Oristano 7 novembre 2025
Cari amici,
Arrivati ad una certa età, capita spesso di fermarsi a riflettere sul percorso della propria vita, confrontandola con quella che si sta vivendo. Tutto cambia, è così da sempre, ma è giusto che le nuove generazioni conoscano le vicende e le difficoltà affrontate dalle generazioni precedenti. Personalmente credo di essere fra quei
pochi che hanno avuto il coraggio di mettere per iscritto, per filo e per segno,
il percorso della propria vita, decidendo, in questo modo, di lasciare ai posteri “Le
tracce” della propria esistenza. In realtà parlare di se stessi
non è mai stato facile, perché – per farlo – è necessario spogliarsi della
propria riservatezza, aprirsi agli altri senza veli, senza falsi pudori. Eppure,
Io, dopo una lunga meditazione, ho deciso di farlo, scrivendo ben 2 libri. Il
primo, “MARIEDDU”, racconta la mia vita di formazione, quella di un ragazzo di
provincia, nato nel 1945 alla fine della guerra, che ha conosciuto le macerie, giocato
con i residuati bellici, che ha vissuto i primi tentativi di ricostruzione del Paese, sopportato
la fame, per la mancanza di tantissime cose, compreso il pane. Il secondo,
intitolato invece “TRACCE”, racconta la mia successiva realizzazione nella vita.
Ebbene, amici lettori,
oggi voglio ricordare con Voi le mie prime esperienze scolastiche, quelle della
scuola elementare, che frequentai negli
anni Cinquanta, quando l’istruzione era ben diversa da quella di oggi! Allora
il maestro (o la maestra) era l’unico riferimento, che seguiva i ragazzini per
tutti i cinque anni. In aula vi era una rigida separazione tra maschi e femmine
(due distinte bancate) e i banchi erano scomodi e in legno, con il piano di
lavoro che evidenziava il foro per il calamaio con l’inchiostro e un avvallamento
dove veniva posta la penna, che veniva usata dopo aver montato un pennino in
acciaio, diverso per i vari tipi di scrittura.
Tutti, maschi e femmine andavano
a scuola con il grembiule nero, chiuso nel collo con un colletto bianco, a
significare l’uguaglianza, senza esibizioni di abbigliamento più o meno decoroso.
Guai ad arrivare in ritardo, e all’ingresso in aula del maestro tutti in piedi,
aspettando il suo buongiorno a cui si rispondeva in coro, e si restava in attesa del suo cenno con la mano di sedersi nel banco. A fianco della
vecchia cattedra del maestro, sollevata dal pavimento con un supporto di legno alto una
cinquantina di centimetri, la grande lavagna, con il gessetto bianco e il
cancellino, costituito da una specie di mini cintura di lana arrotolata, appoggiata
su un piccolo supporto laterale. A completare l’arredamento una grande carta
geografica, il crocifisso e poco altro.
Durante le lezioni il silenzio era d'obbligo. Imparare, poi, a scrivere bene
con quella particolare penna intinta nel calamaio non era facile! Spesso, se intingevi
il pennino in modo sbagliato (troppo inchiostro) una grande macchia sul
quaderno era assicurata! Si cercava allora di porre rimedio con la carta
assorbente, ma il danno oramai era fatto, e spesso arrivava un colpo della
bacchetta del maestro sulla mano per farti capire di essere più attento. Per me, poi, nato mancino (quindi uno da correggere...), il problema era un vero dramma! Quando il maestro, dopo aver scritto alla lavagna le frasi, e ci chiedeva di copiarle, la mano che a me scattava per prendere la penna
era quella sinistra. Difficilmente, però, la mia mano arrivava a prendere la
penna, perché, veloce come un fulmine, arrivava il colpo di bacchetta del
maestro Pisu a vietarmelo!
A quel punto, con grande difficoltà, cercavo di allungare la mano destra che, però, istintivamente si
rifiutava di prendere la penna in mano; intingerla nell’inchiostro e vergare
sul quaderno lo scritto richiesto sembrava un'impresa titanica! Provando e riprovando qualcosa ottenni, ma,
credetemi, la mia grafia restò sempre pessima: lo è anche oggi, nonostante siano passati tanti
di quegli anni! Amici lettori, se paragono la scuola di quegli anni a quella
odierna non sembra che siano passati solo una cinquantina d'anni, ma secoli! I sistemi educativi di allora erano improntati ad una logica correttiva, forse anche eccessiva ma valida, non solo nella
relazione sociale tra adulti e giovani, ma anche tra gli stessi giovani.
Ci basti pensare alla
rigida separazione tra bambini e bambine, divisi da "Due bancate separate"; erano due modi di vivere le relazioni
sociali in modo selettivo, per genere, un modo per costruire due mondi a se stanti: quello maschile e quello
femminile, separati sia dal punto di vista culturale che relazionale, quasi che
lo stare insieme costituisse un pericolo! Era una visione rigida dell'educazione, che imbrigliava
l’esuberanza e la coesione, tanto che anche la semplice voglia di dialogo tra compagni, era considerata
irrispettosa dell’autorità del maestro, per cui “chiacchierare” col compagno di
banco non era assolutamente tollerato. A questo proposito, cari lettori, voglio
raccontarvi un episodio che mi ha riguardato direttamente, rimasto, per me, un ricordo indimenticabile di quegli anni.
Ero in terza elementare,
e, considerata la mia esuberanza, il maestro, sempre più infastidito delle mie “chiacchiere”
col compagno di banco, dopo che aveva tentato infinite volte di farmi smettere, decise di reagire. Dopo l'ennesima mia infrazione, dopo aver urlato “Basta!” si alzò, prese con rabbia un banco vuoto che stava da una parte e lo spostò, ponendolo proprio davanti alla sua cattedra, tra le due
bancate. A quel punto, rivolto a me e indicando il banco mi disse: “Ecco, da oggi,
quello è il tuo posto”; poi, dopo che mi ero accomodato si avvicinò alla bancata
femminile e, rivolto ad una bambina tranquillissima, di carattere poco loquace,
che normalmente parlava con le compagne pochissimo, le disse: “Tu da oggi ti siedi e segui le
lezioni nel banco con Marieddu ( era il diminutivo del mio nome che tutti
usavano).
Tutto avvenne senza che
nessuno di noi fiatasse. La lezione, nel silenzio generale, terminò con sollievo di tutti. L’indomani, tutto sembrò procedere come il maestro aveva
predisposto. La silenziosa nuova serenità, però, durò ben poco. Nell’arco di 3 - 4 giorni
tutto iniziò a cambiare. Sarà perché sono sempre stato estroverso, amante della relazione sociale, ma
alla fine della seconda settimana non solo io chiacchieravo più di prima, ma la
poco loquace bambina, quanto alle chiacchiere, era riuscita a superare anche me! Il
maestro Pisu, a quel punto si arrese: un giorno, oramai scoraggiato, si
alzò in piedi, e sbattendo con forza un pugno sulla cattedra, conscio della sua disfatta, rivolto a me disse urlante e rabbioso: “Marieddu, sei proprio irrecuperabile”!
Cari amici, ogni volta che queste scene mi ritornano in mente.. pensando al mio maestro Pisu, mi viene ancora da sorridere! Sapete perchè? Credo di non essere mai cambiato!
A domani.
Mario










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