venerdì, aprile 26, 2024

CELEBRATA IL 23 APRILE LA GIORNATA MONDIALE DEL LIBRO. CHI LEGGE VIAGGIA NEL TEMPO, E VIVE PIÙ VITE, CHI NON LEGGE NE VIVE UNA SOLA!


Oristano 26 aprile 2024

Cari amici,

Il grande Umberto Eco, filosofo, scrittore e accanito bibliofilo, convinto sostenitore che i libri aiutano la conoscenza, ebbe occasione di scrivere: “Chi non legge, a settanta anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’Infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Credo ci sia poco da discutere, perché quella affermata dal filosofo è una verità sacrosanta.

I libri in realtà sono degli straordinari, veri “biglietti di viaggio”, che ci consentono di conoscere il mondo, sia quello presente che quello passato, di incontrare gente di ogni parte del pianeta, con i loro usi, costumi, tradizioni e modi di vivere. Leggendo una storia, un romanzo, entriamo in un altro mondo, viviamo con gli altri, apprendiamo, ci informiamo. Conosciamo! I libri, in tutte le loro forme, ci permettono di imparare e di tenerci informati; ci intrattengono e ci aiutano a capire il mondo, offrendoci una finestra sul creato.

Per tutte queste ragioni, per invitare alla lettura, è nata nel 1996 la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore, che si celebra ogni anno il 23 di aprile. Questa giornata, nota anche come Giornata del libro e delle rose, è stata istituita dall’Unesco per promuovere la lettura, per mostrare il potere e la bellezza dei libri, la conoscenza dei loro autori e la protezione della proprietà intellettuale attraverso il copyright. Leggere un libro, amici, è da tempo considerata un vero e proprio toccasana per la mente e per l’anima.

Leggere un libro ci dà la possibilità di apprendere praticamente tutto ciò che avviene nel mondo: quello di oggi e quello del passato; è un modo eccellente per conoscere, condividere ciò che, forse, mai avremmo potuto conoscere! Il libro, quindi diventa un “luogo d'incontro condiviso” che ci fa conoscere il presente ed il passato. Il libro, poi, è fonte di sensazioni, stati d’animo ed emozioni, che aprono la nostra mente ed il nostro cuore.  Basti pensare che dal 1961 il libro è diventato anche un eccellente “strumento di terapia” (cura definita dalla Webster International “Biblioterapia”)! Si, amici, ci sono letture che sono state scelte per essere utilizzate come strumenti terapeutici, in medicina e in psichiatria.

Il libro, quindi, non è solo fonte di conoscenza, cari amici lettori, ma anche un prezioso mezzo terapico  per curare la depressione, l’isolamento sociale, l’ansia e lo stress. Insomma, il libro come valido strumento che aiuta chi lo legge a lenire le proprie sofferenze interiori. Un “libro- medicina”, insomma, fonte anche di nuove idee e di stimoli creativi che ci consentono di migliorarci e di evolverci. Ma vediamo ora insieme, i maggiori benefici che possiamo ricavare dalla lettura dei libri. Ecco i più importanti.

1*STIMOLA LA MENTE. Leggere mantiene il cervello sempre attivo e impegnato, stimolando i neuroni con la giusta ginnastica mentale, utile a tenere viva e giovane la nostra mente. 2*RIDUCE LO STRESS. La vita lavorativa è fonte di stress, e leggere un libro è fonte di relax: ci porta in un’altra dimensione che ci fa dimenticare i problemi quotidiani. È come vivere, con la nostra mente, in un altro mondo. 3*MIGLIORA LE NOSTRE CONOSCENZE. Un libro aggiunge conoscenza al nostro bagaglio culturale, quindi alquanto utile per affrontare le sfide che, giorno dopo giorno, la vita ci pone davanti.

4*AUMENTA NOTEVOLMENTE IL NOSTRO VOCABOLARIO. Leggere ci pone davanti a tante parole nuove, che contribuiscono ad arricchire il nostro vocabolario. Ciò migliora il nostro modo di esprimerci, sia nel mondo del lavoro che nella vita sociale, dandoci più capacità e sicurezza. 5*MIGLIORA LA NOSTRA MEMORIA. La lettura delle storie presenti nel libro, fatte di personaggi carichi di pregi e difetti, protagonisti di una trama spesso avvincente, contribuisce ad aumentare il nostro bagaglio di conoscenza e di sapere, aumentando quindi il nostro patrimonio globale.

6*MIGLIORA LE ABILITÀ DI SCRITTURA. Leggere è davvero formativo, e una delle conseguenze è che migliora le nostre capacità di scrittura. La maggiore conoscenza del vocabolario aiuta ad esprimersi con una maggiore proprietà di linguaggio, sia nel lavoro che nelle altre attività. 7*PROVOCA TRANQUILLITÀ E SERENITÀ. Nei nostri momenti liberi, sedersi nell’angolo a noi preferito a leggere un libro, ci crea il giusto rilassamento, dandoci quella pace interiore, quella tranquillità e serenità che ci toglie l’ansia e il nervosismo.

Cari amici, leggere è davvero una grande medicina per la nostra mente, una medicina che in tanti dovremmo riscoprire, perché la vita moderna, imperniata sulla tecnologia, ci ha allontanato dalla lettura. Il grande scrittore Marcel Proust, quanto all’importanza della lettura, la definì in questo modo: “La lettura ci insegna ad accrescere il valore della vita, valore che non abbiamo saputo apprezzare e della cui grandezza solo grazie al libro ci rendiamo conto.”

A domani.

Mario

 

giovedì, aprile 25, 2024

UN MALE ALQUANTO DIFFUSO, LA “TRIPOFOBIA”, OVVERO LA PAURA DEI BUCHI, CHE OSSESSIONA MOLTE PERSONE.


Oristano 25 aprile 2024

Cari amici,

La vita dell’uomo, come possiamo constatare, è da sempre preda di tanti mali: malattie, paure, fobie (spesso irrazionali), che rendono difficile il suo percorso terreno, condizionandolo non poco. Oggi voglio parlare con Voi di una angosciosa paura, che, seppure poco conosciuta, si è già alquanto diffusa: è la “TRIPOFOBIA”. È questa una forma di paura causata dalla visione di particolari oggetti che presentano fori profondi e ravvicinati. Come ad esempio: alveari, spugne da bagno, formaggi con i buchi e molti altri oggetti che si presentano con dei buchi molto vicini e numerosi, tali da far scattare questa irrazionale paura.

È la visione di questa sequenza di buchi, anche in oggetti di uso comune, a far scattare la molla di questa fobia, che, in campo medico, è chiamata proprio “TRIPOFOBIA”, termine che deriva dalla lingua greca (letteralmente "trýpa" che significa "buco" e "phóbos", ovvero "paura"). La scoperta medica di questa particolare paura risale al 2005, e purtroppo la sua diffusione continua a crescere. Pur non essendo invasiva come diverse altre fobie (ad esempio la claustrofobia, l’agorafobia o l’aracnofobia, per citarne solo alcune), è comunque una paura che crea le sue problematiche che, ovviamente, vanno affrontate.

Pur non essendo riconosciuta come vera e propria fobia dall’American Psychiatric Association, la Tripofobia è comunque un importante disagio, che si presenta come una “paura persistente e irrazionale” nei confronti di oggetti che presentano fori ravvicinati e profondi. Nel soggetto che ne soffre questa paura scatena sensazioni di repulsione, avversione e disgusto, fino a generare, nei casi più gravi (spesso nei soggetti più fragili), ansia e panico.

Considerato che il disturbo della Tripofobia è stato oggetto di analisi solo di recente, sono state avanzate diverse ipotesi circa le cause scatenanti. Uno dei primi studi sulla Tripofobia, ha ipotizzato che il disturbo possa essere ricollegato a cause ancestrali. Un gruppo di scienziati dell'Università dell'Essex (coordinato da Geoff Cole e Arnold Wilkins), ha pubblicato nel 2013 sulla rivista Psychological Science l’importante ricerca “Fear of Holes” (“Paura dei buchi”); questo studio sostiene che il disturbo non dipende da cause psichiche, ma da motivi collegati al meccanismo di difesa innato nell’uomo.

Insomma, il disturbo deriverebbe dall’istinto di sopravvivenza dell’uomo, sarebbe la risposta all’ambiente ostile, insito nell’uomo fin dai tempi della preistoria. Alla base di tale ipotesi vi sarebbe il fatto che la visione di un insieme di fori ravvicinati (di qualunque forma, purché vicini) ricorderebbe minacce reali, come animali velenosi, infezioni o parassiti. Agli studi del 2013 hanno fatto seguito quelli del 2017, effettuati da un gruppo di psicologi dell'Università del Kent (Regno Unito), che hanno dato una nuova interpretazione delle cause della Tripofobia.

Secondo questo studio, coordinato dal prof. Tom Kupfer della Scuola di Psicologia dell'ateneo di Canterbury, alla base del disturbo ci sarebbe la paura delle malattie infettive e dei raggruppamenti di parassiti. Di qui, l’avversione verso oggetti circolari o, comunque, ravvicinati. Questi psicologi hanno sottoposto ad un test un campione di 600 persone, metà delle quali tripofobiche. Dopo avergli mostrato due gruppi di immagini (il primo composto da foto di malattie infettive, il secondo da foto che “spaventano” i tripofobici, come bollicine, muri forati, spugne, etc.), è emerso che tutti hanno provato repulsione per le foto del primo gruppo, ma solo i tripofobici hanno provato “disgusto” verso le immagini del secondo gruppo. 

Amici, come possiamo affrontare questa particolare paura? Quali rimedi sono possibili per curare la Tripofobia? Le soluzioni sono simili a quelle utilizzate per gli altri disturbi fobici: l’utilizzo delle terapie cognitivo-comportamentali, affiancate eventualmente da una cura farmacologica. La terapia cognitivo-comportamentale aiuta a controllare il disagio, in modo da raggiungere un certo autocontrollo; è un percorso terapeutico psicologico che aiuta a disattivare i circoli viziosi negativi mentali; la terapia farmacologica, invece, risulta utile per alleviare gli stati depressivi e/o di ansia.

Cari amici, la Tripofobia, in particolare in questa caotica vita moderna, potrebbe trovare sollievo anche utilizzando le tecniche di rilassamento, che agevolano il percorso di desensibilizzazione. Le tecniche di rilassamento, quali il training autogeno, la respirazione e lo yoga, possono essere degli ottimi coadiuvanti al percorso terapeutico, in modo da raggiugere il necessario autocontrollo emotivo.

A domani.

Mario

mercoledì, aprile 24, 2024

LA STORIA DI AMEDEO PETER GIANNINI, L'EMIGRATO ITALIANO NEGLI STATI UNITI CHE PRESTAVA SOLDI AI POVERI E FONDÒ LA BANK OF ITALY, SUCCESSIVAMENTE DIVENTATA BANK OF AMERICA.


Oristano 24 aprile 2024

Cari amici,

L’emigrazione italiana negli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento raggiunse livelli alquanto alti, tanto che, in quel periodo, ben oltre 5 milioni di italiani, soprattutto originari delle regioni meridionali, salparono verso l'America. Alla fine dell’Ottocento dalla Liguria, precisamente da Favale di Malvaro, in Val Fontanabuona in Provincia di Genova, a bordo di una delle numerose navi cariche di migranti che ogni giorno abbandonavano l’Europa partirono anche Luigi e Virginia Giannini, diretti oltre oceano in cerca di una vita migliore.

Come prima tappa la giovane coppia, insieme al figlio Amadeo Peter, si insediò in California, prima a San Josè e poi a San Francisco, All’inizio, come per tanti altri emigrati, la vita non fu facile, ma il figlio Peter, intelligente e determinato, riuscì presto a fare fortuna. Forse fu la sua grande determinazione a prendere corpo dopo un terribile evento: suo padre Luigi morì vittima di un tentativo di rapina perpetrato da un messicano ubriaco, che gli chiedeva insistentemente un dollaro. Questo fatto lo segnò indelebilmente, tanto da decidere di dedicare la sua vita a combattere la povertà, derivante in gran parte dall’usura allora praticata. Serio e contabilmente preparato, nel 1902, all’età di 32 anni, era già diventato direttore di una filiale della Cassa di risparmio di San Francisco. In questa filiale molti emigranti si recavano per spedire alle famiglie rimaste in Italia i propri risparmi. Da uomo onesto, Giannini si rese conto della eccessiva spesa richiesta a questa povera gente per trasferire i soldi in Italia. Veniva praticata, infatti, una tassa davvero esosa: era calcolata tra il 5 e il 6 per cento della somma da inviare, tanto che il giovane contabile cercò di rappresentarlo ai titolari della banca ma senza successo.

Con l’esperienza maturata, Giannini si convinse che era possibile fare Banca anche senza strozzare nessuno. La sua idea era quella di dare un aiuto concreto alle persone che, seppure poco abbienti, avevano le giuste idee per avviare delle attività, senza, però, arrivare ad applicare interessi esosi. Il suo sogno era quello di mettere in piedi una Banca etica, finanziando i progetti validi seppure senza chiedere grandi garanzie: a lui sarebbe bastata la serietà e la capacità imprenditoriale dei richiedenti. In questo modo voleva combattere l’usura e il mondo marcio della finanza senza scrupoli che allora dilagava.

Detto fatto. A 32 anni Peter Giannini lasciò l’incarico di direttore nella Cassa di Risparmio di San Francisco e mise in piedi una piccola, nuova banca, che chiamò “Bank of Italy”. Nella sua banca il servizio di trasferimento dei soldi in Italia costava solo il 2 per cento, contro quel 5-6 per cento prima ricordato. La sua era davvero una banca etica: la prima banca popolare ad azionariato diffuso, la cui missione era quella di prestare denaro e fiducia a chi aveva buone idee ma non poteva dare altre garanzie se non la propria, seria, voglia di lavorare. L’azzardo tentato da Peter Giannini ebbe un grande successo, ma ciò non cambiò minimamente la sua visione iniziale: aiutare chi aveva bisogno!

L’uomo emigrato dall’Italia, nato povero ma dotato oltre che di capacità di quel sano altruismo che negli affari è più noto come “ETICA”, in tutta la sua carriera non cedette mai alla cupidigia e al sogno malsano di una ricchezza personale illimitata. La sua banca, all’epoca forse la prima, promosse quella forma di “finanza etica ante litteram” che lo portò spesso a scontrarsi con le grandi lobby bancarie ed economiche senza il minimo timore. Nessuno, però, riuscì a batterlo o corromperlo, tanto che negli scontri ne uscì sempre vincitore, grazie alla fedeltà ai propri valori che mai gli vennero meno, senza mai scendere a compromessi di sorta. La fama, sua e della sua banca, oltrepassò l’oceano e per tanti Giannini era semplicemente “Il banchiere galantuomo”. Anno dopo anno, grazie al suo impegno e alla fortuna, la sua Bank of Italy diventò tanto importante da diventare, poi, quel colosso mondiale che noi oggi conosciamo, la “Bank of America”, ancora oggi ricca di fama in tutto il mondo.

Cari amici, la grande, meravigliosa avventura di Amedeo Peter Giannini potete trovarla in un interessante libro scritto da Giorgio A. Chiarva, che ha per titolo “Amadeo Peter Giannini. Il banchiere galantuomo”. Qui troverete le tantissime cose realizzate da Giannini, l’uomo della finanza etica che diede una possibilità di riscatto anche ai più deboli. Giannini fece cose davvero straordinarie: contribuì alla nascita di Hollywood, della HP Computers, alla costruzione del Golden Gate Bridge, finanziando anche il New Deal e il Piano Marshall. Creò anche la Giannini-Bank of America Foundation, che fu il primo Health Care aziendale. Insomma, amici, in questo libro troverete la storia di un vero, grande uomo!

A domani.

Mario

 

 

 

martedì, aprile 23, 2024

L’ARTE DI TIZIANA SANNA, AL MUSEO DIOCESANO ARBORENSE. L’ARTISTA DIPINGE LA NATURA SELVAGGIA, IN PARTICOLARE GLI ANIMALI, SPECIE QUELLI IN VIA DI ESTINZIONE.


Oristano 23 aprile 2024

Cari amici,

Non è la prima volta che esprimo la mia convinzione che “ARTISTI SI NASCE, NON SI DIVENTA”. L’artista è un soggetto particolare, che possiede un DNA, speciale, qualcosa che lo differenzia dalle persone comuni, che consente di volare alto, di esprimersi nelle tante forme d'arte e nei campi più disparati del contesto in cui viviamo, in maniera unica e irripetibile. Ebbene, oggi voglio parlare con Voi, cari lettori, di un’artista che mi ha intrigato molto, Tiziana Sanna, che esprime la sua arte pittorica rappresentando la natura, quella originale, selvaggia e incontaminata, focalizzando la sua attenzione sugli animali, in particolare quelli in pericolo di estinzione.

Tiziana (in arte ben nota come Tisha) nasce nel Sud Sardegna, a Cagliari, nel 1975. Dopo le superiori, si laurea in Lettere con indirizzo artistico e si specializza in Storia dell'Arte; ma non è esattamente quello il suo sogno. Nella sua mente rimbomba di continuo un pensiero, un forte desiderio che la tormenta: mettersi di fronte ad uno spazio bianco e disegnare, dipingere! Per questo decide di frequentare dei corsi privati di disegno e discipline pittoriche. Nella sua mente lei si vede con matita e pennelli in mano, pronta a riportare in tante tele bianche la natura che la circonda! Ed ecco uscire da quelle tele quegli animali selvatici che lei ama, dipinti in tutte le loro sfumature, fieri e indomiti, a ricordarci che essi hanno diritti che noi spesso calpestiamo!

La protezione delle specie animali a rischio, è un suo preciso obiettivo, e lei lo vuole ricordare a tutti, dipingendoli, mostrandoli, nell’intento di sensibilizzare chi li guarda e sperando di portarli ai suoi stessi sentimenti. Lei ama tutti gli animali, ma da buona sarda, si concentra sulle specie tipiche ed endemiche della nostra isola: la lucertola tirrenica, l’hyla sarda, il gatto selvatico sardo, l’asinello albino dell’Asinara, il cane pastore fonnese, il muflone, la volpe sarda, il cervo sardo, il grifone, il gufo, il barbagianni, il ragno sardo nuragico e tanti altri. La sua pittura, cari amici, è una pittura iper-realistica, nel senso che ogni più piccolo particolare è da lei perfettamente rappresentato: le pieghe della pelle, la peluria del corpo, la postura, raggiungendo in questo modo una rappresentazione alquanto fotografica. Osservando un suo quadro, si ha l’impressione di trovarsi realmente. di fronte all’animale, che sembra quasi osservarti, pronto ad uscire dalla tela! Chi visita una sua mostra, viene catapultato in un mondo che potremmo definire primordiale, ben lontano da quello odierno.

Tiziana Sanna è un'artista poliedrica, e i suoi quadri sono stati presentati in numerose mostre. Ora l’artista, reduce dalle ultime presentazioni, ha voluto portare i suoi quadri anche ad Oristano, scegliendo di esporsi al Museo Diocesano Arborense, mostra che è stata inaugurata sabato 20 aprile. Questa mostra, porta un curioso titolo: “TILIGUERTA”, che, come scrive la curatrice della mostra Alessandra Menesini, è dedicata alla verde lucertola, come titola anche un verso di Eugenio Montale. La prima parte della presentazione dell'artista e delle sue opere è avvenuta nello spazio esterno del museo.

Amici, il titolo dato alla mostra, ha un concreto significato protettivo degli animali selvatici presenti nella nostra isola, spesso trascurati e vilipesi. I suoi quadri evidenziano il frutto del lungo lavoro di ricerca sulle specie faunistiche tipiche ed endemiche della Sardegna; un lavoro certosino, quello portato avanti dall’artista, effettuato in contatto con i principali Enti che si occupano della tutela e della salvaguardia della nostra fauna selvatica. Una collaborazione intensa, fruttuosa, per la quale Tiziana ringrazia la R.A.S. e tutti gli Enti che a vario titolo si occupano della tutela e salvaguardia delle specie a rischio e che Le hanno concesso il loro patrocinio (W.W.F - LIPU - CRTM - LAGUNA DI NORA - RETE CONSERVAZIONE FAUNA MARINA).    

La presentazione al Museo Diocesano, come accennato prima, è stata effettuata dalla Direttrice Silvia Oppo e dalla Curatrice Alessandra Menesini. L’artista, dopo aver ringraziato tutti i presenti, a partire dalla direttrice Silvia Oppo e da Antonello Carboni per aver ospitato la mostra nei bellissimi spazi del Museo Diocesano Arborense, dalla curatrice Alessandra Menesini per il continuo supporto e le bellissime parole, ha accompagnato il pubblico a visitare la mostra dei suoi quadri allestita dentro il Museo, dove si è piacevolmente intrattenuta rispondendo alle numerose domande. La serata si è piacevolmente conclusa con un piccolo rinfresco.

Amici lettori, indubbiamente la mostra di TIZIANA SANNA ha già destato un grande interesse, e ciò dimostra che vale davvero la pena di essere visitata. Il visitatore, durante la visita, potrà anche ascoltare un delizioso sottofondo musicale, creato  dal giovane figlio dell’artista. La mostra resterà aperta fino al 2 giugno 2024, e sarà visitabile: il mercoledì dalle 10,00 alle 13,00 e dal giovedì alla domenica dalle 10,00 alle 13,00 e dalle 17,00 alle 20,00.

Grazie, amici, della Vostra sempre gradita attenzione e…partecipate numerosi!

A domani.

Mario

 

 

lunedì, aprile 22, 2024

LA RAI E IL SUO VERO COMPITO: SVOLGERE UN SERVIZIO PUBBLICO D'INFORMAZIONE “SUPER PARTES”. MA, PURTROPPO, COS’Ì NON È!


Oristano 22 aprile 2024

Cari amici,

È proprio vero che “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare! Che la RAI sia da anni nell’occhio del ciclone per la forte ingerenza politica che la connota, con contestazioni da una parte e dall’altra, in base ai Governi che si alternano al potere, è cosa ben nota. Si è parlato spesso di indipendenza dalla politica da parte della “Direzione della Rai”, ma per ora nulla è cambiato. Insomma, il problema resta, col risultato di continuare a dare a chi ascolta un’informazione 'addomesticata', gradita al Governo in carica, estromettendo, di volta in volta, le voci fuori dal coro. Ovviamente, inutile negarlo, questa informazione non può essere considerata veritiera, come un “SERVIZIO PUBBLICO D’INFORMAZIONE” dovrebbe essere.

Inoltre, altra pecca da tempo contestata, è che questa informazione agli ascoltatori è fornita a caro prezzo, ovvero facendo pagare a loro un salato canone, a prescindere dall’ascolto. La realtà è che, purtroppo, oggi la RAI, azienda di servizio pubblico, ha comportamenti simili a quelli di un’azienda privata, legata ad interessi di parte; insomma, è un vero strumento di potere, che ostacola (e spesso dismette) quegli operatori capaci che non sono in sintonia con il Governo del momento. Un vero servizio pubblico, invece, dovrebbe essere assolutamente “super partes”, altrimenti è preferibile cancellarlo,

Essere operatori di comunicazione in RAI (azienda pubblica deputata a fornire il servizio d’informazione), in particolare se focalizziamo l’attenzione sui giornalisti, questi non dovrebbero MAI essere “addomesticati” dal potere politico, costretti, cioè, a raccontare la verità di parte; il codice deontologico del giornalista, come sappiamo, lo vieta espressamente. Credo che, invece, ciò stia continuando a verificarsi, tant’è che chi non accetta la sudditanza può seguire 2 vie: o decide di andare via o gli viene, comunque, aperta la porta per andarsene. È tempo, dunque, di passare dalle parole ai fatti. Privatizzare la RAI credo che sia diventato assolutamente indispensabile.

Sul mercato televisivo fino a poco tempo fa l’azienda pubblica RAI aveva un unico gruppo privato concorrente: MEDIASET;  di recente, però, si è prepotentemente inserito un nuovo gruppo. Si tratta di “NOVE”, un colosso editoriale che vuole spezzare il duopolio fra la RAI e le reti del gruppo Berlusconi. NOVE è un gruppo di provenienza USA, che fa parte della grande famiglia Warner, gruppo che comprende HBO (la casa di molte delle più importanti e premiate serie Tv) e CNN. Un colosso, guidato in Italia dal manager Alessandro Araimo. NOVE in Italia ha decido di entrare pesantemente in campo, contattando, per acquisirli, gli uomini di punta della RAI.

L’acquisizione da parte di NOVE dei Big RAI è avvenuta a colpi di milioni di euro, e ciò sta a dimostrare la potenza e la capacità economica del Gruppo. Dando uno sguardo ai bilanci di NOVE si percepisce un'immagine del gruppo decisamente in salute. A fine 2021 i ricavi sono stati di 259 milioni di euro e l'utile di 21 milioni. Ciò ha reso possibile l’acquisizione di personaggi come Crozza, poi Fazio e in data molto recente Amadeus.  Disponibilità finanziarie non indifferenti, quelle possedute, se pensiamo che Crozza è stato ingaggiato per 3 milioni di euro a stagione, Fazio, con un contratto di 4 anni e di 2,5 milioni di euro a stagione e, udite – udite,  Amadeus, con un contratto miliardario:  100 milioni di euro in 4 anni, quindi 25 a stagione, anche se questo totale comprende i costi di sviluppo e acquisizione dei programmi di cui si dovrà occupare l'ex cinque volte re di Sanremo. Comunque, circa il 10 per cento di questa somma, finirebbe nelle sue tasche!

Cari amici, oggi la RAI è un ibrido che non è né carne né pesce. Personalmente credo che questa struttura, oggi ancora pubblica, debba QUANTO PRIMA MODIFICARSI, con una parte di vera informazione e l'altra di carattere commerciale; la prima, vera necessità è quella di una TV di informazione e di formazione, fatta da giornalisti "super partes", senza addomesticamenti, ovvero totalmente indipendenti dal potere politico; il secondo filone costituito da una TV di intrattenimento, che possa operare con quel carattere prettamente commerciale dei nostri tempi. Chissà se riusciremo mai ad avere una RAI così selezionata e di questo spessore!

A domani.

Mario

 

domenica, aprile 21, 2024

LA “LEADERSHIP" AL TEMPO DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE. COSA SIGNIFICA ESSERE “LEADER” OGGI, NEL MONDO SUPERTECNOLOGICO IN CONTINUA EVOLUZIONE?


Oristano 21 aprile 2024

Cari amici,

Il modello di LEADERSHIP TRADIZIONALE (verticistica e di comando), che gran parte di noi ha vissuto(in particolare quelli nati tra la prima e la seconda metà del secolo scorso), ha sempre operato sfruttando le doti individuali di capacità di comando, mitigate poi 'parzialmente' attraverso la valorizzazione della "Squadra".  Tutto questo, però, sempre tenendo conto delle capacità evolutive del cervello umano; oggi, però, ci troviamo di fronte a un bivio critico: l'arrivo dell'Intelligenza Artificiale, con le sue crescenti potenzialità. Il manager di oggi deve decidere: resistere, continuando a seguire il vecchio schema, senza tener conto delle capacità fornite dall'A. I., oppure raccogliere le sfide e le opportunità che questa presenta. Una scelta difficile, dunque, tra il continuare ad operare con il sistema consolidato, oppure accettare di abbracciare una nuova visione di leadership, alquanto diversa, dirompente, e orientata al futuro.

Indubbiamente accettare il "Nuovo" è una sfida audace, capace di gettare alle ortiche la leadership tradizionale, basata sulle personali capacità di gestione e di comando, oggi insufficienti ad affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Una Leadership moderna, dunque, quella che serve oggi, audace e allo stesso tempo consapevole, in quanto i leader di oggi devono essere capaci di dimenticare il passato, fatto di gestione personale verticistica, seppure leggermente mitigata dal lavoro di squadra, per poter costruire ambienti di lavoro realmente coesi e paritari, dove il risultato è il frutto della collaborazione di tutti, intelligenza artificiale compresa. Insomma, una leadership fortemente focalizzata sulla 'squadra', sulla coesione e sulla collaborazione.

Una nuova leadership che si basa su tre principi fondamentali: 1- Costruire un Gruppo coeso: dove essere Leader non significa emergere sugli altri, ma costruire un gruppo unito e affiatato, che lavora gomito a gomito, “insieme”, per raggiungere i comuni obiettivi. 2- Costruire una “Responsabilità Collettiva”: nel senso che la leadership, oltre che creare un gruppo coeso, responsabilizza ogni partecipante, dandogli la sua fetta di responsabilità, per contribuire – tutti insieme – a costruire il benessere della Comunità di riferimento, a seconda del proprio ruolo. 3- Costruire nel gruppo un Processo Collaborativo e Altruistico: Le leadership egocentriche e autoritarie sono obsolete e dannose, per cui risulta necessario adottare un approccio collaborativo e altruistico, vera strada per raggiungere il successo collettivo.

Amici, il vero Leader non deve essere statico ma in costante evoluzione, mediante un aggiornamento continuo, in particolare oggi ai tempi dell’intelligenza artificiale. Due le caratteristiche più importanti che deve possedere: “cuore e cervello”; il primo per prendersi cura delle persone, il secondo per raggiungere gli obiettivi di business promuovendo un impatto positivo sulla società che amministra. È questa, in particolare, la tesi di Filippo Poletti, autore del libro “Smart Leadership Canvas: come guidare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale con il cuore e il cervello”.

Nel libro prima accennato, scritto a 4 mani da Filippo Poletti, giornalista professionista e top voice di LinkedIn, e da Alberto Ferraris, professore ordinario in economia e gestione delle imprese, viene affermato che oggi il vero Leader opera in un contesto in cui, entro i prossimi 5 anni, il 50 per cento delle decisioni manageriali sarà preso in collaborazione con l’Intelligenza Artificiale, per cui risulta fondamentale che esso operi utilizzando al meglio, come detto, “cuore e del cervello”. Se è pur vero che l’Intelligenza Artificiale è altamente performante, sia nei compiti quantitativi che nell’elaborazione di enormi quantità di dati, è anche vero che l’A.I. manca del tutto del tocco umano: ovvero della capacità di connettersi, entrare in empatia, ispirare e mostrare creatività; insomma, l’A.I. manca di una dote indispensabile: è priva di quell'"intuitus personae" che consente la costante adattabilità di fronte a situazioni in continua evoluzione. In altre parole, l’intelligenza artificiale è priva di “intelligenza emotiva”, pietra angolare fondamentale di una leadership efficace.

Oggi, amici, viviamo nell’era digitale, dove la tecnologia è in costante evoluzione, ed i Leader devono agire e operare da veri “creatori di organizzazione”, miscelando capacità personali e tecnologia, e coltivando una cultura di continua di innovazione e adattabilità. I leader di oggi debbono, con grande determinazione, trovare l’armonia tra le competenze umane e le capacità dell’intelligenza artificiale, in un’era dove si deve operare mediando tra “ciò che la tecnologia fa per noi, e ciò che noi dobbiamo continuare a fare col nostro “intuitus personae”. In ultima analisi, è questa relazione simbiotica tra leadership e intelligenza artificiale che, passo dopo passo, dovrà essere estesa a tutti i ruoli e a tutti i livelli organizzativi.

Cari amici, il futuro è già nelle nostre mani, ma dobbiamo saperlo amministrare, con “Cuore, cervello e grande intelligenza emotiva”, quella che l’A.I. non avrà mai! In questo modo la domineremo, altrimenti potremmo venirne dominati!

A domani.

Mario

sabato, aprile 20, 2024

GIOVANI E INFELICITÀ. LE NUOVE GENERAZIONI, CHE RISPETTO A QUELLE PRECEDENTI HANNO TANTO DI PIÙ, MANCANO DI UNA COSA IMPORTANTE: LA FELICITÀ.


Oristano 20 aprile 2024

Cari amici,

Alla fine dello scorso mese di marzo ho fatto su questo Blog una riflessione proprio sulla felicità. Chi è curioso può andare a leggere quanto scrissi il 28 marzo cliccando sul seguente link: https://amicomario.blogspot.com/2024/03/dizionario-della-felicita-ci-siamo-mai.html. Un obiettivo spesso “CHIMERA”, quello della FELICITÀ, che, purtroppo, continua a mancare in particolare nei giovani, che all’apparenza dovrebbero essere, invece, i più felici, in quanto hanno praticamente molto di più di quanto avevano le generazioni precedenti. Sul perché della loro infelicità, si interrogano gli studiosi.

A leggere l’World Happiness Report 2024, coordinato dal Centro di Ricerca sul Benessere dell’Università di Oxford, Centro Gallup e dalla Rete delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, che si basa su indagini effettuate in 143 Paesi, si rileva che "In Occidente la felicità è tradizionalmente associata alla giovinezza e la vecchiaia è considerata una fase della vita più infelice, ma la realtà attuale, purtroppo, smentisce queste convinzioni”. In dettaglio, l’approfondimento per fasce d’età, nel report prima citato, rileva che “dal 2006 al 2010, la felicità tra i giovani, di età compresa tra 15 e 24 anni, è diminuita drasticamente in Nord America, al punto che i giovani risultano meno felici degli anziani. Anche in Europa occidentale la felicità giovanile è diminuita, anche se in modo meno marcato”.

Secondo questo rapporto, dall’analisi dei 143 Paesi radiografati, ad aggiudicarsi per il settimo anno consecutivo il titolo di “Paese più felice al mondo“ è la Finlandia, mentre l’Italia risulta 41ª, appena sopra il Guatemala, ma parecchio sotto Kosovo e Romania! La cosa più preoccupante, però, è il dato che rileva l’infelicità dei ragazzi, che risulta in crescita. Per la prima volta dal 2012 – anno in cui è stato redatto il primo “Report“ – "il trend positivo globale della soddisfazione di vita tra i 15 e i 24 anni si è interrotto".

Secondo Vivek Murthy, il massimo funzionario Usa ad occuparsi di questioni di salute pubblica, la colpa di tanta infelicità tra i ragazzini è l’uso, e soprattutto l’abuso, dei social media. L’esagerato uso di questi, creando isolamento, alimenta la perdita, meglio dire l’alienazione dai rapporti umani, oltre a creare l’angoscia nel mondo giovanile per l’impossibilità a raggiungere quei modelli irreali, costantemente proposti dagli influencer; modelli che tra l’altro hanno alimentato  il cyberbullismo, stimolato l’applicazione di pratiche di challenge alquanto pericolose e molto altro. Il problema, inoltre, risulta in parte ignorato dai governi, che evitano o tardano ad emanare le normative necessarie per la protezione e la tutela in particolare dei minori.

Amici, la realtà è che, purtroppo sempre più giovani risultano infelici, nonostante la loro dovrebbe essere l’età della felicità. Sempre più giovani, e soprattutto gli adolescenti, manifestano crescenti tassi di ansia, depressione e di autolesionismo. Questo avviene sia nel nostro Paese che nel resto del mondo. Nonostante i progressi della psicologia, l’infelicità sembra una spada di Damocle, pendente sul loro capo come una condanna.

Amici, le nostre nuove generazioni sono, dunque, destinate ad essere infelici, si domandano gli esperti? Essere felici, nel caotico mondo in cui viviamo, è certamente difficile, anche se l’infelicità è qualcosa di molto personale, che risulta alquanto connessa alla realtà che ci circonda, al contesto sociale nel quale viviamo. I giovani in particolare sono meno felici, rispetto alle generazioni passate, perché sembrano soffrire di una sorta di “crisi di mezza età” anticipata!

Che l’adolescenza sia un periodo particolarmente complesso nello sviluppo umano è ben noto, ma i giovani di oggi, in particolare gli adolescenti, sono sempre più tristi e infelici, e gli analisti continuano a cercare le cause, i reali motivi di tale infelicità. In USA, dall’analisi dei dati del National Survey on Drug Use and Health, he emerso che dal 2008 al 2017 vi sia stato un aumento del 71% nelle condizioni di grave disagio psicologico nei giovani adulti e un aumento del 52% tra gli adolescenti dai 12 ai 17 anni.

Cari amici, i motivi sono di certo più d’uno, ma, anche escludendo i fattori di rischio come il consumo di droghe e alcool, un altro motivo importante è dato certamente proprio dallo smodato uso dei social, il cui abuso ha portato all’aridità dei rapporti umani reali, privilegiando quelli virtuali! Un mondo virtuale anonimo, dove si vive tempestati dal bombardamento di pubblicità e dai dannosi influencer, che creano un negativo impatto nei giovani proprio nella fase dello sviluppo! Senza interventi radicali, cari lettori, sarà sempre peggio!

A domani.

Mario