Oristano 26 settembre 2025
Cari amici,
La Chiesa cattolica da
tempo si trova ad affrontare un problema alquanto gravoso: la crescente
diminuzione delle vocazioni sacerdotali, con i Seminari sempre più vuoti e
tante parrocchie senza un proprio sacerdote che segue la Comunità. Cercando di
fare di necessità virtù, la Chiesa Cattolica sta adottando diverse strategie,
tra cui la ridistribuzione delle risorse disponibili, con sacerdoti che si
debbono occupare di 2/3 o più parrocchie. In questo modo si cerca di coprire le
esigenze più importanti, cercando il coinvolgimento dei fedeli laici, chiamati in
aiuto al servizio pastorale. Rimedi tampone, ma che certamente dovranno sfociare in soluzioni più efficaci.

La triste realtà è che, in questo
millennio iper-tecnologico, la vocazione al sacerdozio dei giovani appare
alquanto scarso, e tra le possibili soluzioni sul tappeto, una delle ipotesi
ventilate, nei vertici della Chiesa Cattolica, c'è quella di prendere in considerazione anche la possibilità di superare il "celibato sacerdotale", facendo accedere al sacerdozio gli uomini sposati. Chi ipotizza una soluzione di
questo tipo, ribadisce che per secoli ai sacerdoti non veniva imposta
l’astinenza coniugale, e tanti furono i preti sposati, che esercitarono la loro
missione sacerdotale pur avendo moglie e figli. Ripercorriamo, dunque, il
percorso della Chiesa Cattolica e le motivazioni che hanno portato
all’introduzione del celibato.

L’excursus storico
evidenzia che nei primi secoli del cristianesimo non esisteva l’obbligo del
celibato per i sacerdoti. In passato diversi sacerdoti, ma anche vescovi e
persino alcuni papi erano sposati. Ciò che veniva loro richiesto era la fedeltà
e la moderazione: la castità, seppure fosse considerata una virtù, non era comunque un obbligo, e il ministero religioso
non era ritenuto incompatibile con la vita coniugale. Tuttavia, fin dal IV
secolo, iniziò ad ipotizzarsi, in alcuni Concili, di "aggiungere la castità" a chi voleva
dedicare la sua vita al servizio religioso, iniziando così a parlare di introduzione
del celibato.

Fu, però, solo a partire
dal Medioevo che la Chiesa latina impose in modo definitivo il divieto di
matrimonio a coloro che prendevano i voti. IL CELIBATO OBBLIGATORIO fu
una decisione assunta nei concili del XII secolo, e la sua introduzione rispose
sia a motivi spirituali, sia a interessi materiali e politici. Amici, nel
Medioevo la vita gravitava attorno alla religione, e il celibato era
interpretato come segno di maggiore santità e totale dedizione a Dio. Il clero
celibe poteva dedicarsi completamente alla preghiera e al servizio, senza le
«distrazioni» della vita domestica e coniugale. Non tutte le Chiese
cristiane, però, introdussero il Celibato obbligatorio. Nelle Chiese orientali
— sia ortodosse sia cattoliche orientali in comunione con Roma — continuò ad essere
consentito ai sacerdoti di sposarsi prima dell’ordinazione, ma non dopo.
Successivamente, Chiese riformate come quelle luterana e anglicana abolirono il
celibato obbligatorio. Oggi, considerato il serio problema della penuria di
sacerdoti all’interno del Chiesa Cattolica, la “regola tassativa del celibato”
è diventato uno dei grandi temi di dibattito: “L’amore per Dio e anche per
una persona, sono compatibili, oppure chi sceglie l’uno deve rinunciare
all’altro?”.

Amici, il problema che
affronta oggi la Chiesa Cattolica è serio e urgente, e va affrontato esaminando tutte le possibili soluzioni. Le difficoltà che incontra
il sacerdote chiamato a gestire due o anche 3-4 parrocchie sono evidenti e
difficili da risolvere. Attualmente la vita di ogni parrocchia è organizzata secondo
“La pastorale tradizionale”, fondata molto sulla quantità delle Messe celebrate,
ma questo non significa che basta celebrare la Messa per dare la necessaria formazione
alla Comunità. L’Eucaristia, è certamente il culmine della professione della
fede, ma va accompagnata da una nuova, pregnante collaborazione del popolo di Dio con il sacerdote. La Comunità dei fedeli deve essere un Unicum collaborativo, e il Sacerdote ne è l'amministratore.

Si, oltre l’Eucaristia,
amministrata dal sacerdote, nella Comunità ecclesiale ci deve essere molto
altro, che spesso oggi manca. L’eucaristia non è il punto di partenza ma è il
punto di arrivo della fede! C’è molto che il Cristiano della Comunità deve conoscere e praticare, a partire dalla conoscenza della Bibbia e dei testi sacri, che preparano alla mensa della
Parola, al servizio. all’attenzione e alla cura da dare ai soggetti più fragili della
Comunità; c’è lo stare insieme e operare in pace e armonia, tutte relazioni che preparano
all’accostarsi alla mensa del Corpo del Signore, del pane spezzato, e che rendono
«vera» l’Eucaristia.

Amici, se una Comunità non
porta avanti tutte queste relazioni sociali fondate sull’amore e sulla carità, la Messa
rimane un rito esteriore, lontano dalla vita. Il problema odierno è, dunque,
quello di rinnovare quella “Pastorale tradizionale” che continua ad essere applicata ma va rinnovata,
facendola diventare più coinvolgente, in modo tale che i fedeli laici siano dei
veri e sinceri collaboratori del sacerdote. Il coinvolgimento dei
laici nella gestione della parrocchia deve essere la base del rinnovamento
della Pastorale attuale. Questa fruttuosa unione tra sacerdote e fedeli può iniziare a sopperire alle carenze prima evidenziate. Come sappiamo i fedeli battezzati
possono fare molto nella Comunità ecclesiale: possono amministrare validamente
il battesimo, predicare, assicurare la catechesi, presiedere liturgie della
parola, i funerali, distribuire la comunione, assistere ai matrimoni, esporre
il Santissimo per l’adorazione, visitare i malati, seguire la formazione
giovanile, amministrare i beni e molti altri compiti che oggi sono lasciati in gran
parte a carico dei Presbiteri.

A chi sostiene che c’è il
rischio della “Clericalizzazione dei laici”, ossia il pericolo di affidare ai
fedeli laici incarichi propri del Sacerdote, come la guida della Comunità,
bisogna rispondere che il sacerdote è e sarà sempre sempre il fulcro della vita comunitaria, e
che i fedeli sono i suoi delegati, nelle funzioni che non sono esclusive, salvo
quelle specifiche del ruolo di “amministratore dei sacramenti”. Il sacerdote,
in questo modo, continuerebbe ad essere il grande coordinatore e la guida della
Comunità.

Cari amici, sono certo che la Chiesa troverà
certamente le giuste soluzioni agli attuali problemi, partendo proprio dal coinvolgimento della Comunità, in particolare quella giovanile. Questa è la via da intraprendere per ritrovare quelle vocazioni oggi carenti. Certo, anche soluzioni
come quella prima ventilata (la non obbligatorietà del celibato), potranno
essere portate avanti “Cum iudicio”, vagliando la possibilità che chi è chiamato
al sacerdozio, ma che desidera anche formare una sua famiglia, possa essere
messo in condizioni di soddisfare entrambe le esigenze.
A domani.
Mario