramite l’uguaglianza e la spersonalizzazione dei suoi membri è un pericolo mortale per la democrazia perché apre le porte alla tirannide. Perché la massa informe, dove tutti sono uguali, non ha bisogno di democrazia ma si può accontentare di identificarsi in qualche demagogo che ne interpreta direttamente gli umori istintivi, senza bisogno di procedure democratiche di partecipazione politica. I regimi totalitari del secolo scorso sono la riprova di entrambe queste affermazioni: una democrazia senza qualità individuali apre la strada ai demagoghi. Per questo, una democrazia che vuole preservarsi dalla degenerazione demagogica deve curare nel massimo grado l’originalità di ciascuno dei suoi membri, la loro qualità ed onestà. E’ proprio dai cittadini di qualità che la democrazia attinge per creare le condizioni di buon governo, dove gli scelti, i migliori, operano nel vero interesse della collettività. E’ proprio all’interno di una popolazione composta da cittadini attivi, non massificata, che si può concretamente realizzare quella democrazia basata sull’uguaglianza. E’ proprio per merito di questa “cittadinanza attiva” che il privilegio, spesso portato avanti da certe élite di potere, viene combattuto mortalmente. Privilegio, come ben sappiamo, che ha conseguenze nefaste per gli amministrati. Una società “divisa per privilegi” dispone i suoi membri come su una scala: chi sta su e chi sta giù; chi sta su guarda dall’alto in basso chi sta giù. Inutile riepilogare qui il lungo elenco delle ruberie, degli scandali, della corruzione che ha contagiato tutte le élite che ci hanno governato e ancora ci governano. E’ necessario intervenire con forza e determinazione.

                        
Credo, però , che il male sia da combattere con mezzi adeguati, non con la disaffezione o con il populismo. La nostra reazione deve essere più composta e responsabile. Dobbiamo innanzitutto ritrovare quell’atteggiamento altruistico, quell’amore per la cosa pubblica che presuppone la nostra disponibilità a mettere in comune qualcosa di sé, anzi il meglio di sé: tempo, capacità e risorse materiali. Nessuno escluso. Senza lasciarci, però, ne incantare ne soggiogare dal santone di turno! Dobbiamo rimboccarci le maniche e mettere sul “piatto comune” la nostra capace individualità, con intelligenza e coraggio: non portando “il cervello all’ammasso”, ma fornendo, ciascuno il proprio proficuo contributo individuale. Cosi salveremo democrazia e libertà.

Alle recenti elezioni abbiamo assistito ad una incredibile “rivoluzione popolare”, che ha sconvolto come un uragano i precedenti e obsoleti schieramenti politici. Il dissenso, espresso in modo inequivocabile e pari ad un 25% dei votanti, credo però che abbia peccato di non poca ingenuità. Il movimento 5 stelle, destinatario di questo fortissimo consenso, espresso certamente perché esso avviasse un serio e concreto cambiamento, sembra, invece, voler utilizzare il consenso ricevuto in modo poco democratico, oserei dire addirittura autoritario e dittatoriale. Il movimento, anzi il “non movimento”, come i suoi capi amano definirlo, appare preda di gestori poco inclini alla democrazia.

                           
Le menti del movimento (Grillo e Casaleggio), credo siano convinti di essere non i democratici rappresentanti degli elettori ma “i padroni” di un gregge massificato (gli eletti), pronto ad eseguire, come un automa, le loro semplici “istruzioni d’uso”. Credo che questo sia un errore imperdonabile. Anziché cogliere, in un momento cosi delicato per la nazione, le irripetibili opportunità offerte da un pacchetto consistente di voti, ancorché di protesta, sembrano orientati verso obiettivi che oserei definire deliranti e, comunque, poco democratici. Se cosi fosse credo che quello stuolo numeroso di votanti più che un salto in avanti sia riuscito a fare solo il salto della quaglia. Diffidiamo dai facili imbonitori, e dai venditori di fumo. E’ bastato poco ad accertare che dietro le parole urlate c’erano anche interessi poco chiari. Anche sullo sbandierato “movimento” o “non movimento”. Il movimento esiste ed ha pure uno statuto redatto da un notaio. Nello statuto di questo movimento (che, ripeto, esiste anche se fino all’ultimo negato) , è ribadito che lo scopo “…è la convivenza armoniosa tra gli uomini, attraverso lo sviluppo del talento e delle capacità personali dell’individuo, che deve trovare piena possibilità di cogliere tutte le opportunità realizzabili all’interno della società civile, nel rispetto delle regole istituite dallo Stato nella sua fondazione”. Inoltre che “i valori fondanti del movimento sono libertà, uguaglianza, dignità, solidarietà, fratellanza e rispetto”. Nello statuto poi è anche prevista l’assenza del vincolo di mandato, proprio come scritto nell’articolo 67 della Costituzione, tanto criticato da Beppe Grillo giusto pochi giorni fa. Perché tanta segretezza e reticenza? A quale scopo?

Credo che anche gli eletti del movimento 5 stelle, oltre che i numerosi elettori, si stiano ponendo gli stessi dubbi che mi sto ponendo io. La libertà e la democrazia, ne sono convinto, sono tutt’altra cosa!

Grazie della Vostra sempre gradita attenzione.

Mario

                        

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