Oristano 9 Gennaio 2013
L’argomento di oggi, cari amici,
non è un argomento allegro perché la riflessione che voglio fare con Voi è
sulla morte, il passaggio da questa all’altra vita. Un riflettere sulla fine
del nostro corpo mortale, quella scatola fatta di materia, che ci accompagna
fin dalla nascita e all’interno della quale alberga il nostro spirito. Non è un
argomento facile, difficile da affrontare anche tra amici, ma che comunque resta
un problema che ci angoscia, ci tiene compagnia sempre, fino alla fine della nostra
vita terrena. Personalmente debbo confessarvi che sono stato sfiorato dal
gelido alito della morte almeno in due occasioni: quando avevo 14 anni, durante
una gita al mare, e quando di anni ne avevo 46 e, rientrando a casa in auto, ebbi
un terribile incidente stradale. Trovarsi, in modo cosciente, di fronte alla fine
della propria esistenza è una sensazione molto particolare.
Cosa succede alla persona che si
trova improvvisamente di fronte il baratro della fine? Negli istanti che precedono
la fine della nostra vita terrena, le reazioni che abbiamo sono, davvero, del
tutto particolari. Trovarsi lucidi, coscienti, in punto di morte scatena
nell’individuo una serie di velocissime reazioni, tra cui una, forse la più
importante, è quella di rivedere in pochi istanti il percorso della propria
vita. Egli, come in un film, si rivede
in una ininterrotta serie di immagini, di azioni compiute, belle e meno belle,
nella gioia e nel dolore; si rivede “dall’esterno”, però, separato dal proprio corpo,
come “sdoppiato”: l’uno che osserva l’altro. Affermo questo non tanto per aver
letto libri o studiato testi appositi, ma per aver vissuto, “personalmente” questa sensazione. Vi ho
detto prima che la morte mi è passata accanto almeno due volte ma solo la prima
volta, quella dei miei 14 anni, mi è rimasta impressa indelebilmente nella
mente, tanto che il suo ricordo è ancora vivissimo dentro di me. Voglio raccontare
a Voi quei terribili momenti vissuti, quando ancora ragazzo stavo per lasciare,
stupidamente, questo mondo. Ecco il ricordo di quella terribile giornata al
mare che, iniziata in modo gioioso, stava per concludersi in modo tragico.
GIOCHI PERICOLOSI AL MARE.
Quand’ero ragazzo (parlo degli
anni ’60) al termine dell’anno scolastico, quando il caldo sole di Luglio
arroventa le stradine in terra battuta del paese e l’aria si fa torrida, la
voglia di bagnarsi, di fare un tuffo nelle fresche acque del mare era un
desiderio difficile da spegnere ma anche da realizzare. Anche se Bauladu non
era troppo distante da Torregrande i mezzi per raggiungere la località marina
erano scarsi e, tra l’altro, procurarsi i soldi per il biglietto creava
ulteriori limitazioni. Anche se con grande fatica, però, si riusciva a trovare
soluzione ed a fare “gruppo” per raggiungere con immensa gioia l’agognata
spiaggia di Torregrande. Raggiunta Oristano con il pullman della Frau bisognava
aspettare l’altro mezzo che dalla città portava gli appassionati del mare a
Torregrande. Il pullman si fermava proprio di fronte all’antica torre, davanti
alla quale nel grande arenile era stato costruito il lido. Nei mesi estivi questa
grande costruzione bianca, dotata di una lunga serie di cabine, di bar e
servizi, era meta dei molti oristanesi benestanti che prendevano in affitto le
strutture ricettive e potevano cosi godersi beatamente le agognate vacanze. I
comuni mortali invece, raggiunta la spiaggia, cercavano un angolino riparato
dove poter indossare il costume, lontano da occhi indiscreti, per poi tuffarsi
in acqua per un lungo bagno ristoratore.
Il nostro gruppetto di amici
appena sceso dal pullman si avviò verso la zona del porticciolo, lontano dalla
zona affollata, in modo da poter, in piena libertà, dare sfogo alla nostra esuberanza giocando a
pallone o rincorrendoci nella sabbia. Per poter meglio trascorrere le ore in
acqua ci eravamo portati una camera d’aria di camion che, gonfiata a turno dai
vari componenti del gruppo consentiva, usata come canotto, di stare a galla e
prendere a turno il sole in acqua. La giornata trascorreva in allegria e al mio
turno di usare la camera d’aria mi sistemai per benino sopra (il metodo
migliore era quello di sedersi al centro della camera d’aria tenendo le gambe e
la schiena appoggiate ai bordi e con il sedere in acqua) e facendo un po’ di
movimento con le mani mi allontanai di qualche metro e rimasi cosi a godermi il
sole, rinfrescato dall’acqua che si muoveva dolcemente. Gli amici del gruppo,
alcuni in spiaggia altri in acqua, continuavano a sbizzarrirsi con scherzi e
giochi. Ad un certo punto, accortisi che io sonnecchiavo beatamente adagiato
sull’improvvisato canotto, decisero di farmi uno scherzo: avvicinarsi a me senza
fare rumore e buttarmi in acqua rovesciando
la camera d’aria. Così fecero. Io un po’ intontito dal sole non mi accorsi
della loro manovra e non li sentii arrivare. Mi circondarono e, in un attimo,
sollevarono me e la gomma su cui ero adagiato e mi scaraventarono in acqua.
L’improvvisa azione da loro messa in atto mi colse di sorpresa; annebbiato dal caldo e dal sole cocente non fui
in grado di reagire prontamente e, senza aver prima preso fiato, andai
rapidamente a fondo.
La spiaggia di Torregrande, pur
completamente sabbiosa e priva di sassi e scogli, non degrada dolcemente verso
l’acqua ma, già dopo pochi passi, si inclina improvvisamente togliendoti
l’appoggio e costringendoti a nuotare. A pochi metri dal bagnasciuga l’acqua
raggiunge già la profondità di due o tre metri. Scaraventato in acqua cosi
all’improvviso mi trovai sott’acqua senza fiato. Ancora annebbiato mi muovevo
disordinatamente senza riuscire ad intravedere la superficie dell’acqua. in pochi istanti consumai il pochissimo
ossigeno che avevo in corpo e il bisogno di respirare si fece pressante, drammatico.
Una paura terribile si impadronì di me paralizzandomi. Anziché puntare in
superficie e con poche bracciate risalire e mettere la testa fuori dall’acqua
per respirare, lo spavento mi teneva bloccato e, trattenendo a stento la voglia
di respirare, chiusi gli occhi. Il terrore si era ormai impadronito di me.
Pensai di morire: la mia resistenza era ormai al termine ed il folle desiderio
di inspirare aria era ormai incontrollabile.
In un attimo sembrò che il tempo
si fosse fermato: qualcosa aveva fatto scomparire la paura. Stranamente rividi,
come in un film che mi scorreva davanti, la mia breve vita di quattordicenne.
Le immagini si muovevano con grande velocità . Mi rividi a casa, a scuola, con
gli amici. Mi rividi felice mentre scorrazzavo per strada pieno della mia
esuberanza e della mia voglia di vivere. La cosa più strana era che vedevo il
film della mia vita da “estraneo”, da spettatore. Non ero agitato ma sereno,
rilassato; non so come, ma la mia ansia, la mia paura di morire erano scomparse.
Vedevo me stesso come fossi un’altra persona, come se osservassi, dall’alto, un
altro Mario. Come risvegliandomi da un sonno mi accorsi ad un certo punto che
avevo esaurito la resistenza, che i miei polmoni non potevano più stare fermi,
e inspirai profondamente facendo entrare una grande quantità d’acqua. Mi
lasciai andare ed il mio corpo si adagiò sul fondale sabbioso, come su un
letto. Avevo perso i sensi ma io non me ne ero reso conto. Vedevo dall’alto il
mio corpo disteso e subito dopo mi accorsi di una luce che velocemente si
avvicinava. Non era la luce del sole che penetrava in profondità nell’acqua ma
una luce diversa. Una luce di una intensità strana: forte e calda, non
fastidiosa come quella del sole quando lo guardi, ma morbida, dolce, riposante.
La luce mi illuminò e sembrò avvolgermi
come in un abbraccio. Mi sembrò anche di sentire anche una dolce musica in
lontananza. Poi tutto finì e tornò il buio. Ripresi conoscenza poco dopo: ero
in spiaggia circondato dagli amici preoccupati che cercavano di rianimarmi.
Quando riaprii gli occhi
respiravo con molta fatica. Il mio respiro era cortissimo. Mi dolevano tanto i
polmoni come oppressi di un peso immane. Quelli che mi stavano intorno mi battevano sulla schiena e premevano sul
petto nel tentativo di farmi espellere l’acqua che avevo ancora nei polmoni.
Piano piano, espellendo l’acqua con piccoli rigurgiti mi ripresi quasi del tutto, riprendendo a
respirare con regolarità, anche se il dolore al petto ed un forte bruciore alla
trachea ed alla gola continuavano a farmi compagnia. I miei compagni mi
raccontarono che mi avevano portato fuori dall’acqua svenuto e che,
terrorizzati, pensavano fossi addirittura morto. Erano
afflitti e certamente si rendevano conto dello scherzo di cattivo gusto che mi
avevano giocato. All’ora del rientro mi aiutarono a rivestirmi e, senza gioia,
rientrammo a casa senza commentare ulteriormente l’accaduto. In pochi giorni mi
ripresi del tutto ma lo spavento per l’accaduto mi aveva segnato: non solo non
tornai più al mare per quell’estate ma per alcuni anni non misi più piede in
nessuna spiaggia. Non solo. Quando ritornai al mare il terrore dell’acqua mi
impediva di muovermi liberamente in questo elemento. Non riuscivo ad entrare in
acqua e abbandonarmi, nuotando liberamente come prima. Anche oggi cari amici
entro in acqua solo “camminando lentamente” sul fondale. Non oltrepasso mai il
limite di altezza delle mie spalle e quando l’acqua arriva al mio collo, torno
indietro, sempre camminando cautamente sul fondo. Credo che niente e nessuno
potrà, mai, farmi dimenticare quella terribile giornata.
Trovarsi di fronte al “capolinea”
della propria esistenza, vivere coscientemente il momento del “passaggio”,
dalla vita che conduciamo su questa terra a quella successiva, è un fatto che ci
segna in modo indelebile. Il misterioso fenomeno del “Tunnel di Luce”, quel misterioso ponte che collega la nostra vita
terrena a quella futura, quella del nostro spirito, è presente nella gran parte
dei soggetti che coscientemente hanno vissuto le fasi che precedono la fine
della vita. Il fenomeno denominato Near-Death Experiences (NDE) oppure Stato di
Pre-Morte (SPM) o Esperienze di Pre-Morte (EPM), solitamente si verifica nei
soggetti che dopo aver avuto un trauma fisico che avrebbe dovuto portarli alla
morte sono, invece, sopravvissuti. Il Tunnel, dunque, fase di passaggio che
‘lega’ l’abbandono del corpo da parte dello spirito ed il suo librarsi, libero,
sopra le cose terrene prima vissute. Questa esperienza straordinaria
solitamente è vissuta dall’individuo senza ansia, senza angoscia, e subentra
subito dopo che il suo spirito ha lasciato il corpo. La persona si trova di
fronte ad un tunnel, oppure davanti ad un portale e si sente spinta verso le
tenebre. Dopo avere attraversato questo spazio buio, entra in una luce
splendente. Alcune persone invece di entrare nel tunnel dicono d’essere salite
lungo una scalinata. Altri hanno affermato d’avere visto delle bellissime porte
dorate che indicano il passaggio in un altro regno. Alcuni soggetti hanno
dichiarato che, nell’entrare nel tunnel, hanno sentito un sibilo o una specie
di vibrazione elettrica oppure un ronzio. L’esperienza del tunnel non è una
particolare scoperta degli attuali studiosi e ricercatori. Già nel quindicesimo
secolo, Hieronymus Bosch nel dipinto che ha per titolo “Visioni dell’aldilà: Il
paradiso terrestre – L’Ascesa all’Empireo”, descrive quello che solitamente
racconta chi ha vissuto una NDE. Questo quadro, che si può ammirare nel Palazzo
Ducale di Venezia, rappresenta il misterioso e definitivo passaggio dalla vita
alla morte; un buio tunnel che conduce a una sfolgorante luce, resa ancor più
vivida dallo sfondo nero, verso il quale si avviano esili creature ancora in
possesso del proprio involucro corporale accompagnate e sorrette dai propri angeli
custodi.
Secondo alcune ricerche
sviluppatesi negli ultimi vent’anni, le visioni di coloro che avvicinatisi alle
frontiere della morte sono ” ritornati alla vita” rassomigliano in modo
impressionante al dipinto di Bosch. Tra i primi a raccoglierle in modo
sistematico e a pubblicare un libro intitolato ” Life after life”, libro tradotto in tutto il mondo, è stato un
medico americano Raymond Moody. L’interesse di Moody sull’argomento nacque
quando, ancora studente, un suo insegnante George Ricthie gli raccontò
l’incredibile ” avventura” capitatagli alcuni
anni addietro. Considerato clinicamente morto Richtie aveva avuto la
sensazione di separarsi dal proprio corpo, di avviarsi nel famoso tunnel in
fondo al quale brillava una luce che si era rivelata essere un‘ entità.
L’entità gli aveva trasmesso un enorme beatitudine, gli aveva tuttavia
comunicato che, non essendo la sua ora ancora venuta, sarebbe ritornato sulla
terra e avrebbe ripreso a vivere. E così infatti avvenne.
Cari amici, chi, come me, è credente in Dio è certo che la fine del nostro
corpo è solo un ‘passaggio’ dalla vita terrena alla vita senza fine della
nostra anima, che, se meritevole, troverà gioia e pace eterna insieme a Dio, puro
Spirito, vera Entità luminosa che guida anche il nostro cammino terreno. Sono
stato sfiorato dalla morte ma, certamente, la mia ora non era, e non è, ancora giunta: il mio cammino, il mio compito
su questa terra, credo sia ancora pieno di impegni, che mi auguro di portare
tutti a termine. Io ne sono pienamente convinto e ringrazio il Signore per la
Sua bontà. Cercherò di fare la mia parte sempre, finché Lui vorrà.
Grazie cari amici della Vostra
simpatica ed affettuosa attenzione.
Mario
1 commento:
Dopo la morte c è qualcosa di incredibile e meraviglioso allo stesso tempo che nessuna scienza umana è assolutamente in grado di immaginare.
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