sabato, marzo 03, 2012

ORDINI PROFESSIONALI:"CORPORAZIONI" PROTETTIVE DEL PROFESSIONISTA O DEL CONSUMATORE? ABOLIRLI O TRASFORMARLI? LA LUNGA STRADA DELLE LIBERALIZZAZIONI.

Oristano 3 Marzo 2012,

Cari amici,

il lungo tira e molla sulle liberalizzazioni, con il continuo e defatigante arrabattarsi di Monti e della sua squadra, che cercano in tutti i modi di quadrare il cerchio, mi ha fatto pensare, con la mia solita ironia, ad una buffa storiella. Non sono uno scrittore di favole ma qualche volta ci provo! Ovviamente, come tutte le favole che si rispettino, anche questa inizia in modo “classico”.

C’era una volta un Capo Tribù, un Patriarca, che voleva molto bene alla tribù che governava. Come nelle migliori famiglie la pace non regnava sempre all’interno della comunità: diverbi, punti di vista diversi, egoismi, lotte di potere. C’erano quelli che gestivano un grosso gregge e quelli che, invece, dovevano – per pochi denari – occuparsene. Lunga la schiera anche dei servitori del Re, a partire dai gabellieri. Non mancavano i soprusi e a farne le spese erano sempre quelli più deboli: chi più aveva meno pagava per garantire i servizi a tutta la tribù. Uno dei problemi più spinosi era quello del lavoro: poco e mal retribuito. Sempre più grosse le file dei giovani in cerca di occupazione che, per quanto si ingegnassero, non trovavano sbocchi, neanche per un salario modesto e aleatorio. Il Patriarca cercava in continuazione di far capire a quelli che potevano, che possedevano ben più del necessario, di aumentare il sostegno alla Comunità con ulteriori e maggiori contribuzioni, ma ogni volta succedeva il finimondo! Minacce continue di mettere sul lastrico intere famiglie, che già facevano salti mortali per cucire il pranzo con la cena, ed erano già ai limiti della sopravvivenza, strangolate dalle tasse e dai bassi salari. Nessuno, però, nonostante i numerosi tentativi del Patriarca, voleva cedere sui privilegi che col tempo si erano formati, a scapito ovviamente dei meno abbienti. Il braccio di ferro continuava, mettendo in crisi l’intera struttura organizzativa della Comunità, ferocemente ed egoisticamente divisa. Dopo una meditata riflessione il Patriarca andò dal Re.

Raccontò, per filo e per segno, quanto succedeva nella sua comunità e, soprattutto, parlò del grande pericolo che avrebbe corso la tribù se non si fosse trovata una soluzione immediata, costringendo le grandi e potenti famiglie a pagare. Il Re lo incoraggiò ad andare avanti, assicurandogli tutto il suo sostegno. Tornato a casa, dopo una ulteriore riflessione il Patriarca si decise ad affrontare di petto il problema, prima che la situazione gli sfuggisse di mano. Era necessario operare subito, senza fare sconti a nessuno, ne andava della sopravvivenza del suo popolo. Preparò un editto con il quale tutti i privilegi, tutte le situazioni di favore venivano abolite: non vi sarebbero stati più figli e figliastri, buoni e cattivi. Con la soluzione in mano tornò dal Re. Il sovrano, lesse l’editto, lo trovò giusto e con la sua firma diede il suo assenso rendendolo operativo. Lo riconsegnò, così, al Capo tribù, ordinando nel contempo che fosse messo immediatamente in esecuzione. La notizia fece, in breve, il giro di tutto il regno: il bando reale stabiliva la validità dell’editto in tutto il territorio del regno e veniva ordinato di rispettarlo e di farlo rispettare: le violazioni sarebbero state severamente punite.

Era questa la mossa giusta. Pur macinando fiele, i vecchi potenti si adeguarono. In poco tempo le attività ripresero fiato; i giovani trovarono, finalmente, diverse possibilità di lavoro e diedero entusiasticamente il loro forte contributo al risanamento della Comunità. La tribù era riuscita a superare il momento negativo con grande determinazione. La vita riprese operosa e, come si dice sempre in conclusione,” tutti vissero, infine, felici e contenti”.

Mi perdonerete se ho voluto usare dell’ironia per raccontarvi il terribile momento che stiamo vivendo.

La crisi economica che si sta cercando in tutti i modi di combattere, al momento tamponata mediante una ulteriore pesante richiesta di sacrifici economici di grande spessore, potrà trovare conforto solo se accompagnata da un buon aumento sia della produttività che di nuove iniziative economiche. Per fare questo bisogna incentivare la creazione di posti di lavoro: senza crescita non si esce dalla crisi. Un terzo dei giovani, pur qualificati, in Italia è privo di lavoro. E’, quindi, necessario liberalizzare il mercato del lavoro attraverso una maggiore flessibilità ed una maggiore concorrenza . Per mettere in atto tutto questo è indispensabile creare una “maggiore libertà” nel mercato del lavoro, incoraggiando un sistema di libera concorrenza in grado di favorire sia le aziende che i consumatori. Per realizzare questo una delle vie proposte è l'abolizione degli Ordini Professionali.

Gli Ordini Professionali oggi in Italia sono considerati, da tanti, delle piccole “Caste” che tutelano i propri privilegi a scapito del consumatore e della meritocrazia. In particolare si fa riferimento all'imposizione di massimi e minimi tariffari, all'assenza sostanziale di concorrenza fra professionisti dello stesso ordine, al divieto di pubblicità ed, infine, alla difficoltà per i neolaureati di esercitare entro breve tempo la professione. Chi chiede l’abolizione di questi Ordini è convinto che non vi siano altre soluzioni. Sulla stessa lunghezza d’onda appare anche l’Antitrust che, pur non affermando che è necessario abolirli, sostiene che gli Ordini vanno riformati. Per fare questo, sostiene l’Antitrust, occorre intervenire per legge sugli Ordini professionali, modificandone la normativa.

La precisa raccomandazione è arrivata dall'Antitrust, che ha diffuso anche gli esiti dell'indagine conoscitiva sugli Albi Professionali, avviata nel 2007 a seguito delle liberalizzazioni introdotte dall'allora ministro dello Sviluppo economico, Pier Luigi Bersani. Dalla ricerca - che ha riguardato i codici deontologici di tredici Ordini (architetti, avvocati, consulenti del lavoro, farmacisti, geologi, geometri, giornalisti, ingegneri, medici e odontoiatri, notai, periti industriali, psicologi, dottori commercialisti ed esperti contabili) - è emerso che la maggior parte degli Albi sta facendo forte resistenza alle liberalizzazioni.

Abolire o no gli ordini ? Questo è il vero dilemma. L’abolizione degli ordini professionali, a detta di chi vuole eliminarli, riduce la spesa pubblica, fa crescere il paese, allarga il mercato del lavoro favorendo l’ingresso di giovani e precari nelle professioni. E’ vero? La verità sta spesso nel mezzo. Ovviamente non è esattamente cosi. Per allargare il mercato del lavoro trovare un posto di lavoro ai disoccupati ed ai precari occorre favorire la nascita di nuove imprese, debellare la inutile ricerca del posto fisso, motivare al risveglio del rischio d’impresa, potenziare la responsabilità dei singoli, favorire la produttività del lavoro (in Italia la più bassa) per creare nuovi posti di lavoro.

Certo, aprire le “forche caudine”, gli sbarramenti, costruiti dagli Ordini contribuisce certamente ad aprirsi alla concorrenza, ma da solo non risolve il problema. Gli Ordini svolgono certamente una funzione che non può essere, di colpo, eliminata. La loro funzione va migliorata, questo si. Infatti, gli ordini professionali, debbono essere considerati, a tutti gli effetti, garanti sia dei propri associati che dei loro clienti: in una parola debbono diventare una vera e propria “Autority” come quelle già operative: come l’Antitrust, l’Agcom, l’Autorità per energia e gas, l’Autorità lavori pubblici, il CNIPA, la Consob, il Garante privacy, l’ISVAP, la Commissione diritto di sciopero, il Covip, la Trasparenza della P.A. ecc. Le Authority, non dimentichiamolo, sono nate per tutelarci dai monopoli di mercato, dalle irregolarità che grandi gruppi economici attuano a discapito dei consumatori, o dalle violazioni della nostra privacy. Ci proteggono da attività truffaldine, sorvegliano la correttezza e la deontologia di coloro che prestano un servizio. Insomma costituiscono un sistema capace di far funzionare meglio un paese democratico.

In questa direzione si possono e si debbono evolvere gli attuali Ordini Professionali. Credo che anche buona parte dei professionisti lo abbia capito che “il futuro” non può che passare per questa strada.

Due giorni fa, il primo Marzo, si è svolto il «Professional Day», la giornata dell'orgoglio professionale, alla quale anno partecipato oltre settecentomila persone. Un dibattito a più voci che si è concluso sul palco dell'Auditorium romano della Conciliazione. “Possiamo dire di avere raggiunto un risultato importante”, hanno risposto tutte le categorie e le rappresentanze della politica: “ma soprattutto la nostra non è stata tanto una giornata di protesta, quanto di riflessione e di impegno per il futuro». E per chi il futuro lo ha davanti: i giovani, che rappresentano la metà dei 2,3 milioni di professionisti italiani.

Credo davvero che, ormai, sia giunta l’ora di trovare la giusta soluzione. Ne va del bene del Paese. Credo proprio che gli Ordini, trasformati in Autority, siano la via più praticabile: nell’interesse degli associati e, soprattutto, nell’interesse dei clienti. Perché se si fa l’interesse del cliente, indirettamente si fa anche il proprio: nessuno ama uccidere la gallina(cliente) dalle uova d’oro!

Chiudo rivolgendo un virtuale invito a Monti, che dall’alto della sua professionalità non ha certo bisogno di molti consigli o di aiuto: “ Non si faccia fermare da nessuna lobby o potentato. Non avrebbe senso. Gli italiani tutti lo guardano e lo giudicano. Porti avanti il suo pensiero e la sua ricetta, ad ogni costo. Domani potranno dire che la medicina era anche amara, però, sono le medicine amare quelle che salvano il malato”.


Grazie a tutti Voi dell’attenzione.

Mario

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