martedì, dicembre 02, 2025

L'UMORE E LE STAGIONI. CON L'ARRIVO DELL'INVERNO ENTRIAMO NEL TUNNEL DEL “SAD”, IL DISTURBO AFFETTIVO STAGIONALE.


Oristano 2 dicembre 2025

Cari amici,

Con l’arrivo dei mesi freddi, a causa della riduzione delle ore di luce, molte persone, anche quelle definite ”solari”,  iniziano a rattristarsi, sperimentando un calo sia dell’energia che dell’umore. È questa, di norma, una sindrome limitata ai mesi invernali, che scompare con l’arrivo della stagione primaverile, ma risulta, comunque, alquanto condizionante. Questa condizione di disagio, di norma persistente e ciclica, è da noi definita Disturbo Affettivo Stagionale, correntemente SAD (dall’inglese Seasonal Affective Disorder), che in realtà non è altro che una forma di depressione.

Sono diversi gli studi su questa forma depressiva, che confermano che essa è presente nel soggetto "quando viene accertata ripetitiva”, ovvero si presenta almeno per due anni di seguito, manifestandosi sempre nella stessa stagione (di solito in autunno o in inverno) e migliorando successivamente nella stagione più calda e luminosa. Per quanto riguarda sia la durata che la diffusione del disturbo, alcune ricerche internazionali stimano che il SAD interessi dal 2 % al 21 % della popolazione, con percentuali più elevate nei Paesi dove le giornate invernali sono particolarmente brevi.

In sintesi, la depressione stagionale rappresenta una condizione reale per molti individui, ma la durata e la regolarità del suo andamento variano sensibilmente; c’è da dire che non tutti i disturbi dell'umore in inverno possono essere considerati un vero SAD. I sintomi più frequenti del SAD includono: umore depresso e perdita di interesse per le attività quotidiane; aumento del bisogno di dormire e difficoltà a svegliarsi al mattino; fatica costante e ridotta energia; maggiore appetito, soprattutto per cibi dolci o ricchi di carboidrati; difficoltà di concentrazione e calo della produttività; irritabilità e maggiore sensibilità emotiva; alterazione del ritmo circadiano, con sonnolenza diurna o insonnia serale.

Amici, con l’arrivo della bella stagione, Primavera-Estate, questi sintomi tendono a migliorare spontaneamente, quando la luce naturale torna a stimolare i normali meccanismi biologici dell’umore. Un aspetto chiave nella comprensione del SAD è il ritmo circadiano, l’orologio biologico che regola il ciclo sonno-veglia e influenza la produzione di ormoni come serotonina e melatonina. Durante i mesi con scarsa esposizione alla luce, il corpo tende a produrre più melatonina, provocando sonnolenza, stanchezza e umore basso. Studi pubblicati su Sleep Medicine Reviews (2022) mostrano che i soggetti affetti da SAD presentano un ritardo del ritmo circadiano e una ridotta risposta alla luce naturale.

Come si può combattere questo disturbo? La terapia può includere trattamenti non farmacologici, psicoterapia e, nei casi più gravi, farmaci antidepressivi. In primis si usa la fototerapia (light therapy), che consiste nell’esposizione quotidiana a una luce artificiale intensa (circa 10 000 lux) per 20–30 minuti al mattino. Secondo il National Institute of Mental Health, questo metodo può ridurre i sintomi depressivi nel giro di due settimane; poi, la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT-SAD): che aiuta a riconoscere e modificare i pensieri negativi legati alla stagione, migliorando l’adattamento ai cambiamenti ambientali.

Infine, se necessario, si può ricorrere ai farmaci e al supporto clinico: gli antidepressivi SSRI possono essere utilizzati nei casi più severi, spesso in combinazione con la fototerapia e la psicoterapia. Gli specialisti, poi, consigliano interventi sullo stile di vita: esporsi alla luce naturale, mantenere un sonno regolare, svolgere attività fisica e seguire una dieta equilibrata, tutti rimedi che rappresentano delle strategie complementari di comprovato beneficio. Il disturbo affettivo stagionale appare oggi come una condizione reale e clinicamente rilevante, sostenuta da solide evidenze sul ruolo della luce e del ritmo circadiano.

Cari amici, come accennato prima, non tutti cadono in depressione quando le giornate si accorciano e la luce solare, presente in ore limitate, ci intristisce; tuttavia sta a noi reagire al malumore che le cattive giornate ci creano utilizzando al massimo le ore di luce disponibili, mantenendo una regolare relazione sociale, facendo attività fisica, assumendo una dieta regolare e andando a letto nelle ore più consone alla nostra vita. Ne ricaveremo un sicuro beneficio!

A domani.

Mario

lunedì, dicembre 01, 2025

UN RIMEDIO NATURALE CONTRO LO STRESS? LA LETTURA! LEGGERE È UNA TERAPIA ECCELLENTE, RILASSA E FAVORISCE LA CONCENTRAZIONE.


Oristano 1° dicembre 2025

Cari amici,

Ho voluto iniziare i post di dicembre con un argomento che riguarda il nostro vivere quotidiano: l'angoscioso muoversi, operare e lavorare a ritmi talmente sostenuti da rischiare di scoppiare. Una vita, quella odierna, dominata dallo "STRESS", dall'ansia che non ci lascia sereni, né di giorno né di notte. Si, viviamo immersi nella caotica, alienante vita moderna, che ci carica continuamente di stress e di pericolosi nervosismi. Ebbene, è sicuramente necessario trovare degli antidoti, e, su questo fronte, un rimedio naturale contro lo stress lo possiamo trovare nella lettura di un libro, capace di rilassarci e, di darci serenità. Un libro ci porta in un altro mondo, ci offre una forma di evasione, rilassando concretamente il nostro organismo carico di tensione. Man mano che leggiamo, si abbassano la frequenza cardiaca e la tensione muscolare, la nostra mente si distrae dal quotidiano e dalle preoccupazioni familiari e sociali. Recenti studi hanno dimostrato che bastano pochi minuti di lettura al giorno per ridurre lo stress del 68%.

La lettura, amici, ci regala numerosi benefici, capaci davvero di migliorarci la vita.  Immergersi nella lettura di un un libro ci riduce lo stress, aumenta l’empatia e favorisce la concentrazione. Romanzi, saggi o poesie, ci permettono di evadere dalla routine quotidiana e di osservare la vita da nuove prospettive, stimolando la nostra crescita personale. Studi recenti dimostrano che dedicare, come dicevo prima, anche pochi minuti al giorno alla lettura, si abbassano i livelli di ansia e il nostro umore migliora. Leggere, può diventare un vero e proprio strumento terapeutico, utile per gestire le nostre emozioni complesse e, di conseguenza, aumentare la nostra resilienza.

Appassionarsi alla lettura, amici, come hanno rilevato gli studiosi, serve a stimolare la nostra mente, aiutandoci a prevenire o rallentare lo sviluppo di malattie come l’Alzheimer e la demenza senile. Leggere, poi, aumenta le nostre conoscenze, migliorando il nostro bagaglio culturale; una maggiore conoscenza ci sarà sempre utili in futuro per affrontare al meglio le sfide che la vita ci presenta. Che dire, poi, del fatto che la lettura migliora il nostro vocabolario arricchendolo, consentendoci così di riuscire ad esporre sempre meglio il nostro pensiero. Esprimersi bene e in modo articolato, può esserci d’aiuto anche in ambito lavorativo.

Leggere, amici, è davvero un modo positivo di essere e di porsi, in quanto rende più forte la capacità analitica del nostro pensiero. Saremo così in grado di utilizzare questa rinnovata capacità anche nello svolgimento del nostro lavoro, dimostrando delle capacità che tanti nostri colleghi non hanno. Leggere, inoltre, migliora li nostro livello di attenzione e di concentrazione. Quando leggiamo un libro tutta la nostra attenzione si riversa sulla storia, il resto del mondo, quindi, ne rimane fuori, e in questo modo ci troviamo in un altro mondo, immersi in ogni dettaglio, in ogni particolare.

Leggere, amici, migliora anche la nostra capacità di scrittura. Scrivere bene, in particolare nella nostra attività lavorativa, ha un effetto positivo notevole sulla nostra capacità di esposizione. Avere uno stile fluido, influenzerà positivamente chi giudica il nostro lavoro personale. Nello stesso modo in cui i musicisti si influenzano a vicenda, stabilendo dapprima chi è il maestro, allo stesso modo anche gli scrittori imparano come scrivere in prosa leggendo le opere degli altri. Leggere, amici, riesce senza ombra di dubbio a migliorarci!

Amici, leggere è anche un modo di ritrovare serenità; immergersi in un libro ci crea una dolce, serena tranquillità, un rilassamento che ci porta in un “altro mondo” diverso dal nostro, regalandoci una serena, interiore tranquillità. Leggere testi spirituali, ad esempio, fa abbassare la nostra pressione sanguigna, dandoci un senso di calma estrema, mentre leggere libri su “come aiutare sé stessi a…” è stato dimostrato che è di valido aiuto alle persone che soffrono di determinati disturbi comportamentali e di problemi mentali.

Cari amici, chiudo questa mia riflessione con la celebre citazione è di George R.R. Martin, autore de "Il trono di spade". La troviamo nelle parole del personaggio Jojen, ed è una metafora che sottolinea come la lettura permetta di vivere esperienze e avventure altrimenti inaccessibili, ampliando la propria visione del mondo e la conoscenza di diverse vite. Ecco la frase completa: "Chi legge vive mille vite prima di morire. Chi non legge mai, ne vive una sola".

A domani cari amici lettori.

Mario

 

 

domenica, novembre 30, 2025

LA VITA SOCIALE NEL TERZO MILLENNIO. IL PASSAGGIO DAL NUCLEO FAMILIARE NUMEROSO A QUELLO SINGOLO. LA RAZZA UMAMA SEMPRE PIÙ SOLITARIA E APPARENTEMENTE FELICE.


Oristano 30 novembre 2025

Cari amici,

Come ultimo post di questo mese ho scelto di dialogare con Voi sull'aridità e la solitudine sempre più presente nella vita di oggi. Lo scorso 11 novembre si è celebrata la  GIORNATA MONDIALE DEI SINGLE (O SINGLES' DAY). L’idea di dedicare un giorno alle persone “SINGLE” è nata in Cina negli anni '90, istituita per celebrare l'indipendenza e l'orgoglio di essere single. La data è stata scelta per via della sequenza dei numeri: 11/11, infatti è una sequenza di 1, e simboleggia proprio una persona sola. La ricorrenza col passare del tempo si è evoluta, trasformandosi nella più grande giornata di shopping online al mondo.

La realtà, come ha ben evidenziato il sociologo americano David Riesman nel suo famoso libro “La folla solitaria” (titolo originale “The Lonely Crowd”), è che l’uomo ha lentamente ma inesorabilmente dismesso i panni del vivere sociale, abbandonando lo svolgersi della vita “insieme agli altri”, al suo gruppo, estraniandosi quindi, e iniziando quella “vita solitaria” che noi oggi, purtroppo, constatiamo in tutta la sua triste evidenza. Si, amici, il protagonista indiscusso di oggi, di questo 2025, anno che chiude il primo quarto di secolo del corrente millennio, è proprio l’uomo solitario, che vive la sua vita sociale estraniato dal contesto che lo circonda.

Oggi il protagonista è il “LONER CONSUMER”, un nuovo, particolare tipo di consumatore che vive e acquista da solo, spinto tanto da un crescente desiderio di autonomia quanto da una diffusa sensazione di solitudine. Il suo è un nuovo modo di vivere, che può essere analizzato come un particolare stato d’animo oppure come una vera scelta di vita. Il Trend Reality Report 2025 di YouGov Shopper ha descritto e fotografato l’ascesa crescente del “Loner Consumer”, che continua senza interruzioni.

La ricerca è stata realizzata in collaborazione con PRESSRELATIONS, e si basa su uno studio strategico condotto su oltre 21.000 individui in 22 Paesi europei. Attualmente nel nostro Paese le famiglie ‘single’ costituiscono il 35,4% del totale delle famiglie italiane, con una crescita ancora più marcata se si considera il lungo periodo: +20% rispetto al 2015. Tuttavia, il Loner Consumer non è un ‘solitario’ nel senso tradizionale: il termine, coniato dal The Economist lo scorso giugno, descrive una tendenza tutt’altro che marginale e che – diffusasi durante la pandemia – esprime il crescente desiderio di indipendenza, di ricerca di spazio personale e di tempo di qualità da dedicare a sé stessi.

Questa scelta di “Vita solitaria”, stando ai dati rilevati dal report di YouGov circa le motivazioni che spingono gli italiani ad isolarsi, è quello di ritagliarsi un momento di solitudine, quello di cercare di riposarsi mentalmente (per il 49% di loro), di avere un momento di introspezione (per il 45%) e di connettersi con sé stessi (per il 41%). I dati del Trend Reality Report di YouGov Shopper evidenziano la cosiddetta Loneliness epidemic, quella crisi di solitudine che da tempo, ormai, colpisce molte società occidentali.

Come spiega la sociologa Roberta Paltrinieri, docente di Sociologia dei Consumi presso il Dipartimento di Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Bologna, «Questa tendenza non deve sorprendere: è un fenomeno descritto molto bene dal sociologo tedesco  Andreas Reckwitz nel suo libro “La società della singolarità”. Non si tratta tanto di un problema di solitudine, ma di individualizzazione: a partire dalla pandemia Covid, e che, complice la tecnologia, viviamo in una dimensione che promuove proprio la singolarità, cioè l’idea che “da soli è meglio”. Concretamente significa vivere da soli, ma anche fare esperienze in solitudine: il messaggio è che attraverso l’autonomia e l’indipendenza, anche e soprattutto nei consumi, possiamo realizzarci.

Amici, analizzando attentamente il fenomeno possiamo constatare che questo cambiamento non riguarda esclusivamente le nuove generazioni, bensì i 40/50enni: «Il Loner consumer è soprattutto un 50 enne o 60enne, che, avendo un reddito che gli permette di fare una certa spesa, da “consumatore solitario” vuole dimostrare a se stesso di essere una persona realizzata, e lo fa tramite i consumi, perché i consumi sono ormai l’attività prevalente della nostra quotidianità, anche in modo inconsapevole», come ben ha osservato la sociologa Roberta Paltrinieri.

Cari amici, le famiglie monocomponenti, come possiamo constatare, sono sempre in aumento, per cui viviamo sempre più connessi virtualmente ma fisicamente distanti; si preferisce avere spazi propri, comunicando con messaggini e non di persona. In questo senso la tecnologia ci sta allontanando dall’obbligo della reciprocità fisica, in quanto il virtuale rende più semplice la gestione delle relazioni. Viene meno quindi anche il senso di Comunità. L’uomo del Terzo Millennio, dunque, decidendo di distaccarsi dal gruppo, di vivere nell’egoistico isolamento, sta portando l’umanità intera a trasformarsi in quella “FOLLA SOLITARIA” prima ricordata, arida e infelice.

A domani.

Mario

sabato, novembre 29, 2025

SI PARLA TANTO DELL'INVENZIONE DELLA RUOTA, MA IL GRANDE DUBBIO È: "DOVE, COME E PERCHÈ L’UOMO È ARRIVATO A CREARLA?".


Oristano 29 novembre 2025

Cari amici,

Che l'uomo abbia inventato la ruota per facilitare il trasporto di carichi pesanti è una certezza, anche se i ricercatori e gli scienziati continuano ad interrogarsi dove, come e quale sia stato il primo motivo per cui è nata la prima idea di utilizzare del materiale rotante per cercare di alleggerire il peso del trasporto. La quasi certezza è che  l'idea iniziale sia nata dall'osservazione di oggetti che in pendenza rotolavano, come ad esempio i tronchi d'albero. L’osservazione può aver spinto l’uomo preistorico ad utilizzare dei rulli di legno per trasportare i carichi più pesanti, apportandovi poi le ulteriori, successive modifiche.

Sebbene in passato la teoria dei rulli sia stata scartata da diverse ricerche, un nuovo, affascinante studio, basato su simulazioni al computer e condotto da ingegneri aerospaziali, questa teoria è stata ripresa, dimostrando la sua validità; secondo questi nuovi studi la ruota è derivata proprio dai rulli, il cui processo di trasformazione, prima con lo scavo centrale del tronco e poi con l’inserimento di un asse centrale che collegava due dischi di tronchi d’albero, dando così origine alla ruota.

Lo studio prima citato è stato portato avanti da un team di ricerca statunitense, composto da scienziati del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale dell'Università dell'Illinois Urbana-Champaign, del Dipartimento di Storia dell'Università Columbia di New York e della Facoltà di Ingegneria Aerospaziale del Georgia Institute of Technology. Secondo questo studio, tutto sarebbe iniziato circa 6.000 anni fa nelle infernali miniere di rame dei Carpazi, in Ungheria. Proprio qui gli archeologi hanno trovato più di 150 carri in miniatura fatti di argilla, con ruote e una cesta superiore simulata dove venivano riposti i minerali estratti.

I ricercatori hanno ipotizzato che i modellini erano le riproduzioni dei veri carri utilizzati dai minatori dell'epoca, che, con questa soluzione, resero il loro faticosissimo lavoro decisamente più agevole e proficuo. Gli studiosi, coordinati dal professor Kai A. James, si sono convinti che l'ambiente della miniera sia stato ideale per la trasformazione da rullo di legno ad asse con due ruote ai margini. Come lo scienziato ha spiegato in un articolo pubblicato su The Conversation, infatti, “affinché i rulli siano utili, necessitano di un terreno pianeggiante e solido e di un percorso privo di pendenze e curve strette”.

Sempre secondo il professore, i primi pesantissimi carichi di roccia e rame trasportati sui rulli avrebbero piano piano spinto gli inventori dell'epoca a modellare questi rudimentali mezzi di trasporto, rendendoli sempre più pratici e affidabili, fino all'idea di scavare i tronchi al centro e inserire un asse; in questo modo era possibile superare più agevolmente gli ostacoli lungo il percorso. Le modifiche introdotte rendevano i carrelli più facili da spingere e manovrare, in quanto richiedevano meno fatica; e così, gli uomini, modifica dietro modifica, arrivarono ad ottenere la soluzione ideale, con l'asse e i due grandi dischi ai margini.

Amici, secondo gli autori dello studio, le ruote sarebbero dunque nate attorno al 3.900 avanti Cristo nel cuore dei Carpazi, dove l'ambiente minerario era adatto ad influenzare la trasformazione dei rulli  in ruote, in modo non dissimile dalla pressione evolutiva che si verifica nell'evoluzione biologica. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui grandi ed evoluti popoli precedenti, come ad esempio gli antichi egizi, seppure dotati di una cultura molto avanzata, non ebbero gli ingredienti adatti per dar vita all’invenzione della ruota.

Cari lettori, nei millenni l’uomo, passo dopo passo, ha cercato di rendere la propria vita sempre meno pesante e quindi un po’ più facile, e l'invenzione della ruota è indubbiamente una pietra miliare nel millenario percorso dell'umana esistenza. L’INVENZIONE DELLA RUOTA ha letteralmente cambiato la storia dell'umanità, considerato il fatto che anche oggi, dopo i tanti millenni dall’invenzione, la RUOTA gioca un ruolo fondamentale nei trasporti e nelle relazioni umane.

A domani amici lettori.

Mario

venerdì, novembre 28, 2025

LE SFUMATURE DELL’AMORE. AMARE NON SIGNIFICA SOLO VOLER BENE AGLI ALTRI, MA ANCHE A SE STESSI.


Oristano 28 novembre 2025

Cari amici,

L’AMORE non è solo quella freccia, scoccata dal nostro arco, nei confronti degli altri in sintonia con noi, ma significa, allo stesso tempo, "volersi bene", ovvero amare, con la stessa intensità, anche se stessi. Secondo il grande Erich Fromm, psicoanalista, sociologo e filosofo tedesco, "Se un individuo è capace di amare positivamente, ama anche se stesso; se può amare solo gli altri, non può amare completamente". Amare gli altri, dunque, è importante, ma lo è molto di più se siamo in grado di amare anche noi stessi, poiché è proprio sull’affetto che si nutre per la propria persona che è possibile gettare le basi per creare legami solidi e duraturi nei confronti degli altri.

Amarsi, volersi bene non è solo importante, è necessario! Se non ci si ama, infatti, si rischia davvero di non riuscire né ad amare né a farsi amare. Proprio per questo, volersi bene, amare se stessi e gli altri, è una strada da percorrere, a volte difficile ma mai da abbandonare. Siamo tutti chiamati a superare le difficoltà che si presentano, e quali passi concreti possiamo fare per coltivare una relazione più sana con noi stessi e, di conseguenza, con il mondo che ci circonda.

Partiamo dalla domanda più comune: “Cosa vuol dire amare sé stessi”? Spesso sentiamo dagli amici battute come “Devi amarti di più”, oppure “Bisogna volersi bene”; sono slogan, certo, ma al di là delle battute, cosa significa realmente amare sé stessi? A cosa ci riferiamo quando parliamo di un amore incondizionato verso la nostra persona? In primis significa avere una profonda considerazione di se stessi e del proprio benessere; amare se stessi significa godere della propria felicità, avere cura dei propri bisogni, oltre che di quelli degli altri.

Se a molti volersi bene può sembrare un segno di egoismo, non è proprio così! Volersi bene non è un comportamento egoistico, ma di responsabilità verso sé stessi. Imparare ad amare sé stessi è importante: lo è per poter vivere con maggiore serenità ogni aspetto della propria vita. Amare sé stessi significa accettarsi per come si è, con i propri pregi e i propri difetti. Se siamo orientati solo verso gli altri, se il nostro altruismo trascura noi stessi, mettiamo a rischio anche l’amore che vogliamo dare agli altri.

Non amarsi, non volersi bene, ha conseguenze deleterie, amici lettori. Chi non si ama, in effetti ha di se una scarsa autostima; spesso il nostro umore tende verso il basso e scatta il bisogno di chiuderci in se stessi. Ci sentiamo anche inadeguati, senza la necessaria fiducia nelle proprie possibilità, arrivando in questo modo a sminuire il nostro potenziale. Questa mancanza di fiducia interiore soffoca i nostri talenti, impedendoci di perseguire i nostri sogni e le nostre aspirazioni, con la necessaria, possibile serenità.

Il grande psicanalista e filosofo Erich Fromm, nel suo libro fondamentale “L'arte di amare”, offre una riflessione profonda su questo tema. Fromm evidenzia come la nostra cultura ci spinga a cercare l'oggetto “giusto” da amare, invece di concentrarci sull'imparare ad amare e ad amarci con lucidità. Ci focalizziamo sull'altro come se fosse un salvatore, delegando a lui o a lei il compito di renderci felici, senza comprendere che “AMARE” è qualcosa che deve iniziare da noi. La sua tesi è chiara: è fondamentale amare sé stessi per amare gli altri in modo autentico.

Cari amici, capita sempre più spesso di sentire la frase “Se non ami te stesso, non puoi amare gli altri”; è questa una riflessione che è diventata quasi un mantra, ed ha un grande significato che dovrebbe farci riflettere tutti. Pensiamo dunque sempre positivo, amiamoci in modo convinto, senza mai dimenticare che “CIASCUNO DI NOI È LA PERSONA PIÙ IMPORTANTE DELLA SUA VITA!”-

A domani.

Mario

 

giovedì, novembre 27, 2025

L'ANTICO SIGNIFICATO DELL'INDOSSARE “L'ANELLO AL POLLICE”. UN’USANZA DAI MOLTEPLICI SIGNIFICATI.


Oristano 27 novembre 2025

Cari amici,

Oggi vedere in giro ragazzi e ragazze che portano un anello infilato nel pollice è diventata quasi una normalità, anche se questa moda, fino a mezzo secolo fa, era una vera e propria eccezione. Gli anelli, come ben sappiamo, sono presenti generalmente nel medio o nell’anulare, anche se capita di vedere tutte le dita della mano riempite di anelli! Ad essere indossato nel pollice è di solito un anello di metallo grigio, sovente d’argento, presente più spesso al pollice della mano sinistra, ma anche in quella destra.

Al giorno d’oggi gli anelli al pollice sono indossati sia dai ragazzi che dalle ragazze, e viene da chiedersi come possa essersi diffusa questa consuetudine, essendo noto che, fino a qualche lustro fa, era una moda alquanto rara. Se, però, torniamo indietro nel tempo, scopriamo che “indossare un anello al pollice” in passato non è proprio una novità! Era questa un’usanza abbastanza in auge negli alti ranghi sociali. Gli studi archeologici, infatti, hanno dimostrato che in molte civiltà, principalmente in quella greca e in quella egizia (ma anche in quella orientale), il dito pollice risultava inanellato già millenni fa.

Nell’antico Egitto, per esempio, i Faraoni e gli alti funzionari indossavano anelli al pollice come simbolo di autorità, potere e ricchezza. Nell’antica Grecia, invece, il pollice era associato alla virilità, alla forza e alla dignità. L’anello, inoltre, in diverse civiltà, era utilizzato come sigillo: usato per marchiare e sigillare documenti importanti. Indossare un anello su questo dito era simbolo di potenza, o anche di possedere una personalità tenace e sicura. In alcune culture l'anello al pollice aveva, addirittura, una funzione protettiva: gli arcieri, ad esempio, lo indossavano per evitare ferite causate dalla corda del loro arco.

Col passare dei secoli, l’utilizzo dell’anello nel pollice in gran parte abbandonò la vecchia funzione, allontanandosi dall’antico uso, per rivestire, invece, dei panni simbolici. Nella storia occidentale moderna, in particolare nel XIX secolo, le donne impegnate nel movimento femminista lo indossavano come atto di sfida ai codici patriarcali, quei codici presenti e associati ai legami, come quelli del fidanzamento e del matrimonio (le fedi nuziali). Questo piccolo gioiello indossato dalle femministe, era diventato, quindi, un gesto di sfida, un riappropriarsi di una libertà a lungo desiderata, un tempo alquanto vincolata dai matrimoni più imposti che liberi.

Amici, nel contesto moderno, l’anello usato nel pollice assomma diversi significati simbolici. Un primo significato è quello indicante la “Personalità”: chi porta l'anello al pollice è spesso visto come una persona sicura di sé, assertiva e con una forte personalità. Può significare anche “Dominanza” e audacia: Il pollice è visto come un dito di potere (come lo era in passato); simbolicamente, dunque, l'anello può essere un modo, per chi lo porta, di affermare la propria autorità e indipendenza. Infine, un anello al pollice destro può evidenziare, talvolta, anche un soggetto alquanto vanesio, con un forte gusto estetico. Infine, può simboleggiare anche astuzia e acume.

In realtà, amici lettori, non possiamo dimenticare che il pollice, a differenza delle altre dita, è opponibile: ciò consente di afferrare, manipolare e creare! Per questo, nel simbolismo corporeo, questo dito incarna la forza, la volontà e la capacità di agire. Per esempio, alzare il pollice è da sempre un gesto associato all'approvazione e al successo; al contrario, abbassarlo evoca condanna. Mettere l’anello nel pollice, dunque, è una scelta tutt'altro che banale. E forse è per questa ragione che indossarlo diventa un atto di affermazione: "Sono libero, ho il potere di scegliere”.

Cari amici, fin dai tempi più remoti l’anello è stato un grande strumento sociale: come la cintura, è un segno di alleanza, di legame, un segno di appartenenza ad un gruppo, ad una Comunità, oppure a un dio. L’anello veicola il segno di appartenenza, come lo è nello scambio degli anelli matrimoniali, così come per i cristiani sta a simboleggiare la fede, la fedeltà a Dio. L’anello, amici lettori, è veramente un simbolo straordinario, che nel corso dei secoli e dei millenni, continua a rappresentare un forte legame familiare e sociale.

A domani, amici lettori.

Mario

mercoledì, novembre 26, 2025

LE MERAVIGLIE DELLA NATURA. ALLE GALAPAGOS I POMODORI SFIDANO LA LEGGE DELL'EVOLUZIONE DI DARWIN. LO STRANO CASO DI UN’INVOLUZIONE, CON IL RITORNO AL PASSATO.


Oristano 26 novembre 2025

Cari amici,

Credo che praticamente tutti, ormai, conosciamo “LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE”, che Charles Darwin presentò alla Linnean Society nel 1858, esponendo i meccanismi alla base della mutazione casuale e selezione naturale. Secondo la teoria darwiniana (una teoria evoluzionistica sviluppata insieme ad altri autori), tutte le specie viventi derivano dalla selezione naturale di piccole caratteristiche ereditate, le quali, per sopravvivere e riprodursi, incrementano le proprie abilità e capacità.

Ebbene, l’evoluzione è nata, dunque, per la sopravvivenza, proseguendo gradatamente nel cambiamento, ovvero spingendo sempre in avanti la selezione; tuttavia, a quanto pare, alla regola può capitare, però, di vedere l'eccezione. Ecco un esempio. Di recente, su alcune isole dell’arcipelago delle Galapagos (proprio quelle dove Darwin studiò l’evoluzione) la specie selvatica di pomodoro (il Solanum Pennellii) ha invertito il processo di selezione, riattivando un lontano meccanismo di difesa primitivo. Anche se non si parla di una vera e propria regressione, questo “ritorno al passato” ha meravigliato non poco gli scienziati.

Si, amici, in quelle isole Galapagos, dove Darwin intuì il meccanismo della selezione naturale quasi due secoli fa, un piccolo pomodoro selvatico sembra aver riavvolto il nastro della propria storia genetica, compiendo 'un passo indietro' nell'evoluzione! Questo Solanum selvatico ha attirato l'attenzione di un gruppo di ricercatori dell'Università della California-Riverside, impegnati in uno studio sugli alcaloidi, composti naturali che agiscono come pesticidi biologici. Durante le analisi, qualcosa non tornava: i campioni provenienti dalle isole più giovani, a ovest dell'arcipelago, producevano sostanze chimiche che non si riscontravano nei pomodori moderni da milioni di anni.

Confrontando questi esemplari con quelli delle isole più antiche, gli scienziati hanno scoperto che le piante orientali avevano un sistema di difesa 'attuale', mentre quelle occidentali sembravano essere tornate ad uno stadio primitivo. "Non è molto comune osservare un caso di evoluzione inversa", ha spiegato Adam Jozwiak, biochimico molecolare e coautore dello studio pubblicato su Nature Communications. "Forse le condizioni ambientali hanno spinto questi pomodori a tornare indietro. La natura è più flessibile di quanto pensassimo: non tutto procede in avanti".

Analizzando oltre trenta campioni di Solanum Pennellii, i ricercatori hanno trovato un'impronta molecolare simile a quella delle melanzane, parenti strette nella grande famiglia delle Solanacee. I pomodori moderni avevano smesso di produrre quegli alcaloidi tossici, ma Solanum pennellii li ha in qualche modo riattivati. L'origine del fenomeno potrebbe essere legata alla geologia delle isole: le più giovani, nate dal vulcanismo meno di mezzo milione di anni fa, sono povere di suolo e di nutrienti. In un ambiente tanto ostile, la pianta avrebbe forse riscoperto antiche difese per sopravvivere. Un piccolo "esperimento naturale" che ribalta una convinzione radicata nella biologia: la cosiddetta Legge di Dollo, secondo cui un tratto perduto non può ricomparire identico.

Anche il biologo evoluzionista Eric Haag, operativo presso l'Università del Maryland, ha commentato che il caso "rappresenta una sfida interessante" alla legge darwiniana, anche se parlare di evoluzione al contrario resta fuorviante. "Dal momento che l'evoluzione non ha un obiettivo prestabilito, è problematico definirla in termini di avanti o indietro. Il cambiamento è semplicemente cambiamento", ha detto. Lo studio, oltre al valore simbolico di smentire in parte l'idea di un'evoluzione lineare, potrebbe avere implicazioni pratiche: capire come i geni ancestrali si riattivano, potrebbe aiutare a progettare colture più resistenti, ricavare pesticidi naturali o persino dei nuovi farmaci.

Cari amici, credo che questo caso di “ritorno al passato” possa essere motivo e stimolo per studi approfonditi, atti a ricavarne possibili benefici. Adam Jozwiak non nasconde la fascinazione di fronte al paradosso darwiniano: "L'evoluzione è sempre guidata dall'ambiente e dalla competizione. Forse i tratti che un tempo erano perfetti per sopravvivere, possono tornare utili quando le condizioni si ripetono". La natura, amici, è una immensa enciclopedia del sapere, di cui noi umani ancora conosciamo ben poco!

A domani.

Mario