lunedì, novembre 17, 2025

LA SCOPERTA RIVOLUZIONARIA, DI JULIAN BROWN: TRASFORMARE LA PLASTICA IN CARBURANTE PULITO UTILIZZANDO SOLO L’ENERGIA SOLARE.


Oristano 17 novembre 2025

Cari amici,

Ci sono scoperte che in un primo tempo sono state giudicate solo fantasiose, e che, invece, una volta realizzate, hanno rivoluzionato in modo straordinario il mondo. È avvenuto altre volte nella storia e, ora, potrebbe essere la volta di un’altra scoperta che, una volta perfezionata, potrebbe cambiare volto al serio problema dell’inquinamento creato dalla plastica. A cercare di trovare soluzione ad un problema così grave potrebbe essere proprio un giovanissimo inventore, tale JULIAN BROWN, che ha sviluppato un rivoluzionario sistema di pirolisi a microonde alimentato da energia solare, in grado di trasformare i rifiuti plastici in carburanti puliti come benzina, diesel e jet fuel, riducendo così inquinamento e sprechi.

Che la plastica sia ormai, a detta di tutti, “La peste di questo millennio”, è una serissima realtà. Viviamo un mondo in cui ogni anno si producono centinaia di milioni di tonnellate di plastica, e se ne riciclano solo una minima parte, creando in terra e in mare un inquinamento difficilissimo da combattere. Anche gli studi più avanzati continuano a cercare una soluzione a questo inquinamento, ipotizzando sul “COME” poter fronteggiare questo problema, e, magari, trasformare questo rifiuto in risorsa! Ed ecco, che è apparsa all’orizzonte una luminosa, possibile soluzione.

Negli USA, opera un giovane ricercatore statunitense, tale Julian Brown, di appena 22 anni, appassionato di ecologia, che, nell’intento di dare una mano per risolvere il problema dell’inquinamento della plastica, si è ingegnato a trovare una soluzione; prova e riprova, ha costruito un particolare sistema compatto e poco costoso, che ha chiamato “PLASTOLINE”: un aggeggio che può essere definito low-cost, ma che trasforma i rifiuti plastici in carburante liquido, pronto all’uso. Un’idea semplice ma geniale, nata in un garage, che potrebbe risolvere il terribile inquinamento creato dalla plastica.

La tecnologia messa in atto da Julian Brown si basa su un processo noto come pirolisi, già utilizzato in ambito industriale ma spesso con costi e complessità elevate. PLASTOLINE, invece, è un reattore pirolitico compatto e accessibile, che consente di convertire vari tipi di plastica (come polietilene e polipropilene) in carburante liquido – benzina, diesel e kerosene – in un modo relativamente sicuro e a basso costo. Il funzionamento è semplice: la plastica viene riscaldata in un ambiente privo di ossigeno, evitando la combustione. Le alte temperature scompongono i polimeri plastici in molecole più piccole che, una volta condensate, formano combustibili liquidi.

Amici, secondo Julian Brown, il carburante prodotto può essere utilizzato per alimentare generatori, fornelli o piccoli motori, ed è una risorsa preziosa soprattutto in contesti dove l’accesso all’energia è limitato e i rifiuti abbondano. L’obiettivo di Brown, con la sua interessante invenzione “Plastoline”, non è quello di competere con i colossi dell’energia, ma quello di offrire una soluzione a quelle Comunità che non hanno accesso a sistemi di riciclo o smaltimento avanzati. E proprio in questi contesti  (villaggi rurali, aree isolate o in via di sviluppo), che la combinazione tra abbondanza di rifiuti plastici e scarsità di carburante rappresenta una criticità quotidiana.

I crescenti rifiuti plastici sono un serio problema da affrontare. Secondo l’OCSE, solo il 9% dei rifiuti plastici prodotti nel mondo viene effettivamente riciclato. Il resto finisce in discarica, viene bruciato o, peggio, disperso nell’ambiente. Le tecnologie di riciclo meccanico tradizionale sono spesso limitate a pochi tipi di plastica e non riescono a gestire i rifiuti misti o sporchi. In questo scenario, le tecnologie di riciclo avanzato come la pirolisi stanno guadagnando attenzione, ma devono ancora superare ostacoli legati alla sostenibilità economica, all’impatto ambientale e alla sicurezza operativa. Plastoline prova a colmare questo vuoto, con un approccio open source, leggero e replicabile.

Cari amici, gli studi continuano, perché una soluzione deve assolutamente essere trovata! Plastoline si propone di essere una prima risposta a questo problema: una micro-tecnologia circolare, adattabile localmente, che riduce l’impatto ambientale dei rifiuti e al tempo stesso offre energia a basso costo. La storia di JULIAN BROWN è un esempio potente di intraprendenza giovanile e innovazione sostenibile. Julian è un ragazzo con un’idea semplice, realizzata con materiali accessibili e tanta autodidattica, che sta già facendo parlare di sé per l’impatto potenziale della sua invenzione. A Lui il nostro grazie!

A domani.

Mario

domenica, novembre 16, 2025

LA CURIOSA STORIA DEI MODI DI DIRE. ECCO QUELLA DEL FAMOSO DETTO “ANDARE A RAMENGO”.


Oristano 16 novembre 2025

Cari amici,

Il curioso modo di dire "ANDARE A RAMENGO" ha un'origine molto antica ed è legata al nome di una cittadina che esiste ancora oggi, che si trova vicino ad Asti, e che in realtà si chiama ARAMENGO. Queste espressione ha un significato alquanto negativo, in quanto “Andare a ramengo” significa "finire male", ovvero, “andare in rovina, in bancarotta". Ma vediamo per quale ragione è nata questa frase e soprattutto perché è riferita ad una località ben precisa: il paese di ARAMENGO.

Per capire meglio le origini di questo modo di dire dobbiamo tornare indietro nel tempo, ovvero all’Alto Medioevo, quando Asti era la capitale di un Ducato di origine longobarda (dal VI al IX secolo). Nel Ducato di Asti, all’epoca controllato dai Longobardi, una legge stabiliva pene severe per chi si macchiava di colpe legate al patrimonio, soprattutto bancarotta e fallimento. I responsabili venivano allontanati dal luogo dove vivevano e mandati a scontare la pena in una sorta di confino agli estremi del territorio. Non proprio come oggi, che magari si danno alla politica e sistemano i loro guai!

La località destinata all’espiazione era ARAMENGO, un comune posto tra le province di Asti e di Torino, dove esistevano un tribunale temuto per la sua severità e un luogo dove la detenzione era molto dura. Parafrasando “questo viaggio ad Aramengo”,  non certo una gita di piacere ma di dolore, nacque la locuzione ANDARE A ARAMENGO oppure MANDARE AD ARAMENGO. La caduta della A iniziale del nome per ragioni eufoniche (cioè, di buona pronuncia) fu rapida e perciò ecco che il modo di dire si semplificò in  ANDARE o MANDARE A RAMENGO!

Ma, amici lettori, c’è anche chi sostiene che il detto abbia un’origine leggermente diversa, nel senso che deriverebbe dalla parola latina “AD RAMINGUM”, cioè, allontanarsi dal proprio luogo. La parlata popolare, come ben sappiamo, non segue molto le regole della grammatica, e il popolo fece presto a trasformare il vocabolo latino andare AD RAMINGUM”, cioè, allontanarsi, nel maccheronico Aramengo, come quel luogo designato per chi veniva allontanato dalla città per insolvenza, come prima detto.

Amici, in particolare nel Nord Italia, andare ad Aramengo (o a ramengo, come poi è entrato nell'uso comune) divenne presto una locuzione popolare, diffusa prima in Piemonte e nella Lombardia occidentale, e poi, con l'unità d'Italia, questo modo di dire si propagò all'intera Penisola. Oggi, cari lettori, il comune di Aramengo non solo non è scomparso ma è vivo e vegeto, situato com’è in una splendida e invidiabile posizione collinare. È un bel paesino, posto tra il verde delle colline astigiane, con poche centinaia di abitanti, celebre per importanti laboratori di restauro, nonché per il tartufo bianco, i salumi, il miele, la carne bovina e buone bottiglie di freisa e barbera!

Tutto considerato, credo che il comune di Aramengo merita una visita, in primis per la sua spettacolare posizione sulle colline, fra la provincia di Asti e quella di Torino, sia per i prodotti alimentari prima menzionati. Tra la bellezza dei luoghi, aria buona, ottimi vigneti e campi di grano e prodotti alimentari eccellenti, una visita appare quasi d’obbligo! Allora se qualcuno, anche in modo scherzoso ci sorride e con una battuta ci invita ad “ANDARE A ARAMENGO!”, credo che ci potremmo anche pensare!

A domani amici lettori.

Mario

 

sabato, novembre 15, 2025

SARDEGNA. ANTICHI RICORDI DEL PASSATO DA CONSERVARE: IL MULINO AD ACQUA DI OLZAI.


Oristano 15 novembre 2025

Cari amici,

Che l’evoluzione abbia, giorno dopo giorno, modificato la vita dell’uomo è una realtà che tutti noi possiamo toccare con mano. Anche solo nel corso di una vita, ovvero in media in meno di un secolo, le scoperte hanno portato straordinari cambiamenti, in particolare nel mondo del lavoro,  a volte addirittura epocali. Ho fatto questa premessa per parlarvi oggi di un antico “Mulino ad acqua”, un tempo strumento indispensabile per la macinatura dei cereali, quando la corrente elettrica era ancora da venire e bisognava sfruttare al meglio le forze della natura. Questo antico mulino si trova in Sardegna ad OLZAI. 

Si, amici, in Sardegna, ad Olzai, nel cuore della Barbagia, si trova un importante mulino ad acqua, “SU MULINU VETZU”, (il mulino vecchio), realizzato alla fine del Settecento ed operativo nell’Ottocento. Oggi è ancora perfettamente funzionante, ed è famoso anche per essere l'unico mulino ad acqua a ruota verticale ancora in funzione nell’isola. Il mulino sorge lungo il torrente Bisine, e per molti anni fu, per il territorio, un ricercato strumento per la macinatura di grano e orzo. Ma vediamo insieme alcuni dettagli di questa magnifica opera.

Il mulino è posto nella parte alta del paese di OLZAI, una zona particolarmente suggestiva, anche per la folta vegetazione presente. Il mulino era strettamente legato all'economia di quel tempo, quando il paese era tra i più attivi dell'isola quanto alla produzione di cereali, in particolare del grano, e questo mulino era in grado di effettuare una pregevole lavorazione dei diversi derivati. Oggi, dopo alterne vicissitudini, perfettamente restaurato, e stato reso nuovamente funzionante tanto da permetterne ancora l'uso.

Le maestranze dell’epoca lo realizzarono con pietre di granito a vista, sviluppando la costruzione in due parti complementari: due massicci e alti muri predisposti per contenere all’interno la grande ruota, mossa dal passaggio dell’acqua, che, con la sua forza motrice, mette in azione l’antica, possente macchina in pietra che procede alla molitura. Sopra di essa, incassata nella pietra, è presente una canaletta che raccoglie l'acqua. A fianco del mulino si trova il necessario fabbricato annesso, anch’esso costruito in granito, che presenta una facciata uniforme, interrotta soltanto da due piccole finestre.

Col passare del tempo e l’arrivo dei mulini a vapore, questo mulino cessò la sua attività.  Chiuso e solitario iniziò così la sua agonia, che ebbe il colpo di grazia durante l’alluvione del 1921, che lo rese praticamente inutilizzabile, La sorte de Su Mulinu Vetzu sembrava segnata: rimase chiuso e abbandonato per decenni. Oggi, però,  grazie all’importante intervento di recupero prima menzionato, ha ripreso a vivere: è tornato a splendere e a funzionare! Ora è diventato un simbolo di identità e di memoria collettiva, una testimonianza preziosa della storia rurale e dell’ingegneria tradizionale sarda.

Il visitatore, entrando all'interno del mulino, torna con la mente indietro nel tempo! Cammina su un pavimento in lastroni di pietra, e, mentre ammira gli antichi ingranaggi in legno, quelli che, ricevendo la forza motrice dell'acqua, mettevano in movimento il meccanismo che permetteva alla grande mola di pietra di macinare il grano, rimane esterrefatto. Continuando a visitare gli ambienti, rimane incuriosito dai tanti particolari oggetti esposti: sono gli strumenti tipici della macinazione di una volta, in gran parte autentici pezzi dell’epoca.

Amici, per il visitatore curioso visitarlo è come fare  un vero tuffo nel passato: in quel un luogo pieno di ombre della vita di una volta, sembra che il tempo si sia fermato. Il rumore dell’acqua che scorre, gli riporta indietro la mente al passato, facendogli rivedere, come in uno spezzone di un vecchio film, la lotta e la fatica degli uomini che ci hanno preceduto; tante storie di fatica manuale, di duro lavoro nei campi, di semina e di raccolto, di preparazione del grano come alimento principe, e del grande ingegno dell’uomo in ogni tempo.

Al paese di Olzai, amici, posto nel cuore della Barbagia, un sincero grazie per aver diligentemente conservato un pezzo di storia, Su Mulinu Vetzu, che, nonostante gli anni, continua a svolgere la sua funzione. Questo raro esempio di ingegneria pre-industriale dimostra le straordinarie capacità dell’uomo che con la sua intelligenza ha sempre cercato di sfruttare le grandi forze presenti nella natura, come in questo caso la forza dell’acqua.  Durante le piene invernali, la forza dell’acqua metteva in moto la grande ruota verticale che azionava gli ingranaggi interni e le mole per la macinazione del grano e dell’orzo.

Oggi, come detto prima, grazie ad un accurato restauro, il mulino è tornato a vivere e viene, anche messo a disposizione della Comunità per la macinazione dei cereali. Chi lo visita può assistere al funzionamento delle antiche macine e riscoprire gesti e suoni di un tempo. Chi è curioso di vederlo, per raggiungerlo deve percorrere l’antica strada che collega Olzai a Ollolai, un tracciato di origine romana poi divenuto via di transumanza per i pastori che conducevano le greggi dalle montagne della Barbagia alle pianure del Campidano. Anche questo, amici, è un percorso che riporta la mente indietro nel tempo! Grande, meravigliosa Sardegna!

A domani amici lettori!

Mario

venerdì, novembre 14, 2025

IMBALLAGGI: SE VOGLIAMO PROTEGGERE IL DELICATO EQUILIBRIO DEL NOSTRO PIANETA, SOSTITUIAMO LA PLASTICA COL CARTONE. LA NUOVA TECNICA FOLD.


Oristano 14 novembre 2025

Cari amici,

Il tema della “SOSTENIBILITÀ” ormai non può più essere ignorato! Riguarda tutti noi, indistintamente, perché è insito in ogni aspetto della nostra vita. Tutti dobbiamo sempre porre più attenzione alle nostre scelte quotidiane, facendo in modo che esse siano ecologiche e nel rispetto dell’ambiente, in grado di proteggere il delicato equilibrio del nostro pianeta. Assumere atteggiamenti propositivi verso la cura del mondo in cui viviamo, è diventato, ormai, un obbligo inderogabile.

Si, oramai viviamo in un modo globalizzato, con le merci che, provenienti da tutto il mondo, vengono costantemente scambiate, viaggiando protette dagli “IMBALLAGGI”, necessari per far arrivare il prodotto trasportato sano e salvo a destinazione. Da tempo, ormai, in questo settore la plastica la fa da padrone, in quanto caratterizzata da una grande leggerezza, resistenza e flessibilità. Questo permette di creare imballaggi con bassi spessori, con un’eccellente resistenza meccanica, creando così una efficace barriera contro gli eventuali danni.

La plastica, però, ha creato e continua a creare danni considerevoli all’ambiente, con costi ambientali che sarebbe impossibile continuare a sostenere. Da queste considerazioni è da tempo iniziata la ri-valorizzazione del “CARTONE”, che, in confronto alla plastica, risulta più pesante e meno agevole. Gli studi più recenti, però, effettuati dagli scienziati finlandesi, hanno creato un tipo di cartone pieghevole ispirato all’origami, che dovrebbe aiutare a dire addio agli imballaggi in plastica.

Si, amici, l’idea geniale è proprio un nuovo tipo di cartone pieghevole ispirato all’origami, che riduce il sovra-imballaggio e l’uso della plastica. Una soluzione sostenibile per e-commerce, cosmetica e ristorazione. Una soluzione arrivata dalla Finlandia, e che è stata chiamata “FOLD”, un cartone pieghevole sviluppato dal VTT Technical Research Centre of Finland, in collaborazione con l’Università Aalto. Come accennato prima, questo imballaggio è ispirato all’origami, ed è risultato flessibile, resistente e riciclabile, con l’obiettivo di ridurre i materiali superflui e migliorare l’efficienza della logistica.

Vediamo come funziona questo cartone pieghevole chiamato FOLD. Il suo nome FOLD fa riferimento alla sua struttura basata sulle tecniche di piegatura dell’origami. Grazie a questo design, il cartone diventa robusto e adattabile, eliminando la necessità di plastiche protettive e riempitivi. Il vantaggio principale è la riduzione dei rifiuti: meno plastica, meno materiali inutili e maggiore facilità di riciclo. A differenza di molti prototipi ancora in fase sperimentale, FOLD è già in fase di test con diverse aziende per verificarne la fattibilità su larga scala.

Diverse, indubbiamente, le sue possibili applicazioni. Grazie alla sua versatilità, il cartone pieghevole può essere utilizzato in diversi settori, riducendo gli sprechi e migliorando la gestione degli imballaggi. Ecco alcuni esempi. Nel settore della Cosmetica: confezioni più sostenibili. Finora molti imballaggi finiscono immediatamente tra i rifiuti. FOLD potrebbe offrire un’alternativa riutilizzabile e priva di plastica, rendendo le confezioni più funzionali e meno impattanti.

Nel settore della Ristorazione veloce: un’alternativa al polistirolo. Gli imballaggi per il cibo da asporto sono spesso realizzati in plastica o polistirolo. Un cartone pieghevole e resistente all’umidità potrebbe rappresentare un’opzione più sostenibile, riducendo l’uso di materiali difficili da smaltire. Nel settore dell’E-commerce: imballaggi su misura. Uno dei problemi più comuni nell’e-commerce è l’utilizzo di scatole troppo grandi per il contenuto, con conseguente spreco di materiali e spazio. Un imballaggio adattabile permetterebbe di ottimizzare i trasporti e ridurre l’impatto ambientale delle spedizioni.

Cari amici, ogni possibile passo avanti nell’eliminazione, o almeno riduzione della plastica, è un altro tassello per cercare di proteggere il delicato equilibrio del nostro pianeta; con l’utilizzo del cartone i vantaggi sono evidenti: sia ecologici che economici. La riduzione dei costi di produzione, un minore ingombro nei magazzini, sono una risposta concreta alla crescente richiesta di imballaggi più sostenibili. Se questa tecnologia si diffonderà, come tanti si augurano, i miglioramenti saranno certamente importanti, sia economici che per la salute dell’ambiente.

A domani.

Mario

giovedì, novembre 13, 2025

L'INTELLIGENZA UMANA E QUELLA ARTIFICIALE SEMPRE PIÙ VICINE. ECCO ALTER-EGO CHE CAPTA IL NOSTRO “LINGUAGGIO SILENZIOSO”.


Oristano 13 novembre 2025

Cari amici,

Che l’Intelligenza Artificiale ogni giorno che passa avanzi come un panzer è certamente vero, anche se la mia convinzione è che rimarrà sempre uno strumento d’aiuto all’uomo, che mai potrà sostituire! Ecco una recente novità. Un gruppo di studiosi del MIT MEDIA LAB (è questa una struttura del Massachusetts Institute of Technology di Boston, una delle principali organizzazioni accademiche e di ricerca nel mondo) ha messo a punto un nuovo eccellente strumento informatico, con l’obiettivo di “aumentare l’intelligenza umana”, rendendo “l’informatica, internet e l’Intelligenza Artificiale, un’estensione naturale della cognizione dell’utente”.

Come spiega Arnav Kapur, studente laureato presso il MIT Media Lab, che ha guidato lo sviluppo del nuovo strumento, l’idea era quella di costruire un dispositivo di potenziamento cognitivo, capace di fondere mente e macchina in un’unica esperienza fluida, come se la seconda fosse un’estensione della prima. Questo dispositivo, chiamato “ALTER-EGO”, In pratica riesce a leggere e interpretare il ‘linguaggio silenzioso’, quello che noi ancora non esprimiamo con le parole ma è già nella nostra mente; all’inizio, quando consapevolmente tentiamo di articolare le parole ma non le abbiamo ancora emesse, questo strumento riesce a percepire quel processo che anticipa le parole, quando i muscoli del volto e della gola compiono quei micro-movimenti impercettibili che generano segnali neuromuscolari.

Il nuovo dispositivo rileva questi segnali attraverso sette elettrodi applicati lungo la mascella e il collo, inviandoli ad un software di apprendimento automatico che li associa a termini specifici. L’utente, quindi, anticipa le parole da esprimere e il dispositivo comprende e trascrive queste parole “anticipate silenziosamente” con i movimenti. L’interazione tra uomo e macchina è completata da cuffie a conduzione ossea, che trasmettono le risposte direttamente all’orecchio interno, senza bloccare l’udito esterno. In questo modo, è possibile comunicare con un computer o con altre persone in modo discreto, bidirezionale e senza distogliere l’attenzione dall’ambiente circostante.

Ebbene, una volta reso noto, questo dispositivo ha fatto gridare al miracolo: ALTER-EGO riesce a leggere direttamente i nostri pensieri! Non è proprio così, cari amici lettori, Alter-Ego non è un'intelligenza artificiale che "legge" il pensiero nel senso di decifrare direttamente le onde cerebrali, ma un interessante dispositivo che interpreta i segnali neuromuscolari e i movimenti del linguaggio del corpo. È sicuramente un apparecchio complesso, indossabile, che include elettrodi e sensori, rileva quando un utente "prepara e pensa le cose da dire", convertendo queste azioni muscolari in comandi o testo senza bisogno di vocalizzare.

Indubbiamente, amici, questo è un grande passo avanti nella comunicazione, come mai immaginata prima: il Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, ha elaborato un dispositivo straordinariamente innovativo, capace di trasmettere parole senza pronunciarle ad alta voce. Pensato inizialmente per supportare chi soffre di disturbi del linguaggio, lo strumento può anche facilitare conversazioni silenziose tra utenti o interazioni con l’intelligenza artificiale, senza ricorrere a smartphone o tastiere. Arnav Kapur, l’informatico dell’Istituto MIT prima citato, ha spiegato che Alter-Ego non è solo un’alternativa ai modelli tradizionali, ma un’estensione naturale della mente umana, capace di accelerare il dialogo con i sistemi digitali e l’A.I.

Cari amici, Voi che mi leggete sapete bene come la penso: l’Intelligenza Artificiale, ben usata e regolamentata, potrà essere un grande, meraviglioso aiuto all’uomo del futuro, ma mai potrà sostituirlo, perché la mente umana ha complessità tali che le macchine mai potranno uguagliare! Certo, questo dispositivo di potenziamento cognitivo, capace di fondere mente e macchina in un’unica esperienza fluida, potrà essere di grande aiuto all’uomo, in particolare se ha dei problemi di linguaggio, ma, per quanto ulteriormente perfezionato, mai potrà ne leggere ne sostituire la mente umana.

A domani.

Mario

mercoledì, novembre 12, 2025

CI SIAMO MAI CHIESTI PERCHÈ QUANDO SQUILLA IL TELEFONO RISPONDIAMO NORMALMENTE “PRONTO”? LA CURIOSA STORIA DI QUESTO MODO DI INIZIARE LA CONVERSAZIONE…


Oristano 12 novembre 2025

Cari amici,

Il TELEFONO fu davvero un'invenzione straordinaria! La storia di questo meraviglioso congegno, che consentì, per quei tempi, collegamenti straordinari, ebbe inizio dalla innovativa scoperta di Antonio Meucci, inventore sfortunato, protagonista di una storia complessa e controversa. Meucci costruì il primo prototipo nel 1854 e depositò un "caveat" (un brevetto preliminare) nel 1871. Tuttavia, a causa di problemi finanziari, non riuscì a ottenere un brevetto definitivo, che fu poi registrato da Alexander Graham Bell nel 1876. Solo nel 2002 il Congresso degli Stati Uniti ha ufficialmente riconosciuto Meucci come l'inventore del telefono.

Ho fatto questa premessa, amici lettori, per parlare con Voi di un’usanza curiosa che riguarda in particolare noi italiani. Ci siamo mai chiesti perché, quando squilla il telefono, che sia quello di casa o il nostro smartphone, rispondiamo PRONTO? Perché non usiamo un saluto come avviene in tanti altri Paesi del mondo, ad esempio hello/hallo in lingua inglese? In effetti, se ci fermiamo un secondo a pensare, usare "ciao" o "buongiorno"/"buonasera" (a seconda dell'ora) dovrebbe venirci più che naturale! E invece usiamo "pronto", una parola più tecnica e fredda, che viene dal latino prōmptus (participio passato del verbo promĕre) e in origine significava "messo davanti agli occhi" o "messo alla portata". Come mai da noi c'è questa usanza?

Per rispondere compitamente a questa domanda, dobbiamo partire dalle origini della telefonia e quindi ripercorrere la storia del telefono. Le prime linee telefoniche e i primi telefoni furono installati negli USA nella seconda metà dell'800, diffondendosi poi anche in Europa e in Italia. Originariamente le linee telefoniche collegavano solo due apparecchi, ma in seguito furono introdotti dei sistemi per smistare manualmente le chiamate a diversi destinatari. Nacque così la figura del/della centralinista, una persona incaricata di mettere in comunicazione l'individuo che aveva chiamato con il destinatario della telefonata utilizzando un cavo con due uscite jack.

Ogni utente, infatti, era associato a una presa a jack, presso un cosiddetto tavolo e pannello di commutazione. Quando il collegamento corretto del cavo era avvenuto il/la centralinista comunicava l’avvenuto contatto con la parola "Pronto", permettendo in questo modo lo svolgimento della chiamata. Nel caso specifico, tuttavia, rimane il dubbio sul perché poi il termine abbia cominciato ad essere utilizzato direttamente dal destinatario della chiamata (forse per chiedere conferma che il collegamento fosse effettivamente operativo?). Si, amici, le origini tutte italiane di rispondere al telefono con la parola "PRONTO" (non avviene così in molte altre nazioni, come anticipato prima) sono legate a queste antiche pratiche in uso nei vecchi centralini telefonici. 

Ne abbiamo un esempio-ricordo anche noi qui ad Oristano (è ancora presente in Piazza Eleonora il palazzo TELECOM), dove operava un grande centralino telefonico con le caratteristiche prima richiamate, e con tante operatrici! Credo che sarebbe utile aprire questo palazzo in occasione di “Monumenti Aperti”, per farlo conoscere alle nuove generazioni, quelle dei nativi digitali, dei Millennial, che nulla sanno sulla vecchia telefonia di una volta! Col passare del tempo, questa parola “PRONTO”, ripetuta infinite volte nella giornata, diventò presto un’abitudine per chi usava il telefono, entrando così nella prassi comune di quelli che si mettevano al telefono. E così, anche oggi, allo squillo del telefono (che sia di casa o cellulare poco importa), la gran parte di noi alza il ricevitore per dire PRONTO, quasi per accertarsi che il collegamento con il chiamante sia in essere, ovvero che l'interlocutore sia in linea.  

Amici, sulle origini della parola “Pronto” per rispondere al telefono, però, c’è anche un’altra possibile origine. È una teoria ricavata dal gergo militare. Questa seconda teoria suggerisce che l'usanza derivi più dal gergo militare, poiché i primi utilizzatori del telefono erano le FF.OO. e i dipendenti pubblici (militari, vigili del fuoco, polizia, etc.). In questo contesto, la parola "pronto" indicava la disponibilità immediata a ricevere ordini e a farsi trovare pronti all'azione. Ne è un esempio dimostrativo il primo collegamento telefonico di Milano, che collegava il Municipio con la caserma dei pompieri.

Cari amici, qualunque sia l’origine, noi italiani allo squillo del telefono continuiamo oggi come ieri a rispondere col “PRONTO?”, non si sa se per dire all’altro che siamo pronti, oppure per chiedere all’altro, in modo interrogativo, se è pronto!

A domani.

Mario

martedì, novembre 11, 2025

BACHI DA SETA OGM INGAGGIATI PER PRODURRE LA SETA DI RAGNO. IL RISULTATO? UNA FIBRA SEI VOLTE PIÙ RESISTENTE DEL KEVLAR.


Oristano 11 novembre 2025

Cari amici,

Tutti conosciamo bene le ragnatele, quelle trappole realizzate dai RAGNI per catturare le prede. Quei fili regolari, geometrici, costituiscono la SETA DI RAGNO, che è una fibra proteica. prodotta dai ragni. Essi usano queste ragnatele non solo come trappole adesive per catturare le prede, ma anche per trasmettere informazioni tattili o come nidi o bozzoli per proteggere la loro prole. La maggior parte dei ragni varia lo spessore e l'adesività della seta a seconda del suo utilizzo. L’uomo, già molto tempo fa, ha cercato di utilizzare questi lucenti fili, ma la raccolta della seta di ragno è stata sempre difficoltosa, rispetto ad esempio ai fili di seta prodotti da altri organismi, come ad esempio i Bachi da seta.

Amici, la seta di ragno è uno dei materiali più sorprendenti realizzati in natura: leggera come un soffio, ma più resistente dell’acciaio, a parità di peso. Però, nonostante i tentativi fatti, è risultato impossibile da produrre su larga scala, in quanto i ragni sono animaletti solitari e cannibali, quindi inadatti all’allevamento intensivo. Stante questa difficoltà, alcuni scienziati cinesi, operativi presso la “Donghua University”, sono riusciti a sintetizzare la seta di ragno facendola produrre dai bachi da seta geneticamente modificati.

Un lavoro di ricerca mica di poco conto, quello di questi ricercatori, se pensiamo che loro, per poter superare le difficoltà di produzione di questa fibra da parte dei ragni, hanno studiato come unire la biotecnologia alla produzione della seta tradizionale. Come? Usando il sistema di editing genetico CRISPR-Cas9, ovvero hanno trasferito nei bachi da seta i geni che producono le proteine della seta dei ragni. Il risultato è stato eccezionale: una fibra ibrida che combina la morbidezza della seta del baco con la resistenza di quella del ragno.

Come ha avuto modo di dichiarare il ricercatore Junpeng Mi, dottorando del College of Biological Science and Medical Engineering della Donghua University e primo autore della ricerca, “La seta dei bachi è attualmente l’unica fibra di seta animale commercializzata su larga scala, con tecniche di allevamento ben consolidate”. Il risultato di questa unione? Una produzione di fibre sei volte più resistenti del Kevlar! L’interessante a ricerca è stata pubblicata sulla rivista, Matter. Come accennato prima, secondo studi recenti, questa nuova seta, seppure non replichi ancora perfettamente tutte le proprietà della seta naturale del ragno, mostra una resistenza incredibile: tenace fino a sei volte superiore a quella del Kevlar, ovvero con la capacità di assorbire più energia prima di rompersi. Le applicazioni potenziali di questa nuova fibra sono enormi: suture chirurgiche ultra-forti, armature leggere, materiali sostenibili per la moda e l’ingegneria. In più, è anche un fibra biodegradabile e potrebbe sostituire polimeri sintetici come il nylon o il poliestere, riducendo l’impatto ambientale e le microplastiche.

Dopo la pubblicazione della ricerca sulla rivista MATTER, si è rafforzata la convinzione che questa nuova fibra naturale, costituisca un’allettante alternativa sostenibile alle fibre sintetiche, che possono rilasciare microplastiche dannose nell’ambiente e sono spesso prodotte da combustibili fossili che generano emissioni di gas serra. Insomma, rivolgersi alla natura per trovare alternative ecologiche ai prodotto della chimica, è sicuramente altamente positivo!

Il professor MI appare molto soddisfatto del risultato ottenuto. “Siamo fiduciosi che la commercializzazione su larga scala sia all’orizzonte”, ha sottolineato. Pensando al futuro, si prevede di utilizzare le conoscenze sulla robustezza e la resistenza delle fibre di seta di ragno, sviluppate nello studio attuale, per la creazione di bachi da seta geneticamente modificati che producano fibre di seta di ragno a partire da aminoacidi naturali e ingegnerizzati. “L’introduzione di oltre cento aminoacidi ingegnerizzati può offrire un potenziale illimitato per le fibre di seta di ragno ingegnerizzate”, ha precisato il professor Mi, aggiungendo: “La seta di ragno è una risorsa che ha urgente bisogno di essere ulteriormente esplorata. Le prestazioni meccaniche eccezionalmente elevate delle fibre prodotte in questo studio rappresentano una promessa significativa in questo campo”.

Cari amici, credo che questa “Seta di ragno” prodotta dai bachi geneticamente modificati sia un potente filo invisibile che lega scienza e natura, intrecciando forza e leggerezza in un solo materiale. Una fibra, insomma che sa tanto di futuro!

A domani.

Mario