Oristano 3 Gennaio 2013
Cari amici,
L'amicizia e
l'amore sono manifestazioni importantissime
per la vita umana. Possiamo sostenere che nessun essere umano può farne a meno,
perché non è stato creato per vivere “solo”, ma per crescere e svilupparsi insieme
ad altri, in una Comunità. L’ultima mia riflessione dell’anno appena trascorso
è stata dedicata all’Amicizia, quell’amore universale che nella forma più
nobile costituisce il miglior modo di vivere e di relazionarsi con gli altri.
Amicizia, cari amici, che nella semplicità del suo termine contiene un’infinità
di significati, di sfumature e di varianti. Nella riflessione prima citata,
però, è mancato lo spazio ed il tempo per esaminare a fondo una delle variabili
dell’amicizia, certamente la più importante: l’innamoramento tra due persone
che porta all’amore. Scrive Francesco
Alberoni nel suo libro “L’amicizia” che se è facile distinguere l’amicizia
dalle relazioni sociali più superficiali, dai rapporti utilitaristici e da
quelli fondati sui ruoli professionali, “Il vero problema, quello che, finora, non è
stato ancora affrontato, è come distinguerla dalle altre forme di amore fra
persone”. In sintesi, in che cosa differisce l'amicizia
dall'innamoramento e dall’amore? Tralasciando le manifestazioni classiche che
riguardano l'amore materno, quello paterno, quello
filiale e l'affetto tra fratelli, è necessario capire che cosa differenzia, in
modo sostanziale, l’amicizia dall’innamoramento e dall’amore, che nasce tra persone prima estranee, non legate da
vincoli di sangue e di parentela, e che interessa non solo la sfera dei
sentimenti ma coinvolge la fisicità dell’essere umano, investe il suo “ corpo”,
dando vita all’amore fisico, all’eros. Bisogno naturale quest’ultimo, iscritto
nel nostro di DNA, per garantire la riproduzione, la perpetuazione della nostra
specie.
Sia l’amicizia che l’innamoramento sono
entrambe forme di amore. La differenza tra le due forme, però, è sostanziale e
per conoscerla è necessario partire dal reale significato del termine “amare”. Amare
è un termine a largo spettro che , in verità, significa rispettare, comprendere,
ascoltare, perdonare, sostenere, accettare, incoraggiare, aiutare, pazientare e
molto altro. Tutti termini questi che
ritroviamo inossidabili nella vera amicizia ma non sempre nell’innamoramento. Per
comprendere meglio il problema e le relative differenze, esaminiamo e mettiamo
a confronto le situazioni che i due tipi di amore creano, partendo dalle
origini, dalla nascita di questi sentimenti.
Primo: l’amicizia e l’amore seguono, fin dal
loro nascere, sentieri e percorsi diversi.
L’amicizia nasce, si perfeziona e cresce con la frequentazione e si
intensifica attraverso una “filigrana d’incontri”, raggiungendo livelli di ampia
intensità. L’innamoramento, invece, nasce all’improvviso, è un fatto repentino,
quasi istantaneo. Nella
sua immediatezza non ci sono, come nell’amicizia, gradi di intensità misurabili:
moltissimo, molto, abbastanza, un poco. Se dico «sono innamorato», dico tutto,
o lo sono o non lo sono, senza possibili misurazioni. “L'innamoramento segue la legge
del tutto o del nulla”, come sostiene Alberoni nel libro prima citato.
Secondo: a differenza dell’amicizia, che per
esistere ha bisogno di reciprocità (l’amicizia deve necessariamente essere
duplice: non si può essere amico di uno che non ti considera a sua volta
amico), l’innamoramento e l’amore possono esistere anche solo da una parte.
Si può essere innamorati di una persona che
non ci ama, che non ci corrisponde, che magari ci inganna, di cui non sappiamo
se sia buona o cattiva, se di animo nobile o meschino.
Terzo: se l’amicizia è l’esempio
dell’uguaglianza, della giustizia, della reciprocità, l’amore, invece, è spesso esempio di
ingiustizia: si ama anche se non si corrisposti, si ama anche chi ci manifesta
indifferenza, chi ci è ostile. “Questa è l'ingiustizia dell'amore che non
conosce merito e demerito, e non premia i buoni e non punisce i malvagi.
L'amore è sublime e miserabile, eroico e stupido, mai giusto”, sostiene
con forza Alberoni.
Quarto: l’amicizia è amore ideale, universale,
pura espressione dello spirito, mentre l’innamoramento privilegia la
relazione erotica, quella fisica, che a differenza dell’amicizia, presenta fin
dal suo sorgere manifestazioni esclusive di possesso e quindi egoistiche.
L’innamoramento è un sentimento totalizzante che esclude tutti gli altri, è
rivolto ad una sola persona, non è amore universale. Alberoni paragona
l’innamoramento ad una folgorazione, ad una conversione, simile a quella
religiosa o politica. Conversione che, escludendo tutti gli altri, mette a
fuoco solo i due soggetti, creando tra loro uno stato di ‘elevazione’ che porta
ad una costante necessità di verifica, con la conseguenza di un costante monitoraggio
che crea un’altalena di “tormenti ed
estasi”.
Per definire ancora meglio il
significato dell’essere innamorati mi piace qui riportare la definizione data
da un giovane che, in preda alla sua prima esperienza amorosa, cosi definisce
il suo stato: “Io non conosco da molto
l'Amore e forse non so neanche cosa sia, ma so cosa si prova quando si è
innamorati. E' svegliarsi la mattina con in mente quella persona, mettersi un
bracciale o una collana che ti ricordano quella persona, è guardare continuamente
l'orologio e contare i minuti che mancano per incontrare quella persona, è
ascoltare canzoni d'amore mentre pensi a quella persona, sentire da tutte le
parti quel suo profumo come se ce l'avessi addosso, perché quella persona è
sempre nella tua mente…”.
Questa affermazione mi ha riportato
indietro nel tempo, ai miei 15 - 16 anni, quando sbocciò il mio primo
innamoramento improvviso e il grande libro della vita non mi aveva rivelato che
le sue prime pagine! E’ un ricordo, quello che sto per riportare, molto
“intimo”, così personale, che lo avevo celato in uno “file nascosto”, rimasto
nell’ombra dei miei ricordi segreti per molti anni. Spero che la sua lettura possa
servire ai giovani di oggi per una piccola riflessione. Questo” flash” è intitolato Angela, anche se il nome, per
ragioni comprensibili di privacy, è di fantasia. Ho celato, per gli stessi
motivi, anche circostanze nomi ed
ambienti capaci, se messi insieme, di svelarne l’identità. Eccolo.
ANGELA.
Sono
sempre stato curioso, fin dalla mia prima infanzia
Che mi fermassi ad osservare un paesaggio, un’auto o un animale poco importava.
Le persone, in particolare, amavo osservarle attentamente, guardandole negli
occhi, cercando di capire dallo sguardo i loro pensieri o le loro intenzioni. I
miei occhi curiosi non smettevano mai di scrutare, di indagare, e, nel tempo,
questo è stato un esercizio che non ho mai abbandonato.
Avevo i
miei 15 anni quando i miei occhi curiosi si posarono per la prima volta su Angela.
Io abitavo a Bauladu e studiavo ad Oristano all’Istituto Tecnico per ragionieri
e raggiungevo la città con il pullman della ditta Frau di Sedilo, che
quotidianamente svolgeva il servizio di collegamento con Oristano e raccoglieva
gli studenti dei paesi vicini. Il mezzo non era certo lussuoso, anzi rattoppato
in più parti, ed era spesso soggetto ad impreviste soste per strada. Angela
saliva con la sorella di qualche anno più grande mentre Lei era mia coetanea. Fisicamente
erano molto diverse: la maggiore con i capelli chiari e le lentiggini, Angela
bruna, capelli neri un po’ ricci e con un dolce e curioso sorriso sempre stampato
sul viso. Fare conoscenza, amicizia, con le persone dell’altro sesso, soprattutto
se non si frequentava la stessa scuola o la stessa classe, era allora ben più
difficile di oggi: la rigida educazione non consentiva certo il cameratismo
odierno. Le due sorelle appena salite sull’automezzo cercavano possibilmente di
sedersi insieme, nei sedili a due posti del pullman, salvo i giorni di
particolare affluenza, quando il mezzo all’arrivo risultava già quasi
totalmente occupato.
Una
mattina capitò che uno dei pochi posti ancora liberi fosse quello a fianco a
me. Angela, salutando con un cenno si accomodò al mio fianco, sistemando i
libri ai piedi del sedile. Era la prima volta che succedeva di averla al mio
fianco e dentro di me, quasi all’improvviso, si scatenò un turbamento che
riuscivo a fatica a controllare. Non fu facile avviare un minimo di
conversazione ma, superato il momento iniziale, la nostra conoscenza iniziò a
farsi strada. Io mentre parlava la osservavo con grande attenzione. I miei occhi mettevano a
fuoco i suoi capelli, i suoi occhi il suo viso, quasi volessero memorizzare
tutto di Lei con la maggior dovizia di particolari. Quando Lei mi guardava
cercavo di darmi un contegno ma, osservato, sentivo il mio viso diventare di
fuoco per l’emozione. Arrivati ad Oristano non ci fu possibilità di fare strada
insieme perché la sorella, appena scesi dal pullman, la prese in consegna e,
insieme, si diressero a scuola.
Una
giornata come quella non l’avevo mai vissuta prima e fu per me come un “colpo
di fulmine”. Mentre mi dirigevo a scuola Angela continuava a ronzarmi nella
mente, la sua figura e le sue parole continuavano a rimbalzarmi addosso. Come
guardando un film risentivo la sua voce, rivedevo il suo viso, il suo sorriso,
la sentivo insomma ancora a fianco a me, con il suo gioioso profumo giovanile.
Ero come stordito. Quel giorno non riuscii a seguire le lezioni come al solito
perché mentre il professore spiegava io anziché ascoltarlo continuavo a pensare
ad Angela.
La gran
parte degli studenti pendolari al termine delle lezioni raggiungeva la stazione
ferroviaria o la Piazza Roma, dove, all’altezza della Chiesa di S. Sebastiano, era
ubicato lo spazio di sosta dei pullman, Li si fermava anche il pullman della
Frau che poi, alle 14,00, ripartiva per riportarci a casa. I vari passeggeri
attendevano la partenza del pullman seduti sul muretto che reggeva il
terrapieno dove si sviluppava la scalinata della Chiesa e consentiva di sostare
comodamente come su una rudimentale panchina. Io quel giorno riuscii a fare
poca conversazione con gli altri miei compagni: aspettavo con ansia l’arrivo di
Angela, non vedevo l’ora di ritrovarla. Lei arrivò con la sorella poco prima
della partenza del pullman e, una volta a bordo, si sedettero, come al solito,
l’una a fianco all’altra. Io, salito dopo di Loro, presi posto un po’ più
indietro, ma dall’altra parte del corridoio centrale. Avevo cosi la possibilità
di osservarla durante il viaggio senza essere
notato. Mi accorgevo che anche Lei, ogni tanto, volgeva indietro la testa
cercando fugacemente il mio sguardo. Io ero molto in agitazione e credo di non
averle tolto gli occhi di dosso per tutta la durata del viaggio. Arrivata a
destinazione Lei si voltò dandomi un rapido cenno di saluto con un leggero
sorriso e scese dopo la sorella dal mezzo che lentamente si riavviò per
proseguire il viaggio.
Arrivato
a casa mi accorsi di non aver fame: avevo un vuoto nello stomaco che mi
impediva quasi di mangiare. Mia madre, molto attenta, cercò di interrogarmi per
capire il mio atteggiamento inusuale, pensando che avessi preso l’influenza o
che, magari, avessi combinato qualche marachella a scuola. Nervosamente cercai
di tranquillizzarla. La sera studiai poco e la notte non dormii. C’era qualcosa
che mi turbava in maniera strana, qualcosa che non avevo mai provato prima. Il
turbamento aumentò l’indomani andando a scuola. Le sorelle, salite come al
solito nel pullman, presero posto l’una a fianco all’altra. Angela mi salutò solo
con un sorriso e, con mio grande disappunto, si accomodò a fianco alla sorella;
non ci furono ulteriori chiacchierate né il giorno né nei giorni successivi.
I
giorni passavano ed il mio turbamento anziché diminuire aumentava. Ormai non ce
la facevo più e avevo assoluto bisogno di stare con Lei, di parlarle. Con
discrezione scoprii che anche Lei aveva un rientro settimanale ‘pomeridiano’
per l’ora di Educazione Fisica e, manco a farlo apposta, nello stesso giorno che
l’avevo io! Era questa un’occasione che non potevo perdere perché nel
pomeriggio del rientro Angela non avrebbe avuto appresso la sorella, che, come
guardiano, era incorruttibile. Studiai un modo per incontrarla cercando di far
apparire l’incontro come dovuto al caso. Mi appostai vicino alla sua scuola e ne
aspettai l’uscita. La individuai subito appena si affacciò fuori dal fabbricato
ed il cuore si mise a battere cosi forte che sembrava che i suoi martellamenti
si potessero sentire anche all’esterno! Facendo finta di essere li per caso,
pur con un’ansia terribile che cercavo di mascherare, la salutai con un ciao ed
un sorriso contratto. Le dissi tutto d’un fiato che ero in giro perché avevo il
rientro per l’ora di Educazione fisica e Lei mi rispose che si tratteneva per
lo stesso motivo. Le lezioni di “ginnastica” si svolgevano tutte nel campo
Tharros, anche se in zone e con docenti diversi. Azzardai a chiederle se
potevamo passare insieme le ore che ci separavano dalle lezioni e lei con un
cenno mi disse di si.
La
giornata era fresca (erano gli inizi della primavera) ma abbastanza soleggiata
e ci avviammo lentamente verso i giardinetti di Piazza S. Martino. Non parlammo
molto durante il viaggio. Camminavamo fianco a fianco, a passo lento, ognuno
con il suo fagotto di libri sotto braccio, scambiandoci di tanto in tanto sguardi
furtivi. Se i nostri occhi si incontravano nessuno dei due resisteva allo
sguardo che, dopo pochi istanti, rapidamente cambiava direzione. Camminando affiancati
a volte capitava che le nostre mani si sfiorassero, ma nessuno prendeva
iniziative, come ad esempio prenderci per mano. C’era, però, da parte di
entrambi, una misteriosa attrazione: eravamo come imbrigliati in una tela di
ragno, dalla quale non riuscivamo a staccarci. Avrei voluto dirle tante cose ma
al minimo tentativo di aprire bocca non uscivano le parole che avrei voluto ma
solo pochi monosillabi confusi. Arrivati in Piazza S. Martino imboccammo il vialetto
dei giardinetti e lo percorremmo fino a metà, dove al centro vi era una piccola
piazzetta formata da due emicicli divisi dal sentiero centrale. Ai bordi della
piccola piazza vi erano delle panchine in ferro alle cui spalle alti e folti alberi creavano una piacevole ed ombreggiata zona di
sosta. Ci sedemmo quasi senza parlare. Sistemammo i libri e ci sedemmo, fianco
a fianco, su una panchina. Scartammo lentamente il pacchetto contenente la
colazione e iniziammo, in religioso silenzio, a consumarla quasi assorti in
chissà quali pensieri. L’atmosfera era quasi irreale. Nel piccolo spiazzo
eravamo soli ed il turbamento di entrambi era cosi evidente che si toccava con
mano. Al termine della frugale colazione andammo alla vicina fontanella a
lavarci le mani e bere un po’ d’acqua, poi, lentamente, tornammo alla panchina
passeggiando fianco a fianco. I nostri corpi si sfioravano in continuazione e
le mani si trovavano cosi vicine che sembravano quasi cercarsi, ma nessuno dei
due osava ancora azzardare un contatto, anche se da entrambi desiderato. Ci
sedemmo di nuovo riprendendo il posto occupato in precedenza. Lei aveva messo
in borsa un settimanale e, apertala, lo mise sulle ginocchia e iniziò a sfogliarlo;
io ne approfittai per avvicinarmi ancora di più cosi da poter leggere insieme a Lei. I nostri visi,
apparentemente interessati dal giornale, erano cosi vicini che quasi si
toccavano: ne sentivamo entrambi il calore. Nell’apparente interesse alle
lettura ci osservavamo entrambi con la coda dell’occhio mentre i nostri respiri
aumentavano di intensità. Poche le frasi che scambiammo, riferite ai fatti
evidenziati dal giornale; lo sfogliavamo lentamente e nel voltare le pagine,
diverse volte, le nostre mani si toccarono delicatamente ma una forza
misteriosa bloccava il sicuro desiderio di stringerle insieme, di creare una
maggiore intimità. La magica atmosfera finì quando arrivò l’ora di andare a
lezione presso il vicino campo Tharros.
Non sono
mai stato un grande atleta ma quel giorno il Prof. Baroli mi richiamò
all’ordine più di una volta. Mentalmente ero assente, come colpito da un virus
influenzale che ti appanna la testa, provavo una sensazione assolutamente
nuova, mai provata prima. Bene o male terminai gli esercizi e, alla fine
dell’ora, mi rivestii in fretta e mi avviai all’uscita. Attesi Angela fuori dal
cancello del campo per riprendere insieme la via del rientro. Mancava ancora
parecchio tempo all’ora di partenza del pullman e anziché avviarci direttamente
verso Piazza Roma decidemmo di fare un giro più largo. Agli inizi della
primavera le giornate sono ancora abbastanza corte e dopo le 17,00 la giornata è
già parzialmente avvolta dal buio. Camminavamo lentamente, quasi assorti nei
nostri pensieri, nella zona del centro storico; imboccammo la via che porta al
monastero di S. Chiara. La penombra della sera ci avvolgeva come un caldo
mantello; in giro poca gente frettolosa, mentre le luci delle strade erano ancora
spente. Turbati, quasi assorti nei nostri pensieri, comminavamo vicinissimi:
sentivo il suo respiro, mentre il cuore mi batteva forte in gola. Quando le
nostre mani per l’ennesima volta si sfiorarono ebbi il coraggio di prendere la
sua nella mia, stringendola forte: Lei non la ritrasse, anzi ricambiò la
stretta. Senza dire nulla continuammo a camminare con le mani intrecciate. Le
nostre mani, quasi felici di stare insieme, si cercavano, si stringevano, si
carezzavano, quasi avessero atteso da molto tempo quel momento. Il turbamento che
ormai ci avvolgeva era palpabile: incapaci entrambi di parlare, quasi bloccati
da una forza misteriosa, con il cuore in gola che ci martellava, sospesi in un
mondo irreale. Le nostre mani si stringevano cosi forte, rinserrate l’una
nell’altra, come fossero diventate una cosa sola. Imboccammo il vicoletto
dietro la Chiesa ed io, dopo aver deglutito con forza, presi tutto il coraggio che mi era rimasto e mi fermai abbracciandola stretta; la avvolgevo
con forza nel mio abbraccio, senza profferire parola. Lei non solo non si
ritrasse ma, quasi spossata, si abbandonò appoggiando la testa sulla mia
spalla. Incapaci entrambi di parlare restammo abbracciati a lungo, quasi che i
nostri corpi avessero da tempo desiderato quel contatto, con i nostri volti
roventi a contatto l’uno dell’altra, in un’atmosfera magica, irreale, fuori dal
tempo. Solo i nostri occhi, che ogni tanto si incrociavano, parlavano e si
dicevano tutto. Non ci eravamo ancora baciati, quasi che avessimo paura di
farlo; ci baciammo solo quando la tensione si era un po’ allentata: le nostre
labbra si toccarono delicatamente, quasi solo sfiorandosi, e poi un nuovo lunghissimo
abbraccio. In questa atmosfera irreale il tempo non esisteva. Forse in certi
momenti assume una dimensione particolare, tutta sua: senza rendercene conto il
tempo era volato via e, con disperazione, ci accorgemmo che ormai il pullman
che doveva riportarci a casa era già partito. Fummo presi entrambi da un panico
angosciante pensando alle conseguenze.
Le
conseguenze ci furono, eccome, ed anche abbastanza tragiche! Esse ruppero per
sempre un incantesimo appena iniziato che, forse, avrebbe fatto prendere alla
mia vita ed alla sua un altro percorso. Prendemmo con angoscia il pullman
successivo e arrivammo a casa con ore di ritardo. Sia a casa mia che a casa sua
si vivevano momenti di grande agitazione. I mezzi di comunicazione, allora,
erano scarsi e non era facile avvisare di un disguido o di un ritardo. Io arrivato
a casa riuscii a giustificarmi in modo abbastanza plausibile ma Lei no.
Arrivata a casa fu sottoposta ad un lungo interrogatorio e dopo un martellante
“terzo grado” da parte del padre disse la verità, raccontando della serata
trascorsa insieme. Non finì li. L’indomani pomeriggio il padre, ancora furente,
venne a Bauladu per fare ai miei genitori una filippica nei miei confronti.
Minacciò che qualsiasi cosa fosse successa alla figlia la responsabilità
sarebbe stata la mia. I miei restarono molto turbati, anche se io li rassicurai
sulla mia onestà.
Dall'indomani nei miei confronti la sua famiglia mise in atto un “fuoco di sbarramento” a tutto
campo perché non la rivedessi più. Il controllo della sorella divenne più
pressante e costante, esteso anche al giorno del rientro pomeridiano. Per
giorni si incontrarono furtivamente solo i nostri sguardi: la sorella più
grande, guardiano severo, limitava totalmente i suoi movimenti evitandole
qualsiasi contatto con me. Furono giorni terribili ma in quei tempi ribellarsi era
impossibile, come cercare soluzioni diverse. Lentamente ma inesorabilmente i
giorni passavano e col passare del tempo anche gli ardori più forti sono
destinati ad affievolirsi. Anche se di malavoglia, mi tuffai nello studio e, alla fine dell’anno scolastico fui promosso
con profitto. Angela, però, non era scomparsa dalla mia mente perché, anche se
ad intermittenza, continuava a martellarmi dentro con forza, creandomi un gran
vuoto dentro e rattristandomi fino alle lacrime. Arrivò finalmente l’estate e
l’assenza dell’impegno scolastico, la compagnia degli amici, la voglia estiva
di mare e di sole, mitigarono il mio dolore e, lentamente, fecero sbiadire il
suo ricordo dalla mia mente. A settembre al rientro a scuola, come per incanto,
vederla non mi fece venire quel gran tuffo al cuore che in precedenza avevo ben
conosciuto. Anche Lei, credo, aveva metabolizzato ed assorbito quell’indimenticabile
momento magico, archiviandolo tra i “ricordi” del passato. A 15 o 16 anni è
facile dimenticare ed imboccare altre vie, altri sentieri, prendere nuove
direzioni. Così fu.
La mia
vita e la sua presero strade diverse che mai più si incrociarono. Per molti
anni non seppi più nulla di Lei. Quando capitò di incontrarci di nuovo di anni
ne erano passati tanti: eravamo entrambi sposati e con responsabilità di
famiglia e di lavoro, che poco spazio lasciavano ai ricordi. Ne io ne Lei,
però, avevamo dimenticato quel momento magico che, anche solo per un attimo,
aveva illuminato la nostra vita come un fulmine a ciel sereno. Il cuore, cari
amici, può accantonare, spesso a malincuore, ma mai dimenticare. Quando i
nostri occhi si incontrarono per salutarci un bagliore improvviso, come di
fuoco, un bagliore che io ben conoscevo, ci illuminò e ci scosse, anche se per
un solo istante. Un istante nel quale si può ripercorrere una vita intera,
vissuta o sognata.
Mario
2 commenti:
Grazie!!!!!!!!
Daniela
Grazie, ho letto con piacere.
Pino
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