Oristano, 15 Gennaio 2013
Cari amici,
nella mia precedente riflessione su questo blog ho affrontato il tema delle
relazioni sociali e del valore del “DONO” ad esse associate. La millenaria
cultura del Popolo Sardo, maturata nel tempo e ben evidenziata in quel compendio
di norme che prende il nome di “Codice Barbaricino”, attribuisce un alto valore
allo scambio di “doni” tra i componenti la Comunità di appartenenza, oltre che
nelle relazioni esterne. Il dono, quindi, anche nella civiltà sarda, elemento
vitale di un sistema capace di costruire, ricostruire o rinsaldare quella vasta
rete di amicizie, necessarie alla pacifica convivenza nella Comunità. Costante
scambio di doni che, a prescindere dal valore venale, incorporano un forte
valore aggiunto: «un’offerta di relazione amichevole», capace di rinsaldare la
relazione sociale sottostante. Offerta, quella del dono, che innesca un
meccanismo complesso, dove, all’iniziale e libera prestazione del donante,
segue la risposta: il ricambio del dono ricevuto. Atto del donare quindi che da
libero e volontario si trasforma in atto “moralmente costrittivo”, nel senso che
il dono spontaneamente concesso obbliga il donatario a ricambiare attraverso un
contro dono, dando luogo ad un continuo andirivieni di doni offerti e di doni
ricambiati. Dare, Ricevere
e Ricambiare, le tre fasi in cui si articola e si moltiplica l’atto
dell'offerta omaggiante, costituiva, nelle società arcaiche, il modo più
semplice per la stabilizzazione delle relazioni sociali, considerate prevalenti
e ‘privilegiate’, rispetto alle pur importanti esigenze di natura economica.
Il dono quindi elemento vitale di “libera e pacifica” convivenza nella
Comunità.
Personalmente ho avuto modo, riprendendo gli studi all’università “in età
matura”, dopo aver terminato la mia vita lavorativa, di migliorare in modo
significativo la mia precedente modesta conoscenza della cultura del Popolo
Sardo. E’ stato un interessante percorso scolastico “senile”, effettuato presso
l’Università degli Studi di Sassari, facoltà di Scienze Politiche, durato ben
otto anni, e che mi ha consentito di aggiungere non pochi preziosi tasselli al
puzzle della mia conoscenza. Dopo aver conseguito una laurea triennale in
Scienze della Comunicazione ed una successiva “specialistica” in Editoria,
Comunicazione Multimediale e Giornalismo, ho voluto completare il percorso con
una terza laurea “magistrale” in “Politiche pubbliche e Governance”, effettuando
una tesi di ricerca proprio sull’importanza del Codice Barbaricino, ancora oggi
strumento ”vivo”, capace di agevolare la nostra ricerca di miglioramento della
giustizia, attraverso la rivalutazione dello strumento della “mediazione”, che
la nostra cultura millenaria utilizzava ed ancora utilizza per la pacificazione
sociale ed il ripristino delle relazioni amichevoli
interrotte.
L’idea di affrontare un argomento cosi complesso con una tesi universitaria
di ricerca derivò da due profonde ragioni. La prima fu che durante la mia vita
lavorativa ebbi occasione di conoscere, soggiornando per tre anni a Fonni, la
realtà e la diversità della cultura barbaricina, rispetto a quella del resto
dell’Isola. La seconda scaturì dal pressante invito rivoltomi dalla mia docente
di Psicologia Giuridica, la prof. Patrizia Patrizi, che, sapendomi appassionato
della cultura sarda, in particolare di quella giuridica, mi propose di
cimentarmi in un’analisi del Codice Barbaricino e delle sue possibili implicanze
con l’odierno orientamento della giustizia, indirizzata verso la rivalutazione
della mediazione, come mezzo per dirimere le controversie. L’analisi da me fatta
è riuscita certamente a dimostrare che le relazioni sociali tra gli individui
di una Comunità crescono notevolmente attraverso il meccanismo del costante e
ripetuto scambio reciproco di doni, sia materiali che immateriali, migliorando
l’armonia e la pace sociale. La pacifica convivenza all’interno della Comunità
era ed è agevolata dai “Prob’homines”, i saggi uomini di valore della Comunità
che, proprio come “Uomini Probi”, cercano, con la mediazione e la proposta di
riparazione, di “ricucire” le controversie tra i suoi appartenenti. Nella
cultura barbaricina non esiste “visita di cortesia” che non sia accompagnata da
un dono, anche simbolico, anche di scarso valore, ma che, qualunque esso sia,
incorpora «quell’offerta di relazione amichevole», che prescinde dal valore
intrinseco del dono.
E’ una cultura, quella barbaricina, che potremo definire antica e moderna
insieme, perché a differenza di quella ritenuta più evoluta, avanzata e
globalizzata, ha mantenuto forti le antiche radici. L’ho potuto constatare,
toccare con mano, proprio durante i miei tre anni di soggiorno a Fonni. A questo
proposito vorrei raccontarvi un fatto, curioso ed allo stesso tempo inquietante,
che mi capitò in quel periodo. Opportunamente reso anonimo, per evitare precisi
riferimenti alle persone, ecco il ricordo di quel fatto che, credo, possa dare
una dimostrazione inequivocabile del “grande valore” ancora oggi attribuito al
“dono”, materiale o immateriale che sia, nella cultura millenaria della
Sardegna. Eccolo.
QUELLA MISTERIOSA E INASPETTATA OFFERTA.
Arrivato dal Campidano senza essere mai stato in Barbagia, ormai ero a Fonni
da oltre un anno. Il mio lavoro di manager bancario veniva apprezzato dalla
popolazione ed io, come persona, ero ritenuto serio ed affidabile. I dati
statistici dell’andamento della nuova dipendenza bancaria (che avevo aperto nel
Febbraio del 1979) erano positivi e godevo della stima della Direzione di
appartenenza che aveva sede a Nuoro. Nonostante i timori iniziali avevo superato
le prime difficoltà e il mio inserimento nel tessuto sociale barbaricino era da
considerarsi cosa fatta. Per evitare legami e mantenere la mia indipendenza mi
stabilii in albergo: non volevo legarmi, stando a pensione, a nessun gruppo
familiare (in Barbagia le famiglie allargate sono ancora una realtà e, spesso,
tra gruppi familiari rivali non corre troppo buon sangue); meglio stare
equidistante da tutti in modo da essere considerato un “super partes”, mi
avrebbe agevolato non poco il lavoro. Soggiornando in albergo ero avvantaggiato,
potevo ricevere tutti anche quando l’ufficio era chiuso. La sera, dopo cena,
non pochi erano gli incontro informali che, dietro una semplice richiesta di
informazioni, sorseggiando una bevanda calda al bar, mettevano le basi per un
successivo contatto in banca per definire una nuova operazione
bancaria.
La storia che sto per raccontarvi successe circa un anno dopo il mio arrivo.
Premetto che Fonni è un centro agro pastorale importante e che i litigi per
problemi di pascolo e di bestiame non sono mai mancati. Litigi che non poche
volte si sono tramutati anche in feroci scontri che causavano anche degli
omicidi. Nel periodo che accennavo rientrò a Fonni, dopo parecchi anni di
detenzione, un fonnese che aveva scontato una pena per omicidio. In questi casi
il reinserimento nella società agro-pastorale barbaricina avviene senza troppi
traumi; normalmente l’uomo di nuovo libero riprende la precedente attività di
allevatore. L’uomo in parola, ancora abbastanza giovane, si preparava a
riprendere la sua precedente attività e, possedendo anche dei terreni,
necessitava di capitale per ricostituirsi il gregge. Per farla breve necessitava
di un prestito bancario per l‘acquisto del bestiame, prestito che avrebbe
restituito con il suo lavoro in cinque anni. Le provvidenze creditizie per
queste necessità esistevano ed erano previste anche a tasso agevolato. Le
banche, come è noto, concedono i prestiti seguendo due parametri importanti: le
garanzie reali e quelle personali, legate alla serietà e moralità del
richiedente. L’uomo, che ben conosceva queste regole, era titubante a rivolgersi
alla Banca, ipotizzando (con ragione) che qualche difficoltà gli sarebbe
derivata dal suo passato. Per saggiare la possibilità di ottenere l’agevolazione
mandò in avanscoperta un amico che mi contattò riservatamente. In un lungo
colloquio mi espose tutta la situazione, evidenziandomi anche diversi risvolti
del passato, dove cercava di dimostrare che questa persona, pur colpevole, non
era persona inaffidabile ma coinvolta nei fatti suo malgrado. Risposi a questa
persona che avrei fatto tutto il mio possibile per soddisfare le sue necessità.
Con la maggiore riservatezza possibile contattai persone affidabili, da
sempre clienti della mia banca, che mi confermarono che, stante anche la
discreta proprietà terriera, il rischio era accoglibile. Pochi giorni dopo
confermai all’emissario che la persona poteva venire in banca e inoltrare la
domanda di prestito. Aspettai qualche giorno e, finalmente, l’uomo venne a
trovarmi in ufficio. Lo ricevetti in direzione, riservatamente. Era un po’
imbarazzato, titubante, e cercai di metterlo a suo agio con cortesia,
incoraggiandolo a espormi le sue necessità. All’inizio non fu facile ma,
lentamente, l’uomo trovò sicurezza e riuscì ad espormi in che modo intendeva
realizzare il suo progetto per cui necessitava del prestito. Sul suo passato fu
abbastanza parco di informazioni. Mi disse solo che certamente io sapevo già
molto di lui e che nella vita, purtroppo, a tutti può succedere di sbagliare.
Raccolsi la domanda, gli diedi l’elenco dei documenti che doveva presentare e lo
accomiatai.
Confortato, oltre che dal patrimonio anche dalle informazioni positive,
decisi di istruire favorevolmente la richiesta ed in tempi brevi la deliberai,
riuscendo a mettergli velocemente il denaro a disposizione. Il giorno
dell’erogazione si trattenne poco, firmò tutto il necessario, e ringraziandomi
con una forte stretta di mano, guardandomi negli occhi, mi disse: Grazie, senza
aggiungere altro. Restai molto colpito sia dalla stretta di mano,
particolarmente forte, che dallo sguardo deciso, diretto sui miei occhi, che
sembrava volermi dire qualcos’altro. Fu solo un attimo, però, e presto,
assorbito dal lavoro, dimenticai il particolare. Era passato forse più di un
mese quando una mattina venne a trovarmi in ufficio. Salutandolo lo pregai di
accomodarsi in direzione ma declinò; mi disse che voleva offrimi un caffè e
accettai. Uscimmo e passeggiando verso il bar mi disse che aveva già acquistato
il bestiame e che con grande passione aveva ripreso a “vivere” la vita di
campagna che aveva fatto in precedenza. Parlava lentamente, come lentamente
camminava. Chissà perché mi dava l’impressione che volesse dirmi qualcos’altro e
che cercasse di trovare le parole giuste per dirmelo. Prendemmo il caffè e poi
tornammo in strada avviandoci nuovamente verso la banca senza parlare. Ad un
certo punto si fermò (in quel momento per strada non c’era nessuno), mi mise la
mano sul braccio e guardandomi dritto negli occhi mi disse, con forza e
determinazione, che Lui era debitore nei miei confronti. Aggiunse che io avevo
creduto in Lui dandogli fiducia, “nonostante tutto”, e che “certi favori non si
dimenticano”. Non ricordo esattamente tutte le parole che mi disse ma alla fine
stringendomi fortemente il braccio mi disse: “potrà passare anche molto tempo ma
io sono e resto suo debitore e sarò sempre pronto a pagare il mio debito nei
suoi confronti”. Cercai di schermirmi dicendogli che io avevo fatto solo il mio
dovere, che nulla mi doveva, ma sembrava quasi ignorare quello che dicevo io. Di
fronte all’ufficio mi salutò stringendomi la mano e dicendomi “grazie, mi cerchi
quando vuole se ha bisogno, io per lei ci sono”.
Pur un po’ adombrato, rientrato in ufficio ripresi il mio lavoro e presto
dimenticai le sue pesanti parole, forse perché, “da non barbaricino” non ne
avevo appieno compreso il loro reale contenuto. Il tempo passava e io, ormai
stanco della lontananza da casa, speravo in un avvicinamento che non
tardò ad arrivare. A fine estate del 1982 rientrai ad Oristano lasciando
definitivamente la sede barbaricina, tornando in quel “campidano” che avevo
lasciato malvolentieri tre anni prima. Capitò, qualche mese dopo il mio rientro,
che partecipando ad una festicciola in campagna mi ritrovassi con degli amici
tra i quali anche diversi allevatori barbaricini. Sapevano del mio lungo
soggiorno a Fonni e, chiacchierando, mi chiesero come mi fossi trovato e cosi
via. Normalmente a fine pasto, la maggiore allegria scatenata da un bicchiere di
vino in più agevola la chiacchiera; io confermai di essermi trovato abbastanza
bene e, parlando del più e del meno, mi venne in mente il curioso fatto di
prima. Tralasciando ovviamente i riferimenti alle persone raccontai il fatto dei
particolari ringraziamenti ricevuti per il “prestito” concesso, confermando
tutta la mia meraviglia per un comportamento cosi particolare. Mentre raccontavo
della mia meraviglia per un comportamento così inusuale, uno di questi amici
barbaricini sorrideva sornione e mi guardava come si guarda uno a cui è stata
raccontata una barzelletta che non ha capito! Al termine della mia esposizione
mi guardò sorridendo e mi disse: “tu, davvero, non hai capito nulla di quello
che Lui voleva dirti! Tu, non hai inteso il significato della sua dichiarazione
di debito nei tuoi confronti e della sua disponibilità ad estinguere quel
debito, sempre, a Tua semplice richiesta”. Lo guardai curiosamente, ancora senza
capire il significato delle sue parole. Lui capì che io “non avevo capito” e,
presomi da parte, mi disse che la cultura barbaricina ha un rituale ed un codice
che io non potevo conoscere. L’offerta fattami da questa persona era una vera e
propria dichiarazione di “debito” nei miei confronti, che Lui intendeva pagare,
quando io ne avessi avuto bisogno. Debito, cercò di farmi capire, che non è
quantificabile facilmente. Mi precisò anche cha una dichiarazione di debito come
quella a me fatta in modo cosi deciso, sottintendeva che nulla io gli avessi
chiesto di fare lui avrebbe rifiutato, fosse anche un omicidio. Lo guardai senza
parlare, come se i miei occhi lo interrogassero, chiedendogli se quello che
diceva era vero. Capii che lo era! In un attimo un brivido freddo mi attraversò
la schiena accapponandomi la pelle; mi rividi di fronte a Lui, in strada, mentre
guardandomi negli occhi mi offriva la sua disponibilità senza limiti. Da
campidanese, da “Bacheo” (come loro in senso dispregiativo appellano quelli
della pianura) allora non avevo capito. Forse, è stato meglio
cosi.
Cari amici, la cultura millenaria del Popolo Sardo può sembrare anche
“barbara”, ma non lo è affatto! Nel bene e nel male l’amicizia è un valore raro
ed apprezzato, capace di donare e di donarsi senza limiti. L’amicizia ed il
“dono” sono e saranno sempre strettamente legati.
Grazie della Vostra attenzione.
Mario
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