martedì, novembre 25, 2025

LE CURIOSITÀ DEL NOSTRO CERVELLO. PERCHÈ, SPESSO, CI TROVIAMO IN DIFFICOLTÀ NEL RICORDARE NOMI, DATE, LUOGHI, ETC.?


Oristano 25 novembre 2025

Cari amici,

A chi di noi non è mai capitato di trovarsi in difficoltà nel non ricordare il nome di un amico, di non trovarci in tasca il cellulare e non ricordare dove lo avevamo appoggiato, oppure di entrare in una stanza e non ricordarne il motivo per cui ci eravamo lì diretti, o addirittura dove avevamo parcheggiato l’auto, solo per citare i casi più frequenti? Sono situazioni curiose che capitano a chiunque e che, magari, ci fanno venire la seria preoccupazione che il nostro cervello stia andando il tilt.

In realtà non è proprio così, perché il motivo non è che il nostro cervello è andato in avaria, ma la ragione è alquanto più semplice, e, soprattutto non è il sintomo di un danno. Si, il cervello, che amministra molti miliardi di dati, lavora per “precedenze”, nel senso che da priorità alle cose più importanti, accantonando, in determinati momenti impegnativi, le cose semplici, che a noi appaiono  dimenticate. Spesso siamo fortemente impegnati nel nostro lavoro, e lo eseguiamo  in preda a stress e stanchezza, tutti fattori che sovraccaricano la nostra mente, facendole perdere quei dettagli ritenuti meno importanti, e che, invece, a noi appaiono come preoccupanti dimenticanze.

Il nostro cervello, vero super-computer, come accennato prima, tende a dare precedenza alle informazioni basilari, ritenute più rilevanti, lasciando in secondo piano dei dettagli, come nomi, luoghi o la posizione di oggetti che non sono emotivamente o contestualmente importanti in quel momento. A lasciare indietro certi “dettagli” contribuiscono anche fattori esterni, come le distrazioni create dai rumori, dall’operatività del cellulare, o dai troppi pensieri della nostra mente, rallentando così l'elaborazione e la memorizzazione di nuovi dati.

Si, una delle dimenticanze più comuni e quella relativa  ai nomi: questi per il nostro cervello sono spesso astratti e poco ricorrenti, il che li rende più difficili da tenere in memoria rispetto ad altre informazioni. Anche altre dimenticanze, come ricordare dove siamo diretti o dove abbiamo parcheggiato l’auto, oppure l’ora di un appuntamento, sono possibili: quando la mente è impegnata in elaborazioni ritenute più importanti, il resto può finire accantonato, facendoci pensare che la nostra mente lo abbia dimenticato.

Amici, ciascuno di noi può aiutare la propria mente a svolgere il suo lavoro al meglio, cercando di non crearle troppo sovraccarico. Evitiamo, nei limiti del possibile, di accumulare stress e stanchezza, in quanto si riducono le funzioni cognitive, tra cui l'attenzione e la memoria. Lo stress cronico può portare a uno stato di "nebbia mentale" che peggiora la capacità di ricordare i dettagli quotidiani. Un aiuto alla nostra memoria lo possiamo dare se ci concentriamo attivamente su ciò che stiamo facendo o dicendo. Per evitare il sovraccarico, quando è possibile, riduciamo le distrazioni e cerchiamo di non avere troppi pensieri in testa quando dobbiamo memorizzare qualcosa di importante.

Amici, ecco un breve elenco delle cose che “dimentichiamo” più spesso. Oltre i nomi delle persone ci sono le PASSWORD! Ognuno di noi ha una password importante che di norma riesce a ricordare. Tuttavia, quando il sito ci chiede di aggiungere una lettera maiuscola, un numero e qualche carattere speciale, tutto inizia ad andare storto. A quel punto dobbiamo rispondere a una domanda memorabile, e probabilmente non riusciamo a ricordare nemmeno quella!

Un ultimo esempio. Quando usciamo di casa a fare la spesa, abbiamo in mente un bell’elenco di cose da comprare. Una volta al supermercato, di quell’elenco resta poco o niente e si torma a casa con un sacco di cose di cui non si aveva bisogno, e solo aprendo il frigorifero o la dispensa ci si rende conto di non aver preso ciò che realmente ci serviva! Un’altra dimenticanza importante è quella delle medicine da prendere. A tavola, seduti a mangiare spesso ci chiediamo ho preso le medicine?  Spesso non lo ricordiamo!

Cari amici, potrei citare molte altre cose che spesso “dimentichiamo”, ma l’elenco diventerebbe troppo lungo e Voi lettori Vi annoiereste alla grande! Non ricordare queste cose non troppo importanti non è un danno così grave, ma se aiutiamo il nostro cervello anche questo elenco si ridurrebbe!

A domani.

Mario

lunedì, novembre 24, 2025

L'AMAZZONIA E LA CURA DELLE “API MELIPONINE”. L'INTERVENTO AIUTA A PRESERVARE LA BIODIVERSITÀ DEL PIANETA, E ANCHE A DARE UNA MANO ALLA POVERTÀ DELLE POPOLAZIONI LOCALI.


Oristano novembre 2025

Cari amici,

Le MELIPONINE sono una specie di api tropicali, presenti in diversi Continenti (esclusa l’Europa e l’Antartide). Come le altre specie di api, i bombi ed gli Euglossini (le scintillanti api delle orchidee), le Meliponine sono dotate di un “raccoglitore”, chiamato anche corbicula, posto tra le zampette posteriori, che viene utilizzato per raccogliere il polline. Però, diversamente dalle altre api e dai bombi, le Meliponine presentano un pungiglione talmente ridotto da non essere funzionale ed è questa la ragione per cui vengono chiamate “api senza pungiglione”.

Pur non potendo pungere, però, le Meliponine hanno comunque sviluppato altre forme di difesa: sono dotate di possenti mandibole, emanano odori sgradevoli, utilizzano dei materiali appiccicosi per immobilizzare i loro nemici, oltre a produrre delle secrezioni caustiche, come nel caso delle api del genere Oxytrigona, chiamate per tale ragione api di fuoco. Alquanto diffuse, le Meliponine, contano ben 605 specie diverse, e rappresentano il 70% delle api sociali. Comparse nel tardo Cretaceo, attorno a 70 milioni di anni fa, sono le prime api sociali sulla terra, tanto che hanno convissuto con i dinosauri per milioni di anni, anticipando di molto l’apparizione sulla scena delle Apis mellifera, avvenuta solo 7 milioni di anni fa.

Alquanto presenti in Amazzonia, le api Meliponine svolgono un ruolo decisivo negli ecosistemi dell’America Latina. Non avendo il pungiglione, sono meno aggressive rispetto ad altre specie e si adattano meglio agli ambienti locali. Il loro compito di insetti impollinatori giova sia alla biodiversità che alla produttività agricola. La loro presenza aumenta quindi la quantità e la qualità dei frutti nei campi, e contribuisce direttamente alla sicurezza alimentare. Da ciò ne deriva che l’allevamento e la cura di queste api, attività nota come MELIPONICOLTURA, non solo protegge le specie a rischio, ma apre anche opportunità di sviluppo locale che salvaguardano il capitale naturale. Ecco un grande esempio che, oltre che preservare la biodiversità, riesce a combattere anche la povertà.

Nella provincia amazzonica dell’Ecuador, Jefferson e sua moglie Aide gestiscono l’Ospedale delle api senza pungiglione (HASA). In questo luogo salvano specie autoctone di api minacciate dal disboscamento, e sono fieri di essere riusciti a salvare più di 100 colonie di 17 specie diverse. Ogni colonia viene affidata a una famiglia che si impegna a prendersene cura. Finora, più di 200 famiglie hanno unito i loro sforzi per mantenere queste api, affermano essi con orgoglio.

Amici, l’encomiabile compito, però, va ben oltre il salvataggio di queste api. Il gruppo guidato da questa coppia promuove e incentiva la semina di piante autoctone, in modo da poter garantire il cibo alle colonie di api. In cambio queste api producono un ottimo miele, apprezzato per le sue eccellenti proprietà antifungine e antiossidanti. “Non ci prendiamo cura solo delle api, ma anche delle famiglie che collaborano a questo encomiabile lavoro”, ha spiegato Jefferson per descrivere lo spirito del lavoro concepito e portato avanti con la moglie Aide.

L’esperienza della Meliponicoltura in Amazzonia, portata avanti da Jefferson,  risponde a una strategia ideata da World Vision, un’organizzazione che si occupa della protezione dell’infanzia. Quest’Ente cerca di rompere il ciclo della povertà rurale attraverso mezzi di sussistenza sostenibili. “Il nostro intervento in Amazzonia va oltre l’assistenza, rafforzando le capacità delle comunità con soluzioni radicate nella loro cultura e nel loro ambiente”, ha affermato Esteban Lasso, direttore nazionale di World Vision Ecuador.

Cari amici, come afferma con convinzione Esteban Lasso, nelle diverse interviste rilasciate, "La Meliponicoltura è un esempio perfetto: è tecnicamente fattibile, economicamente redditizia, culturalmente appropriata e ambientalmente sostenibile. Affronta direttamente l’insicurezza alimentare, garantendo ai bambini l’accesso a nutrienti di alta qualità, generando nel contempo reddito per le loro famiglie, che investe direttamente nel loro benessere e nel loro futuro”. Preservare l’Amazzonia, in realtà, è un grande, coraggioso atto di salvezza per tutto il pianeta!

A domani, amici lettori!

Mario

domenica, novembre 23, 2025

ARRIVA, FINALMENTE, LA NORMATIVA PER CERCARE DI BLOCCARE IL TELEMARKETING AGGRESSIVO. ADOTTATO IL PREFISSO UNICO NAZIONALE.


Oristano 23 novembre 2025

Cari amici,

Finalmente è stata presa una decisione per cercare di fermare il “TELEMARKETING E TELESELLING AGGRESSIVO”! Era tempo che arrivasse! Si, il telemarketing, oramai praticato in gran parte in maniera illegale, attraverso l’utilizzo di un numero telefonico inesistente e non registrato, per impedirne l’identificazione, ha superato ogni limite. Che dire poi del teleselling, che continua con le frodi perpetrate utilizzando un numero telefonico modificato in modo da presentarsi all’utente chiamato come un soggetto pubblico (ad es., Forze dell’ordine) o privato (ad es., una banca).

Il provvedimento ora deciso ha previsto, tra l'altro, anche il blocco delle chiamate provenienti dall’estero verso l’Italia, numeri che espongano un identificativo del chiamante corrispondente, in modo illegittimo, ad un numero italiano. La nuova normativa prevede, pertanto, in capo agli operatori nazionali che ricevono chiamate consegnate da operatori esteri, l’obbligo di bloccare e non terminare in Italia le chiamate con numero fisso italiano e quelle con numero mobile italiano, a meno che l’utente non sia effettivamente in roaming all’estero.

Relativamente al crescente e sempre più aggressivo telemarketing, oramai diventato un vera e propria tortura, dopo lo stop già imposto dall'AGCOM alle false numerazione nazionali fisse e mobili, arriva, finalmente, un provvedimento che prevede l'introduzione di un "PREFISSO NUMERICO UNICO NAZIONALE", che i call center dovranno adottare per le telefonate che avranno finalità "pubblicitaria, promozionale o di vendita diretta". Un numero "riconoscibile e richiamabile" che verrà definito dall'autorità garante delle comunicazioni. Il prefisso,  come indica il provvedimento, sarà obbligatorio, in quanto la norma introduce "il divieto di effettuare comunicazioni promozionali o commerciali utilizzando numerazioni prive del prefisso unico o numerazioni non riconducibili a soggetti registrati nel Registro degli operatori di comunicazione o nel Registro pubblico delle opposizioni".

Questo provvedimento, è stato inserito nella proposta di modifica alla legge di Bilancio in corso, e prevede che sia appunto l'Agcom a definire, con proprio regolamento, "la struttura del prefisso numerico unico nazionale; le modalità tecniche di assegnazione e utilizzo; le sanzioni amministrative per l’inosservanza degli obblighi". L’utilizzo di numerazioni diverse da quelle conformi al prefisso unico nazionale, viene previsto infine dall'emendamento, "è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 500.000, nonché con la sospensione temporanea dell’attività di telemarketing fino alla regolarizzazione della posizione".

In realtà, amici, secondo i consumatori, nonostante l’introduzione del nuovo blocco "le chiamate indesiderate diminuiranno ma non scompariranno totalmente, in quanto continueranno ad operare dei call center illegali, che di certo adotteranno tecnologiche contromisure sempre più sofisticate, capaci di aggirare i blocchi e i divieti stabiliti per colpire gli utenti". Il Telemarketing, secondo l’AGCOM, è diventato davvero insostenibile, sempre più aggressivo e invadente, ci basti guardare i dati rilevati all’11 settembre scorso. dall'Agcom.

Secondo questi dati erano state rilevate circa 43 milioni le chiamate filtrate, con una media di 1,3 milioni di telefonate al giorno. L'autorità l'aveva definita "cifra considerevole", considerato che rappresentava circa il 5,47% del totale delle chiamate ricevute dagli italiani nel periodo preso in esame. Il tasso di spoofing, aveva comunque rimarcato l'Agcom, "in un primo periodo aveva raggiunto soglie del 60%". L'autorità, nel pubblicare i dati, aveva messo anche in guardia dall’evoluzione "più probabile del fenomeno", ovvero "lo spostamento verso i CLI (Calling Line IDentifier) mobili italiani o verso i CLI internazionali di Paesi terzi".

Cari amici, come ha spiegato il CODACONS, con il nuovo “SCUDO ANTI-SPOOFING” è possibile che la situazione possa migliorare, ma di certo una protezione totale, completa sarà davvero impossibile. Oramai  la tecnologia fa ogni giorno passi da gigante, e trovato un sistema di blocco, ne è già nato un altro, e il risultato sarà che i nostri telefoni continueranno ad essere tempestati di chiamate per venderci anche aria fritta!

A domani.

Mario

sabato, novembre 22, 2025

I MAYA E IL GRANDE MISTERO DELLA LORO SCOMPARSA. RECENTI RICERCHE SOSTENGONO CHE LA COLPA È DA ATTRIBUIRE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI.


Oristano 22 novembre 2025

Cari amici,

La terra su cui viviamo, vecchia di milioni di anni, nel corso della sua esistenza ha avuto non pochi cambiamenti climatici. Anche nel lontano passato, si sono alternati cicli naturali di riscaldamento e raffreddamento, con notevoli variazioni di clima. Ciò dimostra che i “CAMBIAMENTI CLIMATICI” si ripetono nel tempo. Si, anche quelli di oggi, che sono fonte di grande preoccupazione, stanno modificando in modo pericoloso l’equilibrio prima esistente. Il cambiamento in corso, però, a detta degli esperti, si sta verificando ad una velocità senza precedenti, con l'aumento delle temperature globali e la concentrazione di gas serra ai massimi livelli degli ultimi due milioni di anni, principalmente a causa delle attività umane.

In passato, così affermano gli studiosi, intere civiltà scomparvero dalla faccia della terra proprio a causa delle forti variazioni climatiche, incompatibili per il proseguimento della vita nei luoghi fortemente colpiti dai cambiamenti, con allagamenti, desertificazioni e altri cambiamenti insopportabili. Una delle grandi civiltà che nel passato scomparve, per esempio, fu quella del popolo dei “MAYA”, e le cause della loro scomparsa non sono mai state chiarite con certezza, anche se, quasi sempre, le cause possono essere attribuite ai cambiamenti climatici.

Focalizzando l’attenzione sui “MAYA”, un nuovo studio, pubblicato su Science Advances da un gruppo di ricercatori statunitensi, messicani e britannici, guidati dall’University of Cambridge, relativamente alla loro scomparsa, rilancia con forza un’ipotesi già discussa negli anni ’90, ovvero che la causa principale che li fece scomparire sia proprio da attribuire ai cambiamenti climatici avvenuti in quel periodo. Quali le prove rinvenute dai ricercatori? Quelle trovate nascoste nelle stalagmiti presenti sul fondo di un’antica grotta messicana.

Amici, capire le motivazioni della fine della civiltà Maya, una delle più raffinate e potenti del mondo antico, avvenuta fra l’871 e il 1021 d.C., è uno dei quesiti che per lungo tempo hanno tormentato gli studiosi. Essi si sono a lungo domandati: perché gli abitanti smisero improvvisamente di costruire i loro magnifici monumenti? E perché le grandi città-stato disseminate nello Yucatán e nel Guatemala furono progressivamente abbandonate, portando a un drastico calo della popolazione?

Lo studio prima menzionato, pubblicato il 13 agosto su Science Advances, rilancia con forza proprio l’ipotesi prima citata: che fu un importante “shock climatico" a portare al collasso di quella grande civiltà. Oggi, infatti, si dà per certo, in base ai ritrovamenti prima evidenziati, che a distruggere la civiltà dei Maya furono proprio i terribili cambiamenti climatici, con l’arrivo di siccità prolungate, ripetute e devastanti, che prima misero in difficoltà la popolazione, fino ad infliggere il colpo di grazia che li fece quasi scomparire.

Il gruppo di ricerca e studio, coordinato dal paleoclimatologo Daniel H. James del Godwin Laboratory di Cambridge, per arrivare a questa certezza, ha esplorato meticolosamente le GRUTAS TZABNAH, le antichissime grotte nella penisola messicana dello Yucatán, poco distanti da importanti siti Maya come Chichén Itzá. Qui, nascosto nelle viscere della roccia, hanno trovato uno straordinario archivio naturale del clima passato: una stalagmite che ha conservato, strato dopo strato, le tracce chimiche delle precipitazioni di secoli fa.

È noto che una stalagmite si forma quando l’acqua che gocciola dal soffitto di una grotta deposita sul pavimento i minerali in essa disciolti; lentamente ma inesorabilmente, con il passare dei secoli, i minerali contenuti si accumulano, fino a formare grandi strutture che s’innalzano dal basso verso l’alto, al contrario delle stalattiti che pendono dalla volta delle grotte. Analizzando la stalagmite catalogata come Tzab06-1, gli scienziati hanno scoperto delle vere e proprie “cicatrici chimiche” lasciate dalle siccità. Al completamento dei minuziosi studi, i dati analizzati dai ricercatori hanno evidenziato con chiarezza che in meno di due secoli si erano verificati almeno otto periodi di siccità estrema, ciascuno durato oltre 3 anni, con quello più lungo durato addirittura 13 anni! Per i Maya fu una catastrofe! Per essi, dipendenti da complessi sistemi idrici artificiali e da un’agricoltura strettamente legata al ciclo delle piogge, questa sequenza eccezionalmente negativa fu un disastro. La scarsità dei raccolti provocò carestie, malnutrizione, conflitti interni e guerre per il controllo delle risorse residue, sconvolgendo pesantemente la struttura sociale.

In una carestia così accentuata, con il popolo che era in costante conflitto, le potenti élite religiose e politiche, che fondavano il loro prestigio sulla capacità di garantire ordine e prosperità, iniziarono a perdere credibilità e potenza. La popolazione era arrivata oramai allo stremo, mentre il commercio si disgregava. Dopo una iniziale resistenza, alla fine, con il popolo oramai alla fame, privato anche del minimo sostentamento  e in presenza di una inesistente coesione sociale, le grandi città vennero progressivamente abbandonate.

Cari amici, i MAYA, una volta abbandonate le grandi città, cercarono nuova vita spostandosi altrove per sopravvivere. Fu un lento sgretolamento della loro civiltà. La mancanza di una valida soluzione agricola, oltre a quella di stabilità sociale ed economica, portò, nel giro di pochi decenni, all'abbandono quasi totale delle grandi città Maya tra il IX e il X secolo. Seppure non fu un'estinzione totale, la civiltà Maya subì un forte, triste declino; i superstiti cercarono di salvare la loro cultura trasferendosi in  altre aree, in particolare nella penisola dello Yucatan. Ma era ben poco, rispetto al loro grande passato!

A domani.

Mario

venerdì, novembre 21, 2025

ALBERI FRUTTIFERI ANTICHI E LONGEVI: IL PISTACCHIO. MOLTO DIFFUSO IN SICILIA, È NOTO COME “L’ORO VERDE DI SICILIA”.


Oristano 21 novembre 2025

Cari amici.

Il PISTACCHIO dal greco Pistàkion è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae e del genere Pistacia. E' una pianta originaria del bacino del Mediterraneo, e le prime coltivazioni risultano effettuate in Persia, in Siria e nell'India, dove il frutto era chiamato in modi differenti: pistakia, bistachion e pistakion. Albero antichissimo, lo troviamo menzionato addirittura nell’Antico Testamento. Il Pistacchio è un albero maestoso, che può raggiungere un’altezza anche di 11-12 metri; è alquanto longevo, tanto che alcuni alberi possono arrivare a vivere anche 200 anni.

Come altri alberi in natura, il pistacchio è una pianta dioica, nel senso che, per produrre frutti, sono necessarie sia la pianta maschile che femminile. Il frutto di questa pianta è una drupa con un endocarpo ovale, con il guscio sottile e duro contenente il seme, chiamato anch’esso pistacchio. Sotto la robusta buccia violacea il seme è di un colore verde vivo. Ben acclimatata in Italia, la pianta del pistacchio è coltivata in modo eccellente in Sicilia, dove pare sia arrivata portata dagli arabi. La raccolta dei frutti viene effettua solitamente ogni due anni, tra la fine di agosto e l'inizio di settembre, in quanto il ciclo produttivo della pianta è biennale.

La zona ideale per la coltivazione di questa pianta è quella posta alle pendici dell’Etna, in particolare il territorio di Bronte, dove ha trovato eccellenti condizioni ambientali per crescere. Nella nostra isola maggiore il pistacchio, che da tempo ha “conquistato” anche i mercati europei, è più noto come “’Oro Verde di Sicilia”, in quanto le richieste sono addirittura superiori alla produzione. Quello di Bronte, come prima accennato, è il più richiesto per la sua bontà, in quanto cresciuto in un terreno ideale, concimato in modo naturale dalle ceneri del vicino vulcano, l’Etna, che ne favorisce la qualità.

Amici, BRONTE, centro in Provincia di Catania, è ormai da anni città così rinominata da essere definita “la città del pistacchio”. Questi semi, così graditi e ricercati, si presentano con sfumature violacee all’esterno e un caratteristico colore verde smeraldo all’interno. È facile riconoscerli i pistacchi di Bronte, rispetto a quelli coltivati in altre zone, perché si differenziano per il loro gusto dolciastro, oltre che per il loro particolare aspetto. Ecco le altre zone italiane dove esistono altre importanti coltivazioni; sono soprattutto nel Meridione: rinomati sono anche i pistacchi di Adrano, sempre sulle pendici dell'Etna, quelli di Raffadali, e i pistacchi di Stigliano, in provincia di Matera, la cui produzione è tra le più vaste a livello europeo.

I Pistacchi si raccolgono rigorosamente a mano: vengono scossi i rami, facendo cadere le drupe su dei teli posti a terra. Una volta raccolto, il pistacchio viene prima fatto asciugare, poi bisogna togliere il mallo che ricopre il guscio legnoso, infine si fa seccare per consentire la conservazione per un lungo periodo a cui segue la vendita. I pistacchi vengono utilizzati sia sgusciati sia pelati, spesso tostati e salati. L’uso è alquanto ampio: dalla pasticceria, alla preparazione dei gelati, dalle creme alle bevande, e, non ultimo, l’utilizzo per la produzione di salumi, o come condimento per primi e secondi piatti. Quanto alla composizione e ai valori nutrizionali, i pistacchi sono formato per il 55-60% da lipidi, per il 18-22% da proteine e per il 4-6% da carboidrati. Contengono anche sali minerali e molte vitamine.

L'Italia è oggi un grande produttore di Pistacchi: è passata da una produzione di 2.400 tonnellate nel 2005 a 2.850 tonnellate del 2012, diventando il settimo produttore al mondo. Il prezzo del pistacchio viaggia su prezzi alti nel mercato: si aggira tra i 30 e i 50 euro al chilo all’ingrosso, per arrivare a 100 euro al dettaglio. Da questo si evince il perché della denominazione “oro verde di Sicilia”. In un anno di buona produzione si raccolgono dai 4 ai 4,5 milioni di pistacchi. Sono quasi 4 mila gli ettari di terra occupati dai pistacchieti.

Cari amici, secondo studi scientifici consumare con moderazione i pistacchi fa bene alla salute. Alcune molecole presenti nel pistacchio aiutano a proteggere la salute cardiovascolare, possono risultare utili contro l’ipercolesterolemia e anche per ridurre le infiammazioni. Altre ricerche hanno associato ai pistacchi benefici in termini di controllo del peso e del livello di zuccheri nel sangue. Infine, questi semi sono ideali come spuntino dopo lo sport; i loro nutrienti aiutano infatti a soddisfare i fabbisogni dell’organismo dopo l’attività fisica. E allora, amici lettori, “viva il pistacchio”, ma consumato con moderazione!

A domani.

Mario

giovedì, novembre 20, 2025

“TENIAMO ACCESA LA MENTE NON IL CELLULARE”. LA POSITIVA RIFLESSIONE DEL CELEBRE PSICHIATRA VITTORIO ANDREOLI, NEL SUO RECENTE LIBRO “CIASCUN UOMO PUÒ CAMBIARE”.


Oristano 20 novembre 2025

Cari amici,

Viviamo in un'era ipertecnologica, nella quale, in particolare il cellulare, sta sempre più fagocitando la nostra mente, diventandone in buona parte il sostituto. Ciò, in realtà, sta pericolosamente aumentando la  dipendenza da questo strumento tecnologico, arrivando a compromettere seriamente l’utilizzo delle nostre capacità mentali. L’abitudine a ricorrere al nostro smartphone aumenta giorno dopo giorno, e, in apparenza, ci gratifica, liberandoci dallo sforzo di impegnare la nostra mente nelle diverse ricerche. Si, lo smartphone è progettato proprio per essere accattivante e, in un certo senso, risultando soddisfacente.

Il nostro smartphone ci accompagna notte e giorno. Ogni notifica, ogni "mi piace" su un post, ogni messaggio ricevuto, innescano nel nostro cervello una piccola scarica di dopamina, il neurotrasmettitore associato al piacere e alla gratificazione. Questo meccanismo di ricompensa intermittente ci spinge a controllare continuamente il telefono, creando un circolo vizioso che può facilmente sfociare in una vera e propria dipendenza. Le conseguenze, però, non sono di poco conto: alimentano il circolo vizioso della dopamina, mettendo a rischio la nostra salute mentale.

I primi, pericolosi sintomi sono l’ansia e stress. La costante necessità di essere online e di non perdersi nulla (la famosa FOMO, Fear Of Missing Out) innesca il circuito che ci crea ansia. L'idea di non avere il telefono a portata di mano, o di non poter rispondere immediatamente a un messaggio, può provocare uno stato di stress continuo. Che dire, poi, della nostra capacità di concentrazione: la nostra attenzione, frammentata dalle continue notifiche, diventa meno profonda. L'abitudine a passare rapidamente da un'app all'altra riduce la nostra capacità di concentrazione su un singolo compito per lunghi periodi, con un impatto negativo sulla produttività e sull'apprendimento.

Il celebre psichiatra VITTORINO ANDREOLI, nel suo nuovo libro “Ciascun uomo può cambiare. Breviario per riscoprire la nostra civiltà (edizioni Solferino)”, lancia un appello urgente e visionario: recuperare i principi fondanti dell’umanesimo per non perdere l’anima della nostra civiltà. Il suo è un dialogo intimo sul cambiamento, la bellezza, la rabbia collettiva e il potere della fragilità: «Il cervello va tenuto acceso, non in tasca. È il cellulare che va messo via. La mente deve tornare a essere il centro dell’esistenza». Andreoli, da buon psichiatra, sottolinea che il nostro straordinario cervello, non può e non deve essere trascurato, messo da parte dall'uso continuo e smodato dello smartphone; bisogna riportare la mente al centro dell'esistenza, invece di delegare le funzioni a questo tecnologico dispositivo.

Amici, nel libro Andreoli avverte che LO SMARTPHONE, erede del cellulare, rischia seriamente di sostituire il nostro cervello, trasformandolo in uno strumento che memorizza e calcola, ma non produce pensieri originali o sentimenti complessi. Iniziare la giornata con  l'uso dello smartphone, ad esempio appena svegli, può sommergere il cervello con troppe informazioni banali o stressanti, generando ansia e tecnostress. La sua presenza costante ci disconnette dal mondo: Si rischia di vivere un'esperienza superficiale, basata sulle emozioni mediate dal digitale, facendoci perdere la capacità di creare legami affettivi profondi, ovvero i "sentimenti", che richiedono un cervello che elabora e non solo reagisce agli stimoli.

Se, invece, riprendiamo ad utilizzare seriamente il nostro cervello, ne ricaveremo grandi benefici: inizieremo a riscoprire e coltivare le sue grandi capacità, attraverso la riflessione, l'interazione e l'attività intellettuale, piuttosto che continuare ad affidarci alla passività di un dispositivo elettronico pieno di notizie ma di certo senz’anima. I principi su cui poggia la nostra identità umana (giustizia, bellezza, senso del limite, rispetto della vita), con l’uso smodato della tecnologia stanno scomparendo. E con essi, il nostro futuro.

Cari amici, il libro di Vittorino Andreoli prima citato, è, anche a mio avviso, un’analisi profondamente umana, non solo un saggio psicologico; insomma, è una vera liturgia dell’esistenza: un percorso quotidiano per invitare a riconnetterci con le radici dell’umanesimo, ritrovare orientamento, rieducarci, utilizzando sempre il nostro immenso, inimitabile cervello, vera forza della nostra vita! Scrive Andreoli nel libro: «L’idea è che ciascun uomo può cambiare, davvero. E che la civiltà, se la vogliamo, può ancora rinascere. Ma dobbiamo tornare a prenderci cura del pensiero, della parola, della relazione. Siamo nati per essere grandi. Non c’è scritto da nessuna parte che dobbiamo rimpicciolirci. Basta davvero poco: una scintilla, una lettura, un gesto. È da lì che si comincia. Sempre». Parole sante, amici lettori!

A domani.

Mario