Oristano, 17 Dicembre 2012
Cari amici,
la Sardegna oggi rappresenta, nel
panorama delle regioni italiane, una realtà economica di modesto valore,
classificandosi nei posti più bassi della classifica, sia come Prodotto Interno
Lordo che come redditi pro capite. Eppure esaminando i parametri base per il
calcolo della ricchezza potenziale i dati non quadrano: c’è una abissale
differenza tra ricchezza potenziale e ricchezza prodotta. La nostra Isola ha
una dotazione naturale di grande spessore che, opportunamente utilizzata,
potrebbe farci fare un salto di qualità di non poco conto. Questa mia affermazione
non è così campata in aria.
Il rapporto territorio/abitanti
dimostra che abbiamo spazi a sufficienza, dove poter impostare attività sia
turistiche che economiche di rilievo senza arrecare danni o modifiche
irreversibili al territorio: nella nostra vasta regione siamo meno di 1.500mila
abitanti. La nostra invidiabile posizione al centro del Mediterraneo ci
consente di godere di un clima favorevole, con temperature mai esagerate, sia
d’inverno che d’estate. Sole, clima, spazi e coste fra le più belle della
nostra nazione, dovrebbero fare della nostra isola un potenziale paradiso. Un
solo esempio: nei nostri campi da golf si può giocare 365 giorni all’anno!
Sardegna regione-cartolina ma incapace di dare buon reddito ai suoi abitanti.
Non basta, poi, la dotazione naturale prima riportata, c’è dell’altro. La
straordinaria storia della nostra Isola, abitata fin dalle epoche più remote
(forse l’ultima propaggine della mitica Atlantide), evidenzia un patrimonio culturale
millenario, che spazia dai nuraghi alle tombe di giganti, dai villaggi nuragici
del neolitico alle foreste fossili, per arrivare ai “Giganti di Mont’e Prama”, le
enormi statue di arenaria rinvenute nel Sinis di Cabras, che hanno
rivoluzionato la storia del Mediterraneo,
patrimonio che dovrebbe
costituire un richiamo turistico forte, sia turistico che culturale e
commerciale. Eppure tutto questo patrimonio potenziale rimane dormiente, senza
utilizzo economico, mentre i nostri giovani
migliori sono costretti, nonostante le capacità, ad emigrare per
mendicare un posto di lavoro. La Sardegna le risorse le ha ma non le mette in
opera. Sviluppo ed occupazione partono dall’utilizzo delle risorse, non vi sono
alternative.
Nella primavera scorsa con un
gruppo di amici provenienti dal nord Italia abbiamo fatto una piccola
escursione sul lago Omodeo. La richiesta di visitare il lago fu fatta da loro,
considerando che avevano saputo che questo nostro lago è oggi il lago
artificiale più grande d’Europa. Nella breve e piacevole gita ci recammo a
visitare i piccoli paesi che si affacciano su questo lago: Zuri, Tadasuni,
Boroneddu, Sorradile, Soddì ed altri. Questi amici rimasero estasiati sia della
bellezza dei luoghi che dei piccoli borghi, apprezzandone tutta la loro
bellezza e la serenità che ispiravano. Quando ci affacciammo sulla riva del lago
mi dissero che era bellissimo, che non aveva niente ha da invidiare agli altri laghi
sia italiani che europei, ben più famosi e conosciuti. Era fine primavera e la tiepida giornata
invitava a passeggiare nel verde, respirando, con un senso di pace, il profumo
primaverile. Un silenzio rilassante ci avvolgeva: intorno a noi piccoli boschi
di querce, chiesette e villaggi campestri e piccoli greggi al pascolo. Una
bellezza semplice e maestosa allo stesso tempo. Difficile da descrivere perché indefinibile:
si può apprezzare ed ammirare solo immergendosi al suo interno.
Al rientro, stanchi ma appagati,
felici, la discussione sulla giornata e sui luoghi riprese. In sostanza la
domanda, pur espressa in mille modi, era una sola: com’è che possedendo tesori di questo tipo, vivendo
in un mondo meraviglioso, quasi unico, non siete capaci di valorizzare questo
patrimonio? Perché non utilizzate queste risorse per creare lavoro ai giovani
che, disperati, “fuggono”, cercando lavoro in altre parti d’Europa? Le risposte, purtroppo
mancavano ed ancora mancano. Certo, qualcuno ci prova anche se i risultati non
sono concreti.
I sindaci di questi minuscoli
paesi continuano a provarci. Il Sindaco di Sorradile, Pietro Arca, ha provato
ad attivarsi cercando aiuto e sostegno negli altri sindaci del territorio. La
sua idea è quella di promuovere ed elaborare un “Unico sistema turistico” che
unisca i sessanta comuni dell’isola che si affacciano sui laghi. L’adesione
degli altri c’è stata, anche se la realizzazione richiede investimenti importanti.
Questo limita i progetti ed i passi in avanti saranno a dir poco lenti. Rilanciare
le zone interne e favorire lo sviluppo turistico dei piccolo comuni, questo è
l’imperativo, perché la Sardegna non può essere solo vacanza al mare per due o
tre mesi! Tutta l’Isola deve attivarsi, facendo squadra, perché da soli non
si fa molta strada. Le poche iniziative messe in atto sino ad oggi sono state
portate avanti da piccoli consorzi, incapaci di dare risposte ad un mercato turistico
internazionale che si sta sviluppando sempre di più. I piccoli centri, i
borghi, le zone interne, la cultura, la gastronomia, l’ospitalità della nostra
isola sono elementi importanti per far decollare un nuovo turismo, ma il tutto
supportato da strutture portanti forti, pubbliche e private.
Il sardo è notoriamente un
soggetto che non si associa facilmente. Retaggio questo, certamente, di
millenni di dominazioni e vessazioni subite nei secoli dai conquistatori, ma che
oggi costituisce un grosso handicap. Oggi è tempo che le ‘nuove generazioni’
rompano questo schema arcaico che ha fortemente limitato lo sviluppo di tutta
l’Isola. Timidamente, forse, qualcosa comincia a cambiare. Pochi giorni fa, il
9 Dicembre, ho letto su l’Unione Sarda che dopo vent’anni di attesa è imminente
l’apertura del primo albergo che si affaccia sul lago Omodeo. Buone notizie,
dunque, che si spera non restino isolate. La nuova struttura di media
dimensione (una settantina di posti letto, ampio ristorante e grande sala
convegni, oltre che piscina, campi da tennis e bocce ed escursioni in canoa)
potrebbe soddisfare le esigenze sia del turismo estivo che di quello pre-estivo
e congressuale, coprendo anche quei mesi fuori dal turismo di massa.
La Sardegna con iniziative
rivolte non solo sulle coste ma su tutto il suo territorio potrebbe, davvero, dare vita a quel decollo che da
tempo si attende. Il vasto lago e la sua grande ed impressionante diga che lo
ha creato potrebbero essere proprio il punto di partenza di un ‘nuovo corso”,
capace di darci quel ritorno economico tanto atteso, fatto di agricoltura
d’avanguardia, allevamento (valorizzando il cavallo), turismo culturale,
sportivo e ricreativo, indirettamente trainanti verso molti altri settori
dipendenti, come artigianato, piccola industria, commercio e servizi.
Abbiamo parlato del lago e della
sua diga, studiandole il potenziale, ma
per molti sardi i “numeri” di queste due grandezze non sono molto noti. Ecco,
per la curiosità di molti, la storia del più grande lago artificiale d’Europa,
la cui costruzione iniziò nel 1919.
La diga che possiamo ammirare attualmente
porta il nobile nome di ‘Eleonora d’Arborea’ ma essa non è il primo sbarramento costruito su questo fiume
(il Tirso). Il primo bacino artificiale fu realizzato con la costruzione della
diga di Santa Chiara, presso Ula Tirso, i cui lavori, iniziati nel 1919, furono
completati nel 1924. Fu inaugurata il 28 aprile dello stesso anno alla presenza
del re Vittorio Emanuele III, dando origine al più grande lago artificiale
d'Europa, con una capacità massima di 403 milioni di metri cubi d'acqua. Per la
sua costruzione furono impiegati 16.000 operai che realizzarono l’opera su
progetto dell'ingegnere Angelo Omodeo, tecnico di vaglia, che partecipò anche
alla costruzione delle grandi dighe sul Nilo. I lavori durarono cinque anni e
si svolsero sotto la direzione dell'ingegnere Giulio Dolcetta. Per dare
alloggio ai numerosi lavoratori fu costruito il villaggio di Santa Chiara,
costituito da alloggiamenti per operai e per il personale tecnico. Il villaggio
funzionò come una vero e proprio borgo, con al centro anche una piccola chiesa.
Il villaggio, attualmente abbandonato, si trova in un totale stato di degrado, mentre potrebbe essere, invece, interessante
pensare ad un suo “riutilizzo” in campo turistico. Il primo bacino realizzato
era lungo più di 22 km e la sua creazione determinò la sommersione di alcuni
siti archeologici: nuraghi, tombe di giganti, l’antichissima foresta fossile, l'insediamento
prenuragico di “Serra Linta”, come anche il piccolo villaggio abitato di Zuri,
che venne riedificato su un'altura poco distante dal lago, scomparvero sotto le
sue acque. L'antica chiesa del villaggio, dedicata a San Pietro Apostolo, venne
smontata concio per concio e ricostruita nell'attuale posizione. L’obiettivo principale
della realizzazione della diga era l’immagazzinamento delle piene del fiume
Tirso al fine di derivarne una portata costante di 20 mc/sec, da utilizzare
principalmente per irrigare circa 20.000 ha di terreno nel Campidano di
Oristano e produrre energia elettrica e, in via secondaria, per uso
potabile”.
Negli anni Sessanta e Settanta, a
seguito delle lesioni che ne limitavano fortemente l’utilizzo, si studiò la
possibilità di creare una nuova diga, in quanto quella esistente non dava
sufficienti garanzie di sicurezza. I lavori di costruzione iniziarono nel 1982
e la nuova diga ‘Eleonora d’Arborea’ fu inaugurata il 23 gennaio 1997 dal
presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Il nuovo bacino, che è lungo
25 km, raggiunge una larghezza massima di circa 5 km ed una profondità media di
19,6 metri (massima di 55 metri), ha una superficie totale di 29,5 kmq;
lentamente ma inesorabilmente il nuovo invaso sta ormai sommergendo altri terreni,
siti nuragici, abitazioni ormai disabitate ed anche la vecchia diga di Santa
Chiara, di cui tra poco tempo non rimarrà che il ricordo. Il nuovo sbarramento
è alto 120 m. e lungo 582 metri. A pieno regime l’invaso raggiungerà una
capacità di 748 milioni di metri cubi, capaci di fornire l’acqua per irrigare
52.525 ha, contro i 20.000 del precedente.
Il territorio su cui sorge la diga ed il lago artificiale
da essa creato è un importante “sito di interesse comunitario”, per via della
sua rilevante importanza sia dal punto di vista paesaggistico che ambientale. Dal
punto di vista floristico-vegetazionale le sponde del lago Omodeo sono
caratterizzate principalmente da formazioni boschive di leccio (Quercus ilex) e
dalla macchia mediterranea, alle quali, spesso, si sostituisce la roverella
(Quercus pubescens). Sono inoltre presenti specie caratteristiche della
vegetazione riparia come il pioppo bianco (Populus alba), il salice fragile
(Salix fragilis), l'olmo campestre (Ulmus minor), il frassino (Fraxinus ornus),
il tamericio (Tamarix gallica e Tamarix africana) e l'alloro (Laurus nobilis).
La fauna è maggiormente
rappresentata dagli uccelli, sia stanziali sia migratori. Le specie più comuni
sono la ghiandaia marina (Coracias garrulus), l'occhione comune (Burhinus
oedicnemus), il falco pellegrino (Falco peregrinus), il falco pescatore
(Pandion haliaetus) ed il piro piro piccolo (Actitis hypoleucos). Tra gli uccelli
acquatici sono presenti il codone comune (Anas acuta), il moriglione (Aythya
ferina), il mestolone comune (Anas clypeata), l'alzavola (Anas crecca), il
fischione (Anas penelope), la folaga (Fulica atra), la gallinella d'acqua
(Gallinula chloropus), il germano reale (Anas platyrhynchos), la canapiglia
(Anas strepera), l'oca selvatica (Anser anser), la garzetta (Egretta garzetta),
l'airone bianco (Egretta alba) e l'airone cenerino (Ardea cinerea). Gli anfibi
ed i rettili più comuni sono il discoglosso sardo (Discoglossus sardus), il
tarantolino (Phyllodactylus europaeus), la testuggine palustre (Emys
orbicularis) e la tartaruga di terra (Testudo hermanni). Tra i vari pesci
presenti (carpa, trota, persico,
latterino) va segnalata la presenza dell'agone (Alosa fallax lacustris).
Cari amici, secondo il mio punto
di vista, il lago Omodeo ed il suo territorio circostante, opportunamente
valorizzato, possono fare da volano a numerose iniziative turistiche di
prim’ordine. La sistemazione ad “albergo diffuso” dei piccoli comuni, la
rinascita degli antichi borghi, delle botteghe artigiane può essere un modo innovativo
per rivitalizzare un territorio ormai in coma profondo. Investendo e facendo
investire in queste “segrete oasi di pace” (diversi stranieri hanno già iniziato
a comprare a prezzi bassissimi case-vacanze in questi paesini del lago)
possiamo dare vita ad un turismo che abbracci non solo le coste e non solo i
classici mesi di Luglio e Agosto. Nei centri dell’interno la vita può davvero
riprendere a scorrere, rivitalizzando borghi e campagne, offrendo turisticamente
la nostra tranquillità, la nostra genuinità e soprattutto la nostra proverbiale
ospitalità.
Il nostro lago, se vogliamo, può
davvero calamitare flussi turistici di ogni tipo: da quelli della terza età a
quelli sportivi, da quelli della pesca a quelli delle gare su lago, da quelli
culturali a quelli del sano riposo, lontano dalla infernale ed alienante vita
delle grandi città. Dare futuro ai giovani, dare nuova vita alla Sardegna,
soprattutto a quella dell’interno, dipende solo da noi e dalla nostra capacità
di farlo. Solo noi possiamo farlo! Gli altri, quelli che sono da sempre venuti
in Sardegna solo per “sottometterci” non lo faranno, perché continueranno a
considerare la Sardegna colonia e gli abitanti loro sudditi.
Noi sardi è tempo che ci
svegliamo, o saremo sempre come gli spagnoli ci definirono secoli fa:
“Pocos, locos y male
unidos”
Auguri a tutti!
Mario
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