Oristano, 14 Gennaio 2013
Cari
amici,
la
riflessione di oggi riguarda il “Dono”, quell’antico rito comunitario messo in atto dalla
specie umana, effettuato da un individuo nei confronti di un altro, con
l’offerta spontanea e volontaria di un dono senza richiesta di contropartita.
L’antica consuetudine di relazionarsi con i propri simili attraverso il “Dono”
nasce in epoca lontanissima e si è sviluppato con lo scopo di creare, mantenere o
ricreare forti legami sociali all’interno delle Comunità. L’offerta libera,
senza contropartita, del dono è slegata dal “valore” economico del dono stesso. Capire il
reale significato dell’offrire, del donare, è comprendere appieno “che cosa” incorpora
in se il dono offerto: non solo la materialità, il valore della cosa ma quel di
più che in essa è stato inserito: quella pacifica e spontanea «offerta di relazione
amichevole», così come ben evidenziata dal celebre saggio sul dono di Marcel
Mauss (1923-24).
In
questo libro-analisi Marcel Mauss ha illustrato in modo chiaro il
rituale del dono, mezzo particolarmente adatto al consolidamento dei legami
sociali nelle Comunità. Legami che, attraverso il dono, si cementano, si
moltiplicano, creando un circuito di ripetuti scambi. All’azione del donare
seguono, infatti, come in un movimento di azione – reazione, i successivi gesti
del ricevere e ricambiare, in un triplice
scambio di dare, ricevere e ricambiare – le tre fasi in cui si articola e si moltiplica l’atto dell'offerta. Questo
sistema costituiva, nelle società arcaiche, il modo più semplice per la
stabilizzazione delle relazioni, considerate
prevalenti e ‘privilegiate’ rispetto alle esigenze di natura prettamente
economica. Il dono quindi elemento vitale di un sistema di reciproche
prestazioni, allo stesso tempo libere e costrittive, nel senso che il dono
spontaneamente concesso obbligherebbe il donatario a ricambiare attraverso un
contro dono, dando luogo ad un continuo andirivieni di doni offerti e di doni
compensativi. È l'alternanza di questi passaggi che origina lo scambio; uno
scambio che non si limita al rapporto tra i singoli individui ma si estende ad
una relazione più vasta che interessa l'intera comunità. Lo scambio, dunque,
inteso non in semplice senso economico ma come un circuito ben più complesso,
capace di associare la socialità all’economia ed al mercato. Dalle
società arcaiche a quelle successive, fino ad arrivare a quella attuale, ormai
globalizzata, il passo non è stato certo breve e la “filosofia del donare” è
stata abbondantemente superata e stravolta dalla arida filosofia economica,
dove l’individualismo e l’egoismo hanno sostituito la comune logica iniziale
della vita comunitaria, dove ognuno
offriva spontaneamente, senza obbligo di contropartita. Secondo Alain Caillè, che
ha studiato a lungo ed in modo esaustivo i comportamenti degli individui nella
Società, a dominare le relazioni sociali ed economiche sono i diversi
comportamenti sociali messi in atto, i ‘modi di agire’ tempo per tempo, e che
vengono distinti in tre filoni diversi, denominati “Paradigmi” e che si possono così riassumere:
1. Il Primo Paradigma, definito di
“individualismo metodologico”, mette in luce un agire secondo cui l’insieme dei
fenomeni sociali è vissuto dai singoli individui con comportamenti tesi alla
salvaguardia dei loro interessi materiali. Primo paradigma, quindi, che
focalizza l’immagine dell’homo
oeconomicus. L’uomo, individualista, mosso dal solo tornaconto personale,
alla ricerca del massimo profitto da raggiungere secondo una logica di
costi-benefici, che non tiene conto della logica del “bene comune”. Il dono, secondo tale approccio individualistico, è considerato “dono
per interesse”, per creare una contropartita, non con lo scopo di ottenere una migliore
socialità. E’ il calcolo del vantaggio, quindi, che spinge gli individui a
“donare”. Se il dono è una forma di
scambio, dietro a questo si cela sempre e comunque un interesse economico. Individualismo
che prevale e che trova ampi spazi, dal liberismo in economia al
contrattualismo in ambito giuridico. Da qui
alle scelte ed alle opzioni di tipo politico il passo è breve. I comportamenti
che appartengono al primo paradigma sono quelli che hanno creato i presupposti
del liberalismo e delle politiche ad esso connesse, secondo cui la comunità politica
non trova altra ragion d’essere se non la difesa degli interessi individuali,
dalla cui interazione scaturirà quasi per incanto – attraverso la famosa “mano
invisibile” - il benessere di tutti i componenti la Comunità.
2. Il Secondo Paradigma. Se il primo paradigma
sembra evidenziare la prevalenza dell’interesse individuale, da cui discende
poi il benessere di tutti, il “secondo paradigma” rovescia totalmente il
concetto. E’ questo il paradigma “olistico”, secondo cui, in base ad una logica
per molti versi opposta e speculare alla prima, è il “tutto”, ovvero la
Comunità nel suo insieme, a precedere il valore dei singoli individui, le “parti”
che la compongono. Il secondo paradigma rovescia quindi i valori portati dal
primo: non viene prima l’individuo e da questo discende il valore della Società
di appartenenza ma, al contrario, è la Società a dare corpo e valore
all’individuo. Se il primo paradigma svuota
il valore del “tutto”, essendo questo solo la somma, per così dire, degli
interessi individuali, il secondo finisce per svalorizzare gli individui
medesimi, dato che essi risultano essere, in fin dei conti, solo “elementi” che
diventano “valore” solo nell’insieme. Nel secondo paradigma la reale e concreta
importanza del dono finisce per svanire: esso perde quei caratteri di libertà e
spontaneità che lo connotano, finendo per essere ricompreso nell’ambito degli “atti
rituali e consuetudinari” a cui tutte le azioni individuali sono ridotte,
stando alla logica olistica prevalente.
3. Il Terzo Paradigma. Superando i limiti e l’unilateralismo dei primi due il “terzo
paradigma” rivaluta in modo coerente la funzione logica del “dono”, riconoscendogli
quel “valore aggiunto” che incorpora. Il reciproco obbligo di dare, ricevere e
ricambiare stringe gli individui in un legame stabile e vincolante che esula
dagli interessi e dall’utilità immediata. Il dono è considerato come l’espressione
della libera azione di ciascun soggetto, e non come una consuetudine preesistente
che va a determinare, a priori, i comportamenti messi in atto. Se il paradigma
individualistico e quello olistico cercano di spiegare entrambi il fatto
sociale ponendosi su di un piano verticale (l’uno operando dal basso verso
l’alto, ovvero dagli individui al tutto, l’altro dall’alto verso il basso,
ovvero dal tutto agli individui), il paradigma del dono si colloca su di un
piano orizzontale, vedendo la società quale espressione della continua ed
incessante interrelazione di una pluralità di soggetti e delle interconnessioni
relative. Da una parte viene superato l’individualismo, legandosi i soggetti
gli uni agli altri attraverso gli obblighi che la pratica del dono impone loro,
dall’altra il formalismo e la costrizione insiti nel paradigma olistico, a
partire da quell’atto di libera determinazione dal quale la logica del dono
viene innescata.
Il terzo
paradigma è quello che riporta il dono alla sua originaria funzione. Il bene
scambiato si spoglia dei suoi connotati “materiali” per assumere quelli
“simbolici”, quelli di un medium per consolidare il legame sociale. Il dono
instaura quindi un vincolo personale, e solo subordinatamente una relazione
economica, a differenza di ciò che avviene nella società moderna, dove sono i
rapporti economici a prevalere. In questa arida società moderna il valore delle cose è distaccato dai
soggetti a cui appartengono. E’ questa una società che privilegia l’apparire
sull’essere. Quando andiamo a fare la spesa al supermercato compriamo con gli
occhi prima ancora che con il buon senso. Il valore delle persone è misurato
non sul valore umano, morale, ma sempre
di più sulle cose che possiede. L’individuo
vale non per quello che è ma per quello che ha! Non può che essere così, da quando questa
nostra società ha messo davanti a tutto
il denaro, l’economia, da quando non è più l’economia al servizio
dell’umanità ma l’umanità, e l’ambiente,
al servizio dell’economia. Un’economia fine a se stessa che per tenere fede al
principio della “crescita infinita”, è diventata un cancro per l’ambiente e una
patologia per la società. Oggi l’uomo è sola tra la “folla solitaria”, in un
deserto sempre più arido.
E’ tempo
che l’uomo torni ad una vita sociale e comunitaria più vivibile. Tornare alla
realtà del semplice vivere quotidiano in Comunità significa “ripartire” dalla
ricostituzione dei legami sociali, disgregati dall’individualismo e dall’egoismo,
dal recupero dei valori morali, frustrati e frantumati. Dobbiamo curare senza
perdere tempo questa arida società che ha perduto la socialità. Possiamo
sperare di far guarire questo malato grave? Possiamo sperare di far uscire le
persone dal gelo dell’egoismo calcolatore, dall’individualismo esasperato, per
ripristinare relazioni sociali dove l’altruismo possa ancora avere un suo ruolo
attivo? Credo che l’unica medicina per tutto ciò sia il riappropriarsi dell’antica
e mai dimenticata pratica del dono. Il donare
non è un fenomeno obsoleto, limitato alle comunità antiche basate sul rispetto e sul valore della
reciprocità, ma al contrario esso è ancora il veicolo privilegiato per la
creazione ed il mantenimento di qualsiasi legame sociale e affettivo. Il dono
insomma come quel veicolo che realizza ed esprime una delle qualità umane più importanti: la capacità di
associarsi, di fare “comunità”. Dai legami affettivi più stretti e affiatati,
alle alleanze tra gruppi numerosi ed eterogenei, dal nucleo familiare alla
politica di un paese, ogni relazione sociale si sviluppa, si mantiene o
s’interrompe secondo una catena infinita di scambi materiali o immateriali
immersi nello spirito del dono.
Cari
amici, la capacità dell’uomo di relazionarsi agli altri “donando” è vero che si
è notevolmente assopita ma non è morta. Nell’uomo moderno è senz’altro evidente,
prevalente e dominante la forza
dell’homo economicus, ma esso non potrà mai far scomparire l’homo
donator, perché in ogni essere umano esso è presente e pronto a riapparire. Se
la società moderna spinge, o costringe,
le persone a vivere in sé stesse, nel gelo dell’egoismo calcolatore, ciò non
significa che così debba essere in ogni caso per sempre. Questa non è solo una
mia convinzione, tutt’altro! Tale convinzione è ben più diffusa: basta
osservare le innumerevoli persone impegnate volontariamente in numerose associazioni
umanitarie e di volontariato, che offrono spontaneamente la loro opera e la loro
professionalità senza nulla chiedere in cambio. La scintilla del cambiamento
arriverà e colpirà la nostra società arida ed egoista; il cambiamento ci sarà
proprio partendo dal ripristino del valore del dono, dal donare senza
contropartita. Tutti possiamo farlo. Donare
sé stessi, il proprio tempo ed il proprio talento; senza nulla chiedere e
senza esclusioni, verso tutti, verso chi non se lo aspetta. Donare è un
meccanismo contagioso: dal primo che inizia con coraggio, che mette la ruota in
movimento, nasce una catena di speranza, fatta dai tanti che vogliono dare,
donarsi, ricreando in entrambi una duplice gioia: quella di chi dona e quella
di chi riceve. Solo rivalutando il dono l’uomo potrà riappropriarsi di se
stesso come essere sociale. Solo così l’economia sarà al servizio dell’uomo e
non l’uomo al suo servizio.
Grazie
della Vostra sempre gradita attenzione.
Mario
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