Oristano 23 Novembre 2012
Cari amici,
quanti di noi, soprattutto nella bella stagione, passeggiando in campagna hanno ammirato un’ape che posata su un fiore succhiava avidamente dalla corolla il suo dolce nettare?
Credo proprio tanti! E’ un mondo, quello delle api, incredibilmente organizzato, presente sulla terra certamente prima di quello dell’uomo; un mondo che ha sempre attratto la curiosità umana e sul quale nei millenni sono nate leggende, non solo per la grande bontà dei prodotti che le api fabbricavano ma anche per la sua perfetta organizzazione sociale.
La comparsa dell’ape sulla Terra è sicuramente anteriore a quella dell’uomo: lo dimostrano ampiamente i ritrovamenti fossili, come quello di Gottingen che ci permette di datare la sua presenza sulla terra da 35 a 40 milioni di anni fa. La venerazione da parte dell’uomo dell'ape e del suo dolcissimo miele è una costante che attraversa i secoli. La mitologia considera il miele il prodotto inviato sulla terra dagli Dei. La stessa parola miele sembra derivare dalla lingua ittita “melit” e individuava l’allora unico alimento zuccherino concentrato disponibile, capace di dolcificare gli alimenti. L’ape, fabbricante di questo incredibile prodotto, è stata in poco tempo adottata dall’uomo.
La testimonianza più antica della sinergia tra uomo e ape e che risale al neolitico (5.000-7.000 a.C.) si trova In una rappresentazione rupestre rinvenuta in Spagna nei pressi di Valencia, a Cueva de la Arana intorno agli anni ‘20 del Novecento. Vi è raffigurata una persona (forse una donna) sospesa a liane con una bisaccia e numerose api che le ronzano attorno mentre sta raccogliendo alcuni favi di miele da un anfratto di roccia; più in basso si può notare una seconda figura (probabilmente un adolescente), anch’essa dotata di un idoneo contenitore (Crane, 1983; Marchenay, 1986; Garibaldi, 1997). E’ la primitiva rappresentazione di un cacciatore di miele, attività ancora oggi presente in certe tribù primitive. Il passaggio dall’utilizzo del miele selvatico a quello domestico credo sia stato rapido. Il primo documento storico che dimostra l’utilizzo costante del miele lo troviamo nell’Egitto dei faraoni, sul bassorilievo del sarcofago di Mikerinos (circa 2560 a.C.). Il miele presso gli Egizi era considerato cosi prezioso che essi usavano deporre, accanto alle mummie, grandi coppe colme di miele che il defunto avrebbe consumato durante il viaggio nell’aldilà (vasi di miele ermeticamente chiusi il cui contenuto si era perfettamente conservato sono stati rinvenuti durante gli scavi delle tombe dei faraoni). In alcuni geroglifici si leggono ricette a base di miele impiegate sia nell’arte culinaria che in medicina: cura dei disturbi digestivi, oltre che unguenti per piaghe e ferite.
L’uomo apprezzò cosi tanto questo dolcissimo prodotto che quasi subito mise in atto un vero e proprio “allevamento” delle api. Gli Egiziani furono forse i primi a capire l'importanza di offrire alle api un “luogo sicuro” dove creare l'alveare. Nacquero così attorno al 2600 a.C. le prime arnie fatte di rami, canne intrecciate e fango essiccato; avevano forma cilindrica e venivano poste vicine l'una all'altra per agevolare il controllo e l'allevamento delle api. I luoghi ideali erano i campi lungo le sponde del Nilo, che consentivano ampie fioriture per le api. Anche altri popoli affrontarono e risolsero presto il problema di adottare le api. Ogni popolo sviluppò a modo suo il sistema di costruzione delle arnie; talvolta venivano usati anche oggetti costruiti per altri utilizzi, adattati poi allo scopo dell'apicoltura. In Medio Oriente si prediligevano i vasi in terracotta, nell'Europa centrale i tronchi svuotati, altrove contenitori di paglia o di fibra vegetale e argilla.
Il miele non era, però, solo un prodotto capace di dolcificare gli alimenti. Ricerche storiche dimostrano che i Sumeri impiegavano il miele nella cosmesi già nel 2000-3000 a.C., mentre Assiri e Babilonesi lo usavano a scopo curativo: usavano il miele per le affezioni che colpivano epidermide, occhi, genitali, apparato digerente. Il miele e la cera ottenuta dai favi erano usati anche per trattare i corpi dei defunti. Anche i Celti lo usavano nei riti di sepoltura, mentre per gli Etruschi il miele rappresentava una preziosa offerta votiva.
Nel mondo greco iI miele era considerato il “prodotto degli arcobaleni e delle stelle” e quindi proveniente dagli Dei, di cui era considerato il cibo. L'allora comune credenza voleva che le divinità si cibassero di nettare e ambrosia e che gli dei, in uno slancio di generosità, non potendo dare l'immortalità agli uomini, per confortarli per la loro condizione svantaggiata, permettessero loro di poter gustare il miele facendolo cadere sulla terra dalle loro tavole riccamente imbandite. La forza energetica del miele era tale che i greci lo consideravano un potente elisir di giovinezza e lo somministravano regolarmente agli atleti che concorrevano ai Giochi Olimpici. Aristotele (384-322 a.C.) fu il primo a studiare scientificamente le api analizzandole sia nel modo di riprodursi che nella complessa organizzazione.
Nell'antico mondo romano troviamo importanti studi sulle api e l'apicoltura. Plinio il Vecchio pubblica nel 79 d.C. la "Storia degli animali" dove parla spesso delle api e dell'apiario. Sappiamo per certo che presso i Romani l'apicoltura doveva essere particolarmente sviluppata; essi praticavano la sciamatura artificiale, costruivano arnie e sperimentavano nuove tecniche. Virgilio, apicoltore e poeta, nelle "Georgiche" tratta dell'organizzazione dell'apiario e della flora apistica; è il primo vero e proprio trattato di apicoltura che sarà utilizzato in tutto il mondo occidentale fino al Cinquecento. I Romani facevano grande uso del miele a scopo terapeutico, cosmetico e in cucina, tanto che era considerato un alimento fondamentale, presente in ogni pasto. Essi ne importavano grandi quantitativi da Creta, da Cipro, dalla Spagna e da Malta. Lo stesso nome Malta pare derivi dal termine originale Meilat, appunto terra del miele. I romani non lo utilizzavano solo come dolcificante ma anche per la produzione di idromele, di birra e come conservante alimentare e per preparare salse agrodolci.
Il passare dei secoli non fece mutare il piacere e la passione per il miele: esso continuò ad avere un ruolo centrale nell’alimentazione: basti pensare che fino al Medioevo era l’unico prodotto dolcificante e fu gradualmente soppiantato come agente dolcificante solo nei secoli successivi, soprattutto dopo l'introduzione dello zucchero raffinato industrialmente. Recentemente, però, in virtù delle sue proprietà terapeutiche, il miele sta in parte ritornando in voga. La suprema bontà del prodotto “miele” non è scaturita casualmente, ma è frutto di una perfetta organizzazione produttiva: le fabbriche del miele (le arnie) ed i suoi impareggiabili ingegneri-fabbricanti, le api, dotate di una fantastica capacità organizzativa.
L’organizzazione sociale di questo insetto, e la gestione della sua città-fabbrica, “l’alveare”, ha sempre affascinato l’uomo che dell’ape ha voluto spesso farne un simbolo. Già nell’antico Egitto l’ape era stata scelta a simbolo dei Faraoni del Basso Egitto (a partire dalla I dinastia (3200 a.C.): rappresentazioni dell’ape stilizzata sono state rinvenute su tombe, statue ed in pitture rupestri. Anche i I greci apprezzavano la perfetta organizzazione delle api. Queste erano definite “uccelli della musa”, in quanto ad esse veniva attribuito il potere di conferire all’uomo il dono dell’eloquenza. La religione cristiana considerava le api dotate di forza ed integrità, perché sciamarono dal Giardino dell’Eden dopo la caduta dell’uomo. Anche Maometto si rivolgeva all’ape con deferenza, credendola l’unico animale a cui Dio si potesse rivolgere direttamente. Anche in tempi più recenti l’ape è stata utilizzata come emblema di Papi e Regnanti: si ricordano papa Urbano VIII e Napoleone.
La zoologia classifica le api come Imenotteri, appartenenti alla famiglia degli apidi, genere Apis, che conta diverse specie, tra cui le più comuni italiane sono: l’Ape comune (Apis mellifica ), l’Ape italiana (Apis ligustica), l’Ape carnica (Apis carnica) e l’Ape sicula (Apis sicula). La struttura sociale della comunità delle api, l’alveare, è imperniata sulla superiore importanza della vita sociale rispetto a quella individuale. Nella società delle api ogni singolo individuo esiste in funzione del suo essere “parte necessaria” della comunità: non esiste come individuo a se stante ma come parte integrante di un organismo complesso di cui è compartecipe. In questa “Società”, perfettamente organizzata, l’insieme (l’alveare) ha raggiunto un grado di organizzazione talmente perfetto da essere considerata come un vero “unicum”, un organismo complesso ma unico, perfettamente funzionante.
In questa città-alveare, come in ogni Società che si rispetti, ognuno ha il suo compito ben preciso e la sua funzione. La regina, i fuchi, le api operaie, che si dividono in esterne (bottinatrici) ed interne (casalinghe), operano in perfetta sintonia. Un alveare tipo, nel pieno della sua attività, comprende una struttura cosi concepita: una regina, 300 fuchi, 25mila api esterne, 25mila api interne, 9mila larve nell’incubatoio (da nutrire), 20mila larve nella fase di pupe e circa 6mila uova depositate nelle celle. Nell’alveare la divisione dei compiti stabilisce la reale gerarchia che le caste rivestono all’interno: La regina, i fuchi e le operaie. Il riconoscimento degli appartenenti alle tre caste è semplificato anche dalle differenze nell’aspetto esteriore e per la diversa struttura anatomica.La riproduzione della specie avviene solo ed esclusivamente attraverso l’ape regina, l’unica dotata di apparato riproduttivo e quindi feconda, perché tutte le altre api sono sterili. Il sistema riproduttivo è semplice e complesso allo stesso tempo. Nel periodo stabilito la regina, dopo aver effettuato il volo nuziale e l’accoppiamento che la feconda, ritorna nell’alveare e comincia a depositare un uovo in ogni celletta; dopo tre giorni dalle uova escono le larve vermiformi che vengono nutrite per tre giorni con pappa reale, tutte indistintamente. Dal quarto giorno solo una, la nuova ape regina, continuerà ad essere nutrite con questo alimento, mentre le altre, che diventeranno operaie, riceveranno solo miele e polline). E’ questa una straordinaria alimentazione selettiva che stabilisce, partendo da un’unica base uguale, la scelta della nuova matriarca che dovrà successivamente guidare la comunità. Il costante nutrimento con la pappa reale, infatti, consente lo sviluppo completo dell’organismo dell’ape che diventerà regina, in particolare del suo sistema riproduttivo. A differenza delle api operaie, nate da uova fecondate, i fuchi sono generati da uova non fecondate: non tutte le uova, infatti, vengono fecondate durante il volo nuziale: le uova “vergini” daranno vita a larve da cui nasceranno i fuchi. E’ questo un tipico esempio di riproduzione senza fecondazione o partenogenesi.
La città alveare è un vero regno matriarcale. L’ape regina, la matriarca della comunità, vive fra i tre e i quattro anni. Essa è più lunga di circa un terzo dell’ape operaia: ha la testa più piccola, le antenne più corte e l’addome, più grosso ed allungato, oltre che presentare una colorazione più brillante; le sue ali sembrano più piccole di quelle dell’operaia. Essa, al pari delle operaie, possiede un pungiglione che utilizza contemporaneamente come ovodepositore ed organo di difesa contro altre regine o fuchi. In ogni alveare, normalmente vi è una sola regina, che nasce da un uovo deposto dalla regina precedente e di cui prenderà il posto. Essa viene allevata in una speciale cella al centro del favo e alimentata con pappa reale dalle api operaie; viene accudita con grande attenzione, pulita e “coccolata”, finché, all’età di sedici giorni non è considerata adulta. Talvolta può succedere che vengano allevate contemporaneamente più regine, ma la maggior parte di esse viene uccisa a colpi di pungiglione dalle altre, mentre le superstiti sciamano.
Il governo attento dell’alveare da parte della regina è un compito non indifferente. Essa deve assicurare una regolare deposizione delle uova, l’unica maniera atta a garantire la sopravvivenza della comunità. L’alveare, infatti, è una città sterminata, popolata anche da centomila individui che devono sottostare ad una rigorosa suddivisione del lavoro. Tutti debbono essere perfettamente operativi: nemmeno l’ape regina si sottrae alla regola: la collettività esige da lei un’attività riproduttiva incessante; può deporre, infatti, più di duemila uova al giorno, che equivalgono ad un peso pressappoco pari a quello dell’ape regina stessa. L’ape regina viene fecondata una sola volta in tutta la sua esistenza, durante il famoso volo nuziale; dopo l’accoppiamento immagazzina circa venticinque milioni di spermatozoi del maschio nella propria borsa spermatica, una piccola sacca attaccata all’apparato riproduttore. Le cellule germinali maschili conservate in questo ricettacolo serviranno a fecondare le uova al momento del passaggio nell’ovidotto, dopo la maturazione negli ovai. Nell’alveare, come una vera citta stato, tutti hanno un compito ben definito a cui nessuno può sottrarsi.
I Fuchi, il cui compito è solo quello della riproduzione, quindi di fecondare la regina, non svolgono nessuna altra mansione se non quella riproduttiva. Privi dell’apparato nutritivo chiamato ‘ligula nettarifera’ i maschi sono incapaci di alimentarsi: debbono essere alimentati per tutta la vita dalle api operaie. La loro breve vita, che dura circa tre mesi, finisce al termine dell’estate, quando, cacciati via dall’alveare perché inutili ed incapaci di procurarsi il cibo, moriranno di fame. Le api operaie, invece, sono l’asse portante dell’intera comunità. Esse svolgono tutte le funzioni necessarie al buon funzionamento dell’alveare. Già da giovanissime (a circa 20 giorni dalla nascita) iniziano a prestare la propria opera con l’adibizione a piccoli lavori interni nell’alveare. Il lavoro, ripartito in base all’età delle operaie, inizia con la pulizia dell’alveare, poi dopo circa 12 giorni di vita, le nuove api faranno le nutrici e alimenteranno la regina con la pappa reale; successivamente daranno inizio alla produzione della cera necessaria alla struttura dell’alveare, alla guardiania (contro gli intrusi) ed alla ventilazione dell’alveare per mantenere una temperatura costante. Infine, ormai adulte, cominceranno il lavoro più faticoso, quello di bottinatrici, raccogliendo il nettare e volando incessantemente da e per l’alveare, macinando un’infinità di kilometri. L’attività di bottinatrice è certamente quella più pesante: per trasportare nell’alveare un litro di nettare occorrono circa 100.000 viaggi. Spesso in quest’ultimo compito da adulte le api muoiono di stanchezza fisica, dopo aver dato tutto se stesse alla comunità di appartenenza.
L'ape, da che mondo è mondo, è stato considerato sempre un essere avvolto da un inspiegabile velo di mistero! Agli occhi degli antichi l’ape era considerata una messaggera, che “viaggiava sui sentieri della luce” portando con sé i messaggi che gli uomini inviavano agli Dei. Emblema indiscusso dell'operosità fin dai tempi antichi l’ape è stata protagonista e simbolo in miti, leggende e religioni. Protagonista, nota fin dalla preistoria, per la propria utilità. La mitologia greca considerava le api “messaggere delle Muse” per la loro sensibilità ai suoni, ma anche il simbolo del popolo obbediente al suo re. Quando, secondo la leggenda, Zeus bambino fu nascosto dalla madre Rea in una grotta del monte Ida a Creta per sottrarlo al padre Crono che voleva divorarlo, fu nutrito, oltre che dal latte della capra Amaltea, da un miele prodotto dalle api locali. Particolarmente considerata era anche l'organizzazione dell'alveare, descritta con ammirazione da Plinio il Vecchio e presa a paragone per la sua laboriosità dallo stesso Cicerone. L'ape era considerata anche simbolo del coraggio, per la sua determinazione nell'attaccare gli aggressori.
Cari amici studiare il mondo delle api, quel fantastico mondo costituito di una perfetta e funzionante città-alveare, dove regna un ordine armonico e incredibilmente operoso, mi ha fatto riflettere molto. Mi ha fatto paragonare, rapportare, quel loro mondo al nostro. L’evoluzione umana, lenta ma continua nel tempo, non è riuscita nel lunghissimo periodo, dall'apparizione dell’uomo sulla terra ai nostri giorni, a trovare una armonica organizzazione che consentisse di vivere ed operare nel pianeta in modo pacifico e operoso, dove a ciascuno viene affidato il suo compito. Il nostro mondo si evoluto poco saggiamente (forse in molti periodi involuto), creando quel clima caotico e litigioso, di odio inestinguibile tra le parti, che da millenni ci perseguita. Certo nessun modello, perfettamente funzionante e funzionale in una comunità, può essere applicato banalmente ad un’altra dove, invece, può rivelarsi inadeguato. Può, però, costituire modello di analisi. Lo studio attento di un modello che funziona “bene” può servire per capirne l’essenza, per estrapolare da esso ciò che può essere felicemente applicato in un altro modello. Ecco perché credo che un’attenta osservazione del mondo delle api possa essere utile ad introdurre nella nostra organizzazione umana accorgimenti e sistemi migliorativi dello status quo.
Situazione, quella nostra attuale, litigiosa e conflittuale, dove l’individualismo continua a crescere mentre i valori comuni, quelli che costituiscono il “patrimonio dell’intera comunità”, si stanno sempre più impoverendo. Non sta a me suggerire o dare soluzioni; vorrei solo invitare tutti a riflettere sul funzionamento sbagliato del “nostro mondo”, un mondo cosi imperfetto, rispetto a quello dell’alveare! Basterebbe una sola considerazione per dimostrarlo. Nella città-alveare tutti lavorano, ognuno nella sua mansione, alta o qualificata che sia. Nessuno resta inoperoso ma tutti apportano la propria capacità al servizio e nell’interesse della Comunità. A differenza della nostra società dove in pochi lavorano e in tanti, soprattutto giovani, sono invece costretti a mendicare il pane ai pochi “privilegiati” che lavorano! C’è proprio da meditare e riflettere, molto!
Giunto al termine di questa lunga chiacchierata sulle api, debbo dirvi che non sono riuscito, come avrei voluto, a parlarvi delle straordinarie qualità del loro prodotto: il “MIELE”. Credo che potrà essere oggetto di una delle mie prossime riflessioni. Sono certo che ne varrà la pena!
Grazie, cari amici, della Vostra sempre splendida attenzione.
Mario
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