martedì, settembre 24, 2013

ARBOREA, FRUTTO INTELLIGENTE DELLA BONIFICA AGRARIA DELLA PIANA TERRALBA, SI AVVICINA AL SECOLO DI VITA. PERCHE’ QUEST’UNICO ESEMPIO DI MODERNIZZAZIONE AGRICOLA DEL TERRITORIO SARDO NON SI E’ ESTESO AL RESTO DELL’ISOLA?



Oristano 24 Settembre 2013
Cari amici,
che la realtà di Arborea costituisca quasi un’eccezione nel panorama agricolo della Sardegna è un dato di fatto. Anche le recenti polemiche sulla liquidazione della Società Bonifiche Sarde, la società che avviò quell’importante progetto di trasformazione agraria che fece di una landa desolata e infestata dalla zanzara anofele  una terra di alta qualità, non fanno che ribadire che in Sardegna “INNOVARE”, cambiare radicalmente e modernizzare è un’impresa titanica.
Mi piace riepilogare qui con Voi la lunga storia di questa grande bonifica che ha creato Arborea, progetto innovativo  che, se avesse avuto miglior seguito, se non fosse rimasto isolato, avrebbe potuto costituire il volano per trasformare il nostro territorio sardo in una regione ad alta competitività sia agricola che industriale, sfruttando al meglio il potenziale insito nelle sue caratteristiche: posizione, clima, e risorse naturali.
In Italia tra fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento venne avviato un processo d’industrializzazione massiccio, destinato a cambiare gli arcaici precedenti processi produttivi, mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie: energia elettrica ricavata dalla costruzione di nuove dighe e nuovi mezzi di trasporto, in particolare ferroviari. La Sardegna, a differenza di molte altre Regioni, era sempre rimasta schiava delle sue profonde contraddizioni: allevamento della pecora a pascolo brado, campi non coltivati lasciati ad erbai naturali, acque malgovernate, aziende agricole male attrezzate e scarse attività produttive e di trasformazione, carenti proprio a causa della mancata bonifica di ampie zone pianeggianti che restavano incolte, e diventate, per la mancata regolazione delle acque,  paludi e acquitrini, dove la zanzara anofele, portatrice della terribile MALARIA, si riproduceva in quantità industriali!
Ai primi del ‘900 il crescente intervento dello Stato nel settore delle opere pubbliche, la legislazione speciale per il Sud e per le Isole, con la conseguente opportunità di finanziamenti pubblici e di agevolazioni creditizie e fiscali, nonché le grandi possibilità offerte dall’elettrificazione come volano dello sviluppo industriale, avrebbero potuto portare anche in Sardegna sviluppo e innovazione. Si presentava, insomma, per l’Isola un’occasione irripetibile per uscire dall’arretratezza e dal sottosviluppo, considerati gli ampi mezzi finanziari disponibili. Presso il Ministero dell’Agricoltura fu istituito (1909) l’ufficio speciale per la Sardegna. Il sardo Cocco Ortu, Ministro dell’Agricoltura con Giolitti, fu promotore di molte delle riforme sociali varate con diverse Leggi Speciali in favore della Sardegna, la quale, per la prima volta, avrebbe avuto una reale e concreta possibilità di cambiamento. La Sardegna, dunque, doveva assolutamente cogliere questa favorevole occasione, svegliarsi dal suo torpore e dal suo tradizionalismo, abbandonando quel deleterio individualismo e accettando lo slancio proveniente dall’esterno! Questo forte impulso innovatore, che metterà insieme pubblico e privato, operando, attraverso il connubio tra Stato e Sistema Creditizio, a partire dalla Banca Commerciale Italiana, è destinato a portare avanti grandi interventi  anche nella negletta terra dei nuraghi.
Grazie ad un intelligente pool di uomini d’azione, in primis l’ingegnere cagliaritano Edmondo Sanjust di Teulada, Ingegnere Capo del Genio Civile di Cagliari, assertore vigoroso della realizzazione di importanti interventi di bonifica nell’Isola, attraverso la partnership tra lo Stato e il Capitale Privato, e di illuminati e sapienti progettisti, come Angelo Omodeo, viene studiata per l’Isola un’azione bonificatoria, idraulica e di trasformazione fondiaria di grande spessore. A loro, infatti, va riconosciuto il merito d’aver avviato il grande progetto del recupero e della trasformazione della Piana di Terralba, che prese corpo e poté realizzarsi attraverso la stretta alleanza tra tecnica (Sanjust e Omodeo), Politica (Cocco Ortu, Nitti e Turati) e Finanza (Giuseppe Toeplitz, B.C.I. e Giulio Dolcetta), senza dimenticare l’avv. Felice Porcella (Sindaco di Terralba dal 1895, Deputato dal 1913), vero ispiratore della bonifica terralbese.
Il 4 novembre 1911 venne costituita in Sardegna  la S.E.S., Società Elettrica Sarda, sostenuta dalla B.C.I. e dalla Società Strade Ferrate Meridionali. Scopo principale della neonata società era l’esercizio di centrali generatrici d’energia elettrica, da erogarsi come forza motrice per trazione ed altri usi industriali, ferrovie e tranvie. Determinante fu l’apporto tecnico di Angelo Omodeo che, su incarico della B.C.I. e della S.E.S., mise in cantiere progetti innovativi per la regolamentazione delle acque del Tirso con la costruzione di una grande Diga nell’alto oristanese che, realizzata, prenderà il suo nome. L’impianto, straordinariamente innovativo per l’epoca, oltre che fornire un grande quantità d’acqua per l’irrigazione, produrrà a basso costo energia elettrica (carbone bianco).
Nel 1912 l’Avv. Felice Porcella, allora Sindaco di Terralba (diventerà Deputato nel 1913), perennemente interessato al risanamento del suo territorio, presentava al Regio Parlamento un Progetto di deviazione del rio Mogoro, per mettere fine alle inondazioni ed agli impaludamenti, anche in vista dell’eliminazione della piaga della MALARIA che poneva l’Isola al vertice della graduatoria della sua diffusione in Italia. Affermava Porcella: “…per la felicità e la fortuna di questo popolo non basta curare soltanto la malaria del corpo, bisogna fugare anche la malaria dell’anima, che è l’ignoranza. Un popolo tanto più vale e può quanto più sa, perché l’ignoranza è compagna inseparabile dell’ignavia e della miseria…”. Terralba, dalla cui bonifica nascerà Arborea, contava allora oltre cinquemila abitanti e inaugurava, su progettazione degli ingegneri Remigio Sequi e Dionigi Scano, un grandioso edificio scolastico dopo circa un anno dall’inaugurazione dell’Acquedotto. Dionigi Scano sarà poi Direttore Generale della Bonifica.
Nel 1914 Felice Porcella, già Deputato da un anno, vista l’inerzia del suo precedente intervento, intraprendeva nel Regio Parlamento (XXIV Legislatura, Disegno di Legge 3 luglio 1914 n.152 Provvedimenti straordinari in favore della Sardegna) una appassionante battaglia per sollecitare il risanamento idrico-agricolo-finanziario-culturale della sua Terralba, ripresentando la progettazione per la bonifica idraulica nella valle inferiore del Tirso e la bonifica agraria del Campidano d’Oristano, in esecuzione delle leggi riunite nel T.U. 10 novembre 1907 n.844, rimaste lettera morta. Il progetto di bonifica idraulica, che partiva dalla sistemazione del rio Mogoro, non ebbe vita facile, visse un iter tormentato, complice anche la forzata interruzione della Grande Guerra 1915/18, e troverà concreta realizzazione solo negli anni 1923/24.
L’ennesimo disastro provocato nella piana di Terralba dall’inondazione del febbraio 1917 accelerò l’iter parlamentare per la definizione delle progettazioni della bonifica di quel territorio. Grazie anche alla collaborazione tecnica fornita a Porcella dall’amico e collega Antonio Pierazzuoli e favorito anche dallo studio Alpe-Serpieri sul Campidano oristanese, vengono messe a punto le proposte definitive per la bonifica integrale della Piana Terralbese. Realizzatore illuminato sarà l’ing. Giulio Dolcetta. Nell’Oristanese, la scelta del risanamento del Terralbese, da parte di imprenditori privati ed istituti di credito meno lenti dello Stato, con una bonifica integrale che doveva impiegare migliaia di uomini disoccupati, donne e ragazzi, venne accolta come una manna dal cielo, come un ritorno alla vita, dopo i disastri portati dalla Grande Guerra. Il solo desiderio era, ora, quello di lavorare in pace per riprendere a vivere, rifarsi una casa e una famiglia. L’8 agosto 1918 il Decreto Luogotenenziale n. 1256 (alla cui preparazione collaborò Porcella) autorizzò il Governo a concedere l’esecuzione delle opere di bonifica integrale.
Il 23 dicembre 1918 venne costituita la Società Bonifiche Sarde, S.B.S., che svolgerà una funzione essenziale nella trasformazione della improduttiva e acquitrinosa piana terralbese. Il territorio del Terralbese oggetto della bonifica era vasto: oltre 18 mila ettari, delimitato dagli stagni di S’Ena Arrubia a nord, Sassu ad est e di San Giovanni a sud. La Società Bonifiche Sarde iniziò i lavori il 1° marzo 1919, cominciando dalla TANCA DEL MARCHESE, la Tenuta ubicata a 4 km a sudovest di Terralba. La nuova società, la SBS, era governata dagli ingegneri Ottavio Gervaso, e Dionigi Scano, Direttore generale della Bonifica, espressamente designati da Giulio Dolcetta. 
Nella prima fase furono assunti un centinaio di operai e la direzione operativa della S.B.S., ovvero il suo Quartier Generale, trovò sede presso la Cascina del Marchese, opportunamente riadattata. Era questo l’unico manufatto esistente nei circa 18 mila ettari da bonificare! Proprio qui si presentarono i tanti senza lavoro che, sollecitati dai bandi comunali di Terralba, Marrubiu, Uras, S.N.D’Arcidano, Santa Giusta e tanti altri paesi sardi, cercavano ristoro alla miseria; successivamente negli anni dal 1927-28, arrivarono i continentali (veneti in particolare) che s’insedieranno pian piano sulla terra bonificata che diventerà una nuova realtà con la nascita di Mussolinia-Arborea., nata originariamente come Villaggio Mussolini. Nell’ottobre del 1928, alla presenza di Vittorio Emanuele III°, di Costante Ciano (padre di Galeazzo) e delle più alte cariche dello Stato, venne, infatti, inaugurato il “Villaggio Mussolini”, articolato in  sette corti coloniche denominate S’Ungroni, Alabirdis, Pompongias, Torre vecchia, Linnas, Tanca Marchese e Luri.
Terminata la bonifica era necessario “popolare” queste nuove terre recuperate. La Società Bonifiche Sarde aveva realizzato poderi modello che ora necessitavano di braccia forti e capaci per gestirli. Il problema del popolamento di questi luoghi, fu risolto dal regime fascista invitando a  “trasferirsi” nei nuovo poderi  i contadini e gli agricoltori, provenienti da altre regioni italiane. A Mussolinia-Arborea arrivarono in tanti, soprattutto dal Veneto, dove la grande povertà portata dalla Grande Guerra, era maggiore. Si pensi che i soli coloni veneti, nel 1930, rappresentavano ben il 67,8 % della popolazione residente. I primi abitanti della zona bonificata non raggiungevano le 1.000 unità ma nel 1936 Mussolinia contava già 3.800 persone.
L’intenso lavoro di questi coloni, svolto spesso in condizioni incredibilmente difficili, riuscì a trasformare radicalmente l’acquitrinosa e spopolata zona, regno incontrastato della zanzara anofele, in una fertile e rigogliosa pianura. Sono passati ormai 85 anni da quel lontano ottobre del 1928, che vide la nascita di una nuova cittadina, in un territorio fino ad allora, chiamato “Ala Birdis” che in lingua sarda significa “ali del diavolo”. Nome appropriato perché non solo paludoso ma infestato da insetti, bisce, tarantole e scorpioni. Per curiosità ci basti ricordare che per limitare il terribile frutto portato dalle zanzare, la malaria, si pensò addirittura di costruire manufatti idonei ad ospitare una particolare specie di pipistrello, chiamata Kahili, molto prolifera e notoriamente insettivora che, moltiplicandosi rapidamente, avrebbe contribuito notevolmente ad agevolare la lotta agli insetti portatori di malaria.
Un immane lavoro, quello portato avanti dai coloni in gran parte veneti, fatto di disboscamenti, di paludi colmate, di spianature dei terreni, della costruzione di canali, strade, centri agricoli e  case poderali, sorte dove prima c’era solo desolazione e morte.  Case poderali, quelle da assegnare ai coloni, realizzate in perfetto stile architettonico neo-classico veneto, compreso l’emblematico esempio della “Chiesa del Cristo Redentore” ancora oggi esistente.
Oggi Arborea, nome definitivo assunto nel 1944, conta poco più di 4.000 abitanti e, oltre a essere noto come “giardino veneto in terra sarda”, ha un prestigioso primato: quello di figurare al 10° posto, in Italia, per reddito pro capite (dati ISTAT 2004). L’azienda lattiero casearia 3A è oggi una delle realtà economiche di eccellenza, non solo a livello nazionale ma europeo.
A ricordo perenne della figura dell’Ing. Dolcetta  è stato edificato, ad Arborea, un monumento in suo onore e l’Assessorato alla Cultura organizza con l’Associazione Veneti nel Mondo, il Premio letterario “Giulio Dolcetta”, mentre un chiaro riferimento alla regione d’origine è rappresentato dalla “Sagra della polenta”!
Ecco, cari amici, questa che ho voluto ripercorrere è la storia di una “rinascita” portata avanti in anni difficili, e realizzata in un dopoguerra dove tutto mancava e bisognava sopravvivere. L’esempio di Arborea non è comunque servito da traino, da volano per “migliorare” molte altre parti dell’Isola che avrebbero potuto essere migliorate anche in maniera molto più semplice. L’innata diffidenza dei sardi, l’individualismo esasperato, che non consente di mettersi insieme, di “fare squadra”, ha continuato a dominare, stroncando l’associazionismo, unica via per uscire da un contesto arcaico, mettendo “insieme” esperienza ed innovazione.
Chissà se le nuove generazioni, aperte molto più di noi al dialogo con gli altri, sapranno superare questo gap che rischia di tenere la Sardegna più vicina al medioevo che al terzo Millennio!
Grazie dell’attenzione.
Mario

1 commento:

Elisa Magario ha detto...

Gran bell'articolo, Mario.