giovedì, novembre 27, 2025

L'ANTICO SIGNIFICATO DELL'INDOSSARE “L'ANELLO AL POLLICE”. UN’USANZA DAI MOLTEPLICI SIGNIFICATI.


Oristano 27 novembre 2025

Cari amici,

Oggi vedere in giro ragazzi e ragazze che portano un anello infilato nel pollice è diventata quasi una normalità, anche se questa moda, fino a mezzo secolo fa, era una vera e propria eccezione. Gli anelli, come ben sappiamo, sono presenti generalmente nel medio o nell’anulare, anche se capita di vedere tutte le dita della mano riempite di anelli! Ad essere indossato nel pollice è di solito un anello di metallo grigio, sovente d’argento, presente più spesso al pollice della mano sinistra, ma anche in quella destra.

Al giorno d’oggi gli anelli al pollice sono indossati sia dai ragazzi che dalle ragazze, e viene da chiedersi come possa essersi diffusa questa consuetudine, essendo noto che, fino a qualche lustro fa, era una moda alquanto rara. Se, però, torniamo indietro nel tempo, scopriamo che “indossare un anello al pollice” in passato non è proprio una novità! Era questa un’usanza abbastanza in auge negli alti ranghi sociali. Gli studi archeologici, infatti, hanno dimostrato che in molte civiltà, principalmente in quella greca e in quella egizia (ma anche in quella orientale), il dito pollice risultava inanellato già millenni fa.

Nell’antico Egitto, per esempio, i Faraoni e gli alti funzionari indossavano anelli al pollice come simbolo di autorità, potere e ricchezza. Nell’antica Grecia, invece, il pollice era associato alla virilità, alla forza e alla dignità. L’anello, inoltre, in diverse civiltà, era utilizzato come sigillo: usato per marchiare e sigillare documenti importanti. Indossare un anello su questo dito era simbolo di potenza, o anche di possedere una personalità tenace e sicura. In alcune culture l'anello al pollice aveva, addirittura, una funzione protettiva: gli arcieri, ad esempio, lo indossavano per evitare ferite causate dalla corda del loro arco.

Col passare dei secoli, l’utilizzo dell’anello nel pollice in gran parte abbandonò la vecchia funzione, allontanandosi dall’antico uso, per rivestire, invece, dei panni simbolici. Nella storia occidentale moderna, in particolare nel XIX secolo, le donne impegnate nel movimento femminista lo indossavano come atto di sfida ai codici patriarcali, quei codici presenti e associati ai legami, come quelli del fidanzamento e del matrimonio (le fedi nuziali). Questo piccolo gioiello indossato dalle femministe, era diventato, quindi, un gesto di sfida, un riappropriarsi di una libertà a lungo desiderata, un tempo alquanto vincolata dai matrimoni più imposti che liberi.

Amici, nel contesto moderno, l’anello usato nel pollice assomma diversi significati simbolici. Un primo significato è quello indicante la “Personalità”: chi porta l'anello al pollice è spesso visto come una persona sicura di sé, assertiva e con una forte personalità. Può significare anche “Dominanza” e audacia: Il pollice è visto come un dito di potere (come lo era in passato); simbolicamente, dunque, l'anello può essere un modo, per chi lo porta, di affermare la propria autorità e indipendenza. Infine, un anello al pollice destro può evidenziare, talvolta, anche un soggetto alquanto vanesio, con un forte gusto estetico. Infine, può simboleggiare anche astuzia e acume.

In realtà, amici lettori, non possiamo dimenticare che il pollice, a differenza delle altre dita, è opponibile: ciò consente di afferrare, manipolare e creare! Per questo, nel simbolismo corporeo, questo dito incarna la forza, la volontà e la capacità di agire. Per esempio, alzare il pollice è da sempre un gesto associato all'approvazione e al successo; al contrario, abbassarlo evoca condanna. Mettere l’anello nel pollice, dunque, è una scelta tutt'altro che banale. E forse è per questa ragione che indossarlo diventa un atto di affermazione: "Sono libero, ho il potere di scegliere”.

Cari amici, fin dai tempi più remoti l’anello è stato un grande strumento sociale: come la cintura, è un segno di alleanza, di legame, un segno di appartenenza ad un gruppo, ad una Comunità, oppure a un dio. L’anello veicola il segno di appartenenza, come lo è nello scambio degli anelli matrimoniali, così come per i cristiani sta a simboleggiare la fede, la fedeltà a Dio. L’anello, amici lettori, è veramente un simbolo straordinario, che nel corso dei secoli e dei millenni, continua a rappresentare un forte legame familiare e sociale.

A domani, amici lettori.

Mario

mercoledì, novembre 26, 2025

LE MERAVIGLIE DELLA NATURA. ALLE GALAPAGOS I POMODORI SFIDANO LA LEGGE DELL'EVOLUZIONE DI DARWIN. LO STRANO CASO DI UN’INVOLUZIONE, CON IL RITORNO AL PASSATO.


Oristano 26 novembre 2025

Cari amici,

Credo che praticamente tutti, ormai, conosciamo “LA TEORIA DELL’EVOLUZIONE”, che Charles Darwin presentò alla Linnean Society nel 1858, esponendo i meccanismi alla base della mutazione casuale e selezione naturale. Secondo la teoria darwiniana (una teoria evoluzionistica sviluppata insieme ad altri autori), tutte le specie viventi derivano dalla selezione naturale di piccole caratteristiche ereditate, le quali, per sopravvivere e riprodursi, incrementano le proprie abilità e capacità.

Ebbene, l’evoluzione è nata, dunque, per la sopravvivenza, proseguendo gradatamente nel cambiamento, ovvero spingendo sempre in avanti la selezione; tuttavia, a quanto pare, alla regola può capitare, però, di vedere l'eccezione. Ecco un esempio. Di recente, su alcune isole dell’arcipelago delle Galapagos (proprio quelle dove Darwin studiò l’evoluzione) la specie selvatica di pomodoro (il Solanum Pennellii) ha invertito il processo di selezione, riattivando un lontano meccanismo di difesa primitivo. Anche se non si parla di una vera e propria regressione, questo “ritorno al passato” ha meravigliato non poco gli scienziati.

Si, amici, in quelle isole Galapagos, dove Darwin intuì il meccanismo della selezione naturale quasi due secoli fa, un piccolo pomodoro selvatico sembra aver riavvolto il nastro della propria storia genetica, compiendo 'un passo indietro' nell'evoluzione! Questo Solanum selvatico ha attirato l'attenzione di un gruppo di ricercatori dell'Università della California-Riverside, impegnati in uno studio sugli alcaloidi, composti naturali che agiscono come pesticidi biologici. Durante le analisi, qualcosa non tornava: i campioni provenienti dalle isole più giovani, a ovest dell'arcipelago, producevano sostanze chimiche che non si riscontravano nei pomodori moderni da milioni di anni.

Confrontando questi esemplari con quelli delle isole più antiche, gli scienziati hanno scoperto che le piante orientali avevano un sistema di difesa 'attuale', mentre quelle occidentali sembravano essere tornate ad uno stadio primitivo. "Non è molto comune osservare un caso di evoluzione inversa", ha spiegato Adam Jozwiak, biochimico molecolare e coautore dello studio pubblicato su Nature Communications. "Forse le condizioni ambientali hanno spinto questi pomodori a tornare indietro. La natura è più flessibile di quanto pensassimo: non tutto procede in avanti".

Analizzando oltre trenta campioni di Solanum Pennellii, i ricercatori hanno trovato un'impronta molecolare simile a quella delle melanzane, parenti strette nella grande famiglia delle Solanacee. I pomodori moderni avevano smesso di produrre quegli alcaloidi tossici, ma Solanum pennellii li ha in qualche modo riattivati. L'origine del fenomeno potrebbe essere legata alla geologia delle isole: le più giovani, nate dal vulcanismo meno di mezzo milione di anni fa, sono povere di suolo e di nutrienti. In un ambiente tanto ostile, la pianta avrebbe forse riscoperto antiche difese per sopravvivere. Un piccolo "esperimento naturale" che ribalta una convinzione radicata nella biologia: la cosiddetta Legge di Dollo, secondo cui un tratto perduto non può ricomparire identico.

Anche il biologo evoluzionista Eric Haag, operativo presso l'Università del Maryland, ha commentato che il caso "rappresenta una sfida interessante" alla legge darwiniana, anche se parlare di evoluzione al contrario resta fuorviante. "Dal momento che l'evoluzione non ha un obiettivo prestabilito, è problematico definirla in termini di avanti o indietro. Il cambiamento è semplicemente cambiamento", ha detto. Lo studio, oltre al valore simbolico di smentire in parte l'idea di un'evoluzione lineare, potrebbe avere implicazioni pratiche: capire come i geni ancestrali si riattivano, potrebbe aiutare a progettare colture più resistenti, ricavare pesticidi naturali o persino dei nuovi farmaci.

Cari amici, credo che questo caso di “ritorno al passato” possa essere motivo e stimolo per studi approfonditi, atti a ricavarne possibili benefici. Adam Jozwiak non nasconde la fascinazione di fronte al paradosso darwiniano: "L'evoluzione è sempre guidata dall'ambiente e dalla competizione. Forse i tratti che un tempo erano perfetti per sopravvivere, possono tornare utili quando le condizioni si ripetono". La natura, amici, è una immensa enciclopedia del sapere, di cui noi umani ancora conosciamo ben poco!

A domani.

Mario

martedì, novembre 25, 2025

LE CURIOSITÀ DEL NOSTRO CERVELLO. PERCHÈ, SPESSO, CI TROVIAMO IN DIFFICOLTÀ NEL RICORDARE NOMI, DATE, LUOGHI, ETC.?


Oristano 25 novembre 2025

Cari amici,

A chi di noi non è mai capitato di trovarsi in difficoltà nel non ricordare il nome di un amico, di non trovarci in tasca il cellulare e non ricordare dove lo avevamo appoggiato, oppure di entrare in una stanza e non ricordarne il motivo per cui ci eravamo lì diretti, o addirittura dove avevamo parcheggiato l’auto, solo per citare i casi più frequenti? Sono situazioni curiose che capitano a chiunque e che, magari, ci fanno venire la seria preoccupazione che il nostro cervello stia andando il tilt.

In realtà non è proprio così, perché il motivo non è che il nostro cervello è andato in avaria, ma la ragione è alquanto più semplice, e, soprattutto non è il sintomo di un danno. Si, il cervello, che amministra molti miliardi di dati, lavora per “precedenze”, nel senso che da priorità alle cose più importanti, accantonando, in determinati momenti impegnativi, le cose semplici, che a noi appaiono  dimenticate. Spesso siamo fortemente impegnati nel nostro lavoro, e lo eseguiamo  in preda a stress e stanchezza, tutti fattori che sovraccaricano la nostra mente, facendole perdere quei dettagli ritenuti meno importanti, e che, invece, a noi appaiono come preoccupanti dimenticanze.

Il nostro cervello, vero super-computer, come accennato prima, tende a dare precedenza alle informazioni basilari, ritenute più rilevanti, lasciando in secondo piano dei dettagli, come nomi, luoghi o la posizione di oggetti che non sono emotivamente o contestualmente importanti in quel momento. A lasciare indietro certi “dettagli” contribuiscono anche fattori esterni, come le distrazioni create dai rumori, dall’operatività del cellulare, o dai troppi pensieri della nostra mente, rallentando così l'elaborazione e la memorizzazione di nuovi dati.

Si, una delle dimenticanze più comuni e quella relativa  ai nomi: questi per il nostro cervello sono spesso astratti e poco ricorrenti, il che li rende più difficili da tenere in memoria rispetto ad altre informazioni. Anche altre dimenticanze, come ricordare dove siamo diretti o dove abbiamo parcheggiato l’auto, oppure l’ora di un appuntamento, sono possibili: quando la mente è impegnata in elaborazioni ritenute più importanti, il resto può finire accantonato, facendoci pensare che la nostra mente lo abbia dimenticato.

Amici, ciascuno di noi può aiutare la propria mente a svolgere il suo lavoro al meglio, cercando di non crearle troppo sovraccarico. Evitiamo, nei limiti del possibile, di accumulare stress e stanchezza, in quanto si riducono le funzioni cognitive, tra cui l'attenzione e la memoria. Lo stress cronico può portare a uno stato di "nebbia mentale" che peggiora la capacità di ricordare i dettagli quotidiani. Un aiuto alla nostra memoria lo possiamo dare se ci concentriamo attivamente su ciò che stiamo facendo o dicendo. Per evitare il sovraccarico, quando è possibile, riduciamo le distrazioni e cerchiamo di non avere troppi pensieri in testa quando dobbiamo memorizzare qualcosa di importante.

Amici, ecco un breve elenco delle cose che “dimentichiamo” più spesso. Oltre i nomi delle persone ci sono le PASSWORD! Ognuno di noi ha una password importante che di norma riesce a ricordare. Tuttavia, quando il sito ci chiede di aggiungere una lettera maiuscola, un numero e qualche carattere speciale, tutto inizia ad andare storto. A quel punto dobbiamo rispondere a una domanda memorabile, e probabilmente non riusciamo a ricordare nemmeno quella!

Un ultimo esempio. Quando usciamo di casa a fare la spesa, abbiamo in mente un bell’elenco di cose da comprare. Una volta al supermercato, di quell’elenco resta poco o niente e si torma a casa con un sacco di cose di cui non si aveva bisogno, e solo aprendo il frigorifero o la dispensa ci si rende conto di non aver preso ciò che realmente ci serviva! Un’altra dimenticanza importante è quella delle medicine da prendere. A tavola, seduti a mangiare spesso ci chiediamo ho preso le medicine?  Spesso non lo ricordiamo!

Cari amici, potrei citare molte altre cose che spesso “dimentichiamo”, ma l’elenco diventerebbe troppo lungo e Voi lettori Vi annoiereste alla grande! Non ricordare queste cose non troppo importanti non è un danno così grave, ma se aiutiamo il nostro cervello anche questo elenco si ridurrebbe!

A domani.

Mario

lunedì, novembre 24, 2025

L'AMAZZONIA E LA CURA DELLE “API MELIPONINE”. L'INTERVENTO AIUTA A PRESERVARE LA BIODIVERSITÀ DEL PIANETA, E ANCHE A DARE UNA MANO ALLA POVERTÀ DELLE POPOLAZIONI LOCALI.


Oristano novembre 2025

Cari amici,

Le MELIPONINE sono una specie di api tropicali, presenti in diversi Continenti (esclusa l’Europa e l’Antartide). Come le altre specie di api, i bombi ed gli Euglossini (le scintillanti api delle orchidee), le Meliponine sono dotate di un “raccoglitore”, chiamato anche corbicula, posto tra le zampette posteriori, che viene utilizzato per raccogliere il polline. Però, diversamente dalle altre api e dai bombi, le Meliponine presentano un pungiglione talmente ridotto da non essere funzionale ed è questa la ragione per cui vengono chiamate “api senza pungiglione”.

Pur non potendo pungere, però, le Meliponine hanno comunque sviluppato altre forme di difesa: sono dotate di possenti mandibole, emanano odori sgradevoli, utilizzano dei materiali appiccicosi per immobilizzare i loro nemici, oltre a produrre delle secrezioni caustiche, come nel caso delle api del genere Oxytrigona, chiamate per tale ragione api di fuoco. Alquanto diffuse, le Meliponine, contano ben 605 specie diverse, e rappresentano il 70% delle api sociali. Comparse nel tardo Cretaceo, attorno a 70 milioni di anni fa, sono le prime api sociali sulla terra, tanto che hanno convissuto con i dinosauri per milioni di anni, anticipando di molto l’apparizione sulla scena delle Apis mellifera, avvenuta solo 7 milioni di anni fa.

Alquanto presenti in Amazzonia, le api Meliponine svolgono un ruolo decisivo negli ecosistemi dell’America Latina. Non avendo il pungiglione, sono meno aggressive rispetto ad altre specie e si adattano meglio agli ambienti locali. Il loro compito di insetti impollinatori giova sia alla biodiversità che alla produttività agricola. La loro presenza aumenta quindi la quantità e la qualità dei frutti nei campi, e contribuisce direttamente alla sicurezza alimentare. Da ciò ne deriva che l’allevamento e la cura di queste api, attività nota come MELIPONICOLTURA, non solo protegge le specie a rischio, ma apre anche opportunità di sviluppo locale che salvaguardano il capitale naturale. Ecco un grande esempio che, oltre che preservare la biodiversità, riesce a combattere anche la povertà.

Nella provincia amazzonica dell’Ecuador, Jefferson e sua moglie Aide gestiscono l’Ospedale delle api senza pungiglione (HASA). In questo luogo salvano specie autoctone di api minacciate dal disboscamento, e sono fieri di essere riusciti a salvare più di 100 colonie di 17 specie diverse. Ogni colonia viene affidata a una famiglia che si impegna a prendersene cura. Finora, più di 200 famiglie hanno unito i loro sforzi per mantenere queste api, affermano essi con orgoglio.

Amici, l’encomiabile compito, però, va ben oltre il salvataggio di queste api. Il gruppo guidato da questa coppia promuove e incentiva la semina di piante autoctone, in modo da poter garantire il cibo alle colonie di api. In cambio queste api producono un ottimo miele, apprezzato per le sue eccellenti proprietà antifungine e antiossidanti. “Non ci prendiamo cura solo delle api, ma anche delle famiglie che collaborano a questo encomiabile lavoro”, ha spiegato Jefferson per descrivere lo spirito del lavoro concepito e portato avanti con la moglie Aide.

L’esperienza della Meliponicoltura in Amazzonia, portata avanti da Jefferson,  risponde a una strategia ideata da World Vision, un’organizzazione che si occupa della protezione dell’infanzia. Quest’Ente cerca di rompere il ciclo della povertà rurale attraverso mezzi di sussistenza sostenibili. “Il nostro intervento in Amazzonia va oltre l’assistenza, rafforzando le capacità delle comunità con soluzioni radicate nella loro cultura e nel loro ambiente”, ha affermato Esteban Lasso, direttore nazionale di World Vision Ecuador.

Cari amici, come afferma con convinzione Esteban Lasso, nelle diverse interviste rilasciate, "La Meliponicoltura è un esempio perfetto: è tecnicamente fattibile, economicamente redditizia, culturalmente appropriata e ambientalmente sostenibile. Affronta direttamente l’insicurezza alimentare, garantendo ai bambini l’accesso a nutrienti di alta qualità, generando nel contempo reddito per le loro famiglie, che investe direttamente nel loro benessere e nel loro futuro”. Preservare l’Amazzonia, in realtà, è un grande, coraggioso atto di salvezza per tutto il pianeta!

A domani, amici lettori!

Mario

domenica, novembre 23, 2025

ARRIVA, FINALMENTE, LA NORMATIVA PER CERCARE DI BLOCCARE IL TELEMARKETING AGGRESSIVO. ADOTTATO IL PREFISSO UNICO NAZIONALE.


Oristano 23 novembre 2025

Cari amici,

Finalmente è stata presa una decisione per cercare di fermare il “TELEMARKETING E TELESELLING AGGRESSIVO”! Era tempo che arrivasse! Si, il telemarketing, oramai praticato in gran parte in maniera illegale, attraverso l’utilizzo di un numero telefonico inesistente e non registrato, per impedirne l’identificazione, ha superato ogni limite. Che dire poi del teleselling, che continua con le frodi perpetrate utilizzando un numero telefonico modificato in modo da presentarsi all’utente chiamato come un soggetto pubblico (ad es., Forze dell’ordine) o privato (ad es., una banca).

Il provvedimento ora deciso ha previsto, tra l'altro, anche il blocco delle chiamate provenienti dall’estero verso l’Italia, numeri che espongano un identificativo del chiamante corrispondente, in modo illegittimo, ad un numero italiano. La nuova normativa prevede, pertanto, in capo agli operatori nazionali che ricevono chiamate consegnate da operatori esteri, l’obbligo di bloccare e non terminare in Italia le chiamate con numero fisso italiano e quelle con numero mobile italiano, a meno che l’utente non sia effettivamente in roaming all’estero.

Relativamente al crescente e sempre più aggressivo telemarketing, oramai diventato un vera e propria tortura, dopo lo stop già imposto dall'AGCOM alle false numerazione nazionali fisse e mobili, arriva, finalmente, un provvedimento che prevede l'introduzione di un "PREFISSO NUMERICO UNICO NAZIONALE", che i call center dovranno adottare per le telefonate che avranno finalità "pubblicitaria, promozionale o di vendita diretta". Un numero "riconoscibile e richiamabile" che verrà definito dall'autorità garante delle comunicazioni. Il prefisso,  come indica il provvedimento, sarà obbligatorio, in quanto la norma introduce "il divieto di effettuare comunicazioni promozionali o commerciali utilizzando numerazioni prive del prefisso unico o numerazioni non riconducibili a soggetti registrati nel Registro degli operatori di comunicazione o nel Registro pubblico delle opposizioni".

Questo provvedimento, è stato inserito nella proposta di modifica alla legge di Bilancio in corso, e prevede che sia appunto l'Agcom a definire, con proprio regolamento, "la struttura del prefisso numerico unico nazionale; le modalità tecniche di assegnazione e utilizzo; le sanzioni amministrative per l’inosservanza degli obblighi". L’utilizzo di numerazioni diverse da quelle conformi al prefisso unico nazionale, viene previsto infine dall'emendamento, "è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 500.000, nonché con la sospensione temporanea dell’attività di telemarketing fino alla regolarizzazione della posizione".

In realtà, amici, secondo i consumatori, nonostante l’introduzione del nuovo blocco "le chiamate indesiderate diminuiranno ma non scompariranno totalmente, in quanto continueranno ad operare dei call center illegali, che di certo adotteranno tecnologiche contromisure sempre più sofisticate, capaci di aggirare i blocchi e i divieti stabiliti per colpire gli utenti". Il Telemarketing, secondo l’AGCOM, è diventato davvero insostenibile, sempre più aggressivo e invadente, ci basti guardare i dati rilevati all’11 settembre scorso. dall'Agcom.

Secondo questi dati erano state rilevate circa 43 milioni le chiamate filtrate, con una media di 1,3 milioni di telefonate al giorno. L'autorità l'aveva definita "cifra considerevole", considerato che rappresentava circa il 5,47% del totale delle chiamate ricevute dagli italiani nel periodo preso in esame. Il tasso di spoofing, aveva comunque rimarcato l'Agcom, "in un primo periodo aveva raggiunto soglie del 60%". L'autorità, nel pubblicare i dati, aveva messo anche in guardia dall’evoluzione "più probabile del fenomeno", ovvero "lo spostamento verso i CLI (Calling Line IDentifier) mobili italiani o verso i CLI internazionali di Paesi terzi".

Cari amici, come ha spiegato il CODACONS, con il nuovo “SCUDO ANTI-SPOOFING” è possibile che la situazione possa migliorare, ma di certo una protezione totale, completa sarà davvero impossibile. Oramai  la tecnologia fa ogni giorno passi da gigante, e trovato un sistema di blocco, ne è già nato un altro, e il risultato sarà che i nostri telefoni continueranno ad essere tempestati di chiamate per venderci anche aria fritta!

A domani.

Mario

sabato, novembre 22, 2025

I MAYA E IL GRANDE MISTERO DELLA LORO SCOMPARSA. RECENTI RICERCHE SOSTENGONO CHE LA COLPA È DA ATTRIBUIRE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI.


Oristano 22 novembre 2025

Cari amici,

La terra su cui viviamo, vecchia di milioni di anni, nel corso della sua esistenza ha avuto non pochi cambiamenti climatici. Anche nel lontano passato, si sono alternati cicli naturali di riscaldamento e raffreddamento, con notevoli variazioni di clima. Ciò dimostra che i “CAMBIAMENTI CLIMATICI” si ripetono nel tempo. Si, anche quelli di oggi, che sono fonte di grande preoccupazione, stanno modificando in modo pericoloso l’equilibrio prima esistente. Il cambiamento in corso, però, a detta degli esperti, si sta verificando ad una velocità senza precedenti, con l'aumento delle temperature globali e la concentrazione di gas serra ai massimi livelli degli ultimi due milioni di anni, principalmente a causa delle attività umane.

In passato, così affermano gli studiosi, intere civiltà scomparvero dalla faccia della terra proprio a causa delle forti variazioni climatiche, incompatibili per il proseguimento della vita nei luoghi fortemente colpiti dai cambiamenti, con allagamenti, desertificazioni e altri cambiamenti insopportabili. Una delle grandi civiltà che nel passato scomparve, per esempio, fu quella del popolo dei “MAYA”, e le cause della loro scomparsa non sono mai state chiarite con certezza, anche se, quasi sempre, le cause possono essere attribuite ai cambiamenti climatici.

Focalizzando l’attenzione sui “MAYA”, un nuovo studio, pubblicato su Science Advances da un gruppo di ricercatori statunitensi, messicani e britannici, guidati dall’University of Cambridge, relativamente alla loro scomparsa, rilancia con forza un’ipotesi già discussa negli anni ’90, ovvero che la causa principale che li fece scomparire sia proprio da attribuire ai cambiamenti climatici avvenuti in quel periodo. Quali le prove rinvenute dai ricercatori? Quelle trovate nascoste nelle stalagmiti presenti sul fondo di un’antica grotta messicana.

Amici, capire le motivazioni della fine della civiltà Maya, una delle più raffinate e potenti del mondo antico, avvenuta fra l’871 e il 1021 d.C., è uno dei quesiti che per lungo tempo hanno tormentato gli studiosi. Essi si sono a lungo domandati: perché gli abitanti smisero improvvisamente di costruire i loro magnifici monumenti? E perché le grandi città-stato disseminate nello Yucatán e nel Guatemala furono progressivamente abbandonate, portando a un drastico calo della popolazione?

Lo studio prima menzionato, pubblicato il 13 agosto su Science Advances, rilancia con forza proprio l’ipotesi prima citata: che fu un importante “shock climatico" a portare al collasso di quella grande civiltà. Oggi, infatti, si dà per certo, in base ai ritrovamenti prima evidenziati, che a distruggere la civiltà dei Maya furono proprio i terribili cambiamenti climatici, con l’arrivo di siccità prolungate, ripetute e devastanti, che prima misero in difficoltà la popolazione, fino ad infliggere il colpo di grazia che li fece quasi scomparire.

Il gruppo di ricerca e studio, coordinato dal paleoclimatologo Daniel H. James del Godwin Laboratory di Cambridge, per arrivare a questa certezza, ha esplorato meticolosamente le GRUTAS TZABNAH, le antichissime grotte nella penisola messicana dello Yucatán, poco distanti da importanti siti Maya come Chichén Itzá. Qui, nascosto nelle viscere della roccia, hanno trovato uno straordinario archivio naturale del clima passato: una stalagmite che ha conservato, strato dopo strato, le tracce chimiche delle precipitazioni di secoli fa.

È noto che una stalagmite si forma quando l’acqua che gocciola dal soffitto di una grotta deposita sul pavimento i minerali in essa disciolti; lentamente ma inesorabilmente, con il passare dei secoli, i minerali contenuti si accumulano, fino a formare grandi strutture che s’innalzano dal basso verso l’alto, al contrario delle stalattiti che pendono dalla volta delle grotte. Analizzando la stalagmite catalogata come Tzab06-1, gli scienziati hanno scoperto delle vere e proprie “cicatrici chimiche” lasciate dalle siccità. Al completamento dei minuziosi studi, i dati analizzati dai ricercatori hanno evidenziato con chiarezza che in meno di due secoli si erano verificati almeno otto periodi di siccità estrema, ciascuno durato oltre 3 anni, con quello più lungo durato addirittura 13 anni! Per i Maya fu una catastrofe! Per essi, dipendenti da complessi sistemi idrici artificiali e da un’agricoltura strettamente legata al ciclo delle piogge, questa sequenza eccezionalmente negativa fu un disastro. La scarsità dei raccolti provocò carestie, malnutrizione, conflitti interni e guerre per il controllo delle risorse residue, sconvolgendo pesantemente la struttura sociale.

In una carestia così accentuata, con il popolo che era in costante conflitto, le potenti élite religiose e politiche, che fondavano il loro prestigio sulla capacità di garantire ordine e prosperità, iniziarono a perdere credibilità e potenza. La popolazione era arrivata oramai allo stremo, mentre il commercio si disgregava. Dopo una iniziale resistenza, alla fine, con il popolo oramai alla fame, privato anche del minimo sostentamento  e in presenza di una inesistente coesione sociale, le grandi città vennero progressivamente abbandonate.

Cari amici, i MAYA, una volta abbandonate le grandi città, cercarono nuova vita spostandosi altrove per sopravvivere. Fu un lento sgretolamento della loro civiltà. La mancanza di una valida soluzione agricola, oltre a quella di stabilità sociale ed economica, portò, nel giro di pochi decenni, all'abbandono quasi totale delle grandi città Maya tra il IX e il X secolo. Seppure non fu un'estinzione totale, la civiltà Maya subì un forte, triste declino; i superstiti cercarono di salvare la loro cultura trasferendosi in  altre aree, in particolare nella penisola dello Yucatan. Ma era ben poco, rispetto al loro grande passato!

A domani.

Mario