Oristano 23 Dicembre 2012
Cari amici,
è passato tanto di quel tempo, ma i ricordi di un certo tipo si fissano nella nostra mente in maniera indelebile! Era il Dicembre del 1979 e la mia sede di lavoro era a Fonni, nel cuore della Barbagia, paese situato ad oltre mille metri d’altezza, il più alto dell’isola. Non c’ero andato volentieri in quella zona della Sardegna dove prima non ero mai stato. Le esigenze lavorative, però, non consentono scelte e, lasciata malvolentieri la sede di Ales dove pochi anni prima avevo portato la famiglia, mi trasferii, da solo, a Fonni nel Febbraio del 1979. Mia moglie insegnava ad Ales e quindi non poteva lasciare la Sua sede di lavoro.
Febbraio, lo sappiamo, è uno dei mesi più freddi dell’inverno e la sorte volle che iniziassi il mio lavoro di primo direttore della neonata Agenzia del Banco di Sardegna proprio in un freddo giorno di febbraio. Possedevo, allora un Renault 15 coupé con il cambio automatico, macchina non certo ideale per le strade di montagna; feci il viaggio di primo mattino con molta preoccupazione, perché, per chi non è abituato, non è facile guidare su strada ghiacciate. Sapevo che la sede del Banco era nel corso principale e non faticai a trovarla, ben individuata da un’ampia insegna. Mentre cercavo parcheggio mi meravigliai dei cumuli, che a me sembravano di terra e pietre, che vedevo ai bordi della strada. Mi chiedevo il perché di tanto disordine, finché, sceso dalla macchina, non mi accertai della loro vera natura: erano cumuli di neve ghiacciata annerita dal traffico e che ad un profano come me sembravano terra e pietre! In effetti la prima impressione su questo paese di montagna non fu molto favorevole. Mi ambientai presto, comunque, e per circa tre anni vissi in albergo (all’hotel Cualbu) il cui proprietario, ziu Battista, fu straordinariamente amichevole con me tanto da farmi superare subito le mie remore iniziali, agevolando il mio inserimento in tempi brevi in un ambiente cosi chiuso e riservato come quello barbaricino.
In poco tempo avevo preso dimestichezza con l’ambiente e non fu difficile, considerata anche la professione che svolgevo, conoscere più o meno tutti. In quegli anni la Sardegna viveva un momento economicamente valido: il boom degli anni ’70 aveva aperto l’Isola ad un turismo più ampio che vedeva interessate anche le zone interne, non solo quelle costiere. A Fonni ziu Battista Cualbu era una vera e propria autorità, una specie di grande patriarca. Aveva costruito un bell’albergo al centro del paese e la famiglia di suo fratello un altro proprio sul Bruncu Spina, la parte più alta della montagna, a 1.385 metri di altitudine. Quest’ultimo albergo era destinato sia al turismo invernale (unico posto in Sardegna dove si poteva sciare) che a quello estivo. Questo albergo era gestito da uno dei nipoti di ziu Battista, Carletto, figlio del fratello, che anche se la famiglia, ormai, abitava a Cagliari, trascorreva la gran parte del tempo all’Hotel Monte Spada, seguendone la gestione. Carletto era un imprenditore dinamico. Si era circondato di uno staff di buon livello e non operava “artigianalmente”, come la gran parte dei piccoli operatori turistici dei centri dell’interno, ma in maniera molto commerciale. In quest’ottica di pubblicizzazione della sua struttura alberghiera aveva intrapreso fruttuosi contatti con operatori turistici dei Paesi del Nord Europa, dove la Sardegna era considerata una meta molto ambita.
L’episodio che sto per raccontarvi avvenne proprio con l’arrivo, in visita di cortesia, di questi “operatori”: un gruppo di tedeschi e svedesi, che capitò a Fonni nel Dicembre del 1980. Episodio curioso che fortunatamente non ebbe gravi conseguenze ma, sapientemente raccontato in giro da Carletto e dagli amici , fece il giro dell’Isola. Ecco cosa ricordo io di quel fatto, nonostante i molti anni passati.
Ormai ero a Fonni da quasi un anno; con molta buona volontà avevo superato le remore iniziali e mi ero lentamente inserito nel difficile ambiente di questo centro. Con Carletto eravamo diventati buoni amici. Spesso la sera passava a prendermi in ufficio con il suo fuoristrada e mi portava a Monte Spada, per trascorrere alcune ore in compagna dei molti amici e clienti che frequentavano l’albergo, comodo e riscaldato, dove nel piano sottostante si trovava una bella discoteca. La mia età, allora, (oltre trent’anni fa) era ben più giovane di quella di adesso: a 35 anni ero ancora un giovane che non disdegnava un’interessante serata in un bel locale, in compagnia di amici, di un buon pasto e di buona musica. Eravamo arrivati, ormai, alla fine dell’anno: era il dicembre del 1980. In un paese dove nevica spesso alla fine dell’anno si sentiva già l’aria del Natale, quell’aria magica che spesso vediamo nelle cartoline. Io rientravo a casa ogni Venerdì e d’inverno, dopo una faticosa settimana passata fuori casa, il paesaggio imbiancato, pur bello, mi impensieriva non poco, per il lungo viaggio che dovevo affrontare per tornare a casa.
Una mattina, eravamo verso il 20 di dicembre, Carletto piombò in ufficio e mi disse con viso allegro, solare, che la sera ero invitato da lui a cena a Monte Spada: era in arrivo un gruppo di Tour Operators del Nord Europa e lui voleva farmi partecipe di questo importante evento. Questi operatori turistici erano quelli che avrebbero calamitato nel suo albergo un buon numero di turisti e lui, volendo fare bella figura, li aveva invitati a trascorrere il Natale nel suo albergo! Non gli dissi certo di no e, dopo la chiusura dell’ufficio, passò a prendermi con la sua Land Rover e mi portò a Monte Spada. Quando arrivammo c’era già fermento; una ventina di persone, in gran parte giovani e di sesso femminile, bionde soprattutto, aveva invaso la hall e chiacchierava con il direttore e i ragazzi dello staff.
Al nostro arrivo, dopo le presentazioni, ci trasferimmo in un attiguo grande locale circolare, strutturato come un ovile di montagna (un grande “pinnettu”), riscaldato da un enorme camino bordato di tronchi di ginepro, al cui interno, infilzati in pesanti spiedi, agnelli e maialetti doravano lentamente. L’ampio pavimentato era stato realizzato con spezzoni di tronchi di quercia infissi per terra, che contribuivano a mantenere caldo l’ambiente. L’atmosfera era superbamente gradevole e gli amici “nordici” estasiati. Tra pane carasau, salsicce fresche, formaggio pecorino e prosciutti vari il tempo trascorreva piacevolmente in allegria; la bontà dei cibi era accompagnata da grandi boccali di vino nero, dolce ma altamente alcolico! Il vino si sa fa buon sangue ed in poco tempo le persone che lo bevono diventano molto cordiali ed amiche: i sorrisi e gli abbracci si sprecavano.
Al termine di questi calorici antipasti, grandi vassoi in sughero pieni di carne arrosto, calda e fragrante, furono posati sui tavoli con grande letizia generale! Il banchetto era al massimo del gradimento e gli ospiti mangiavano e bevevano in letizia. Quello che veniva consumato “senza calcolo o misura” era in particolare il vino: i nostri ospiti abituati a bere i grandi boccali di birra, sia uomini che donne, non bevevano il vino a piccoli sorsi come d’uso, ma vuotavano d’un fiato il bicchiere, ingurgitando dosi di alcol non indifferenti. La bontà di quel liquido scuro dolce e inebriante, era una tentazione troppo forte per pensare allo stordimento che già in alcuni di essi appariva manifesto. A cena ultimata non fu facile spostarsi in discoteca, al piano seminterrato, ma con non poca difficoltà il gruppetto, un po’ ondeggiante, riuscì a raggiungerla. La festa era appena cominciata!
Tra musica, dolcetti sardi, e altro vino la serata continuò ancora a lungo, fino a tardi. Quando la stanchezza iniziò a farsi più pesante il gruppetto iniziò a sciogliersi. La gran parte si ritrovava con le gambe che non rispondevano ai comandi: era difficile se non impossibile reggersi ancora in piedi. Alcuni a stento e appoggiandosi alle pareti iniziarono la lenta risalita verso le camere. Qualcuno, uno in particolare, non riusciva a lasciare la poltrona dove, dopo le abbondanti libagioni, era approdato ormai senza più forze. Con grande fatica tutti riuscirono a lasciare il locale, tranne quest’ultimo. L’uomo era pesante (ricordo ben oltre il quintale di peso) e smuoverlo da quella postazione non fu facile. Ci provarono in molti, in tutti i modi, a sollevarlo dalla poltrona ma il peso e la mancata collaborazione non ottenne risultati e finirono per desistere. Non essendoci altre soluzioni si decise che avrebbe dormito li, in discoteca. Fu avvicinata un’altra poltrona per fargli appoggiare una parte delle gambe, portate alcune coperte ed un cuscino e l’uomo, ormai sbronzo e semi addormentato, trascorse li la notte. Carletto mi raccontò che l’indomani, a mezza mattina, dormiva ancora come un angioletto! Chissà come avrà raccontato ai sui amici, al ritorno in Germania, l’impatto con il nostro dolce vino di Barbagia!
Cari amici il Natale anche quest’anno è alle porte. Ho voluto curiosamente riportarvi questo lontano flash della mia gioventù per appagare la vostra curiosità (in particolare quella di una cara lettrice che mi invita continuamente a colorare questo blog con i miei ricordi) e per augurare, col cuore a tutti Voi un sincero Buon Natale ed un sereno Nuovo Anno. Spero che, considerati i tempi, non abbondiamo nello spreco, nel superfluo, ma riflettiamo e se possibile diamo una mano ai tanti meno fortunati di noi che vivono queste festività con tristezza e rassegnazione. Aiutiamoli a ritrovare, anche se solo per un attimo, un sorriso.
A U G U R I A TUTTI VOI DI VERO CUORE!
Mario
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