Oristano 22 Maggio 2012
Cari amici,
quand’ero ragazzo i tempi non erano certo simili a quelli che stiamo vivendo ora. Sono nato nel 1945, a guerra appena finita, e bisognava rimboccarsi le maniche per rimettere in sesto un’economia distrutta.
Come ho avuto modo di scrivere nel mio recente libro di memorie giovanili (ha per titolo “Marieddu” ed è pubblicato dall’editrice E.P.D.O. di Oristano) in quei tristi tempi di recessione era diffusa tra gli abitanti di qualsiasi villaggio una solidarietà oggi assolutamente sconosciuta. Le famiglie, gran parte delle quali mancavano anche dei beni di prima necessità, poteva contare su una organizzazione semplice ma efficace: il vicinato. Questa struttura, che potremo chiamare con un termine moderno una “famiglia allargata”, era un tutt’uno con il complesso delle famiglie comprese nel gruppo delle strade e piazze che lo componevano.
Il vicinato non aveva capi o strutture gerarchiche; la struttura, perfettamente orizzontale, si muoveva in modo incredibilmente funzionale: tutti sapevano le necessità degli altri membri del gruppo e si comportavano di conseguenza. Una malattia, un decesso, una nascita, un compleanno, una cresima o un matrimonio, tutto era praticamente un evento di “tutti” e tutti contribuivano alla sua migliore realizzazione possibile. La scarsità dei mezzi a disposizione della singola famiglia veniva incrementata temporaneamente dall’intervento delle altre: per la festa venivano messi insieme i servizi migliori, le sedie e i tavoli, i cibi e le bibite, come se ad organizzarla fosse davvero un’unica grande famiglia. Anche i momenti meno festosi erano di interesse comune: i lutti o le disgrazie venivano vissuti con un unico sentimento, come una tragedia da vivere in Comunità.
Personalmente toccai con mano l’importanza e la “grandezza” di questa solidarietà. Mia madre, che quando mi mise al mondo aveva quasi 40 anni, ebbe un parto travagliato e, a causa delle forti emorragie, non poté allattarmi, in quanto priva di latte al seno. Non sarei certamente sopravvissuto perché all’epoca non vi era disponibilità del latte artificiale oggi tanto in uso. Fui, invece, immediatamente “adottato” da due donne del vicinato che pur dovendo accudire i loro figli si presero cura anche di me donandomi, ciascuna, una parte del latte di cui avevo bisogno. Posso, con grande sincerità, dirvi che questo grande gesto d’amore rafforzò immensamente la già forte amicizia prima esistente tra le famiglie e, ancora oggi, i miei due “fratelli di latte”, Rimedia e Lorenzo, sono per me qualcosa di speciale, accomunati da un vincolo che va ben oltre l’amicizia.
Si dice comunemente che le forme di solidarietà esistono (o sono esistite) solo tra poveri. Tradotto in termini semplici questo significherebbe che l’abbondanza, il benessere e la ricchezza, hanno ucciso la solidarietà? Oggi il “Saggio sul dono” di Marcel Mauss (1991) può avere ancora valore, in un contesto “globalizzato” come quello attuale, accanto agli aridi teoremi commerciali che hanno ormai pervaso e contaminato l’intero pianeta? Forse.
Nella realizzazione della mia prima tesi universitaria ebbi modo di studiare con attenzione il tema dell’associazionismo, analizzando sociologicamente un’associazione a cui appartengo: il Rotary International. Nata a Chicago, in America, nei primi anni del ‘900 questa forma associativa cercava di ricostruire soprattutto le “relazioni amichevoli tra individui”, ormai sempre più scarse e aride, in un mondo che vedeva crescere, sotto la grande spinta dell’industrializzazione, un consumismo ed un individualismo, in grado di distruggere in modo brutale ed invasivo la consolidata e solidale precedente vita comunitaria. Scrissi in questa mia tesi che il passare del tempo e il continuo miglioramento delle condizioni di vita spostavano, però, l’ago della bilancia dalla solidarietà verso l’egoismo e l’individualismo. Ecco un passo di queste riflessioni:
“L’interazione, lo scambio, la relazione economica e sociale con gli altri individui esiste fin dagli albori dell’umanità. Nel tempo tanti gli strumenti e le regole applicate e successivamente modificate per armonizzare la vita sociale e tenerla al passo coi tempi . Regole, però, con un fine ultimo preciso: far convivere l’innato egoismo dell’uomo con l’altruismo; conciliare l’interesse personale con l’interesse collettivo, il profitto con il dono. Creare quelle regole di convivenza civile dove ciascuno soddisfi i propri bisogni senza prevaricare quelli degli altri…”.
Il Rotary era nato proprio per cercare di conciliare “l’interesse personale con quello collettivo”, chiedendo ai suoi membri l’applicazione di comportamenti etici che, scavalcando l’interesse personale, venissero incanalati verso l’interesse collettivo. La sua rapida crescita dimostrò che la via imboccata era quella giusta.
Franco Arzano, ingegnere, dirigente industriale di livello europeo, consulente ed esperto di telecomunicazioni, governatore del distretto 2080 del Rotary nell’anno 2007.08, ebbe occasione di scrivere in un suo articolo (2004) intitolato Etica e affari:
“… Amartya Sen, l’economista-filosofo di origine indiana, professore ad Harward e premio Nobel sostiene che, dopo un lungo periodo in cui gli economisti hanno trascurato la dimensione etica, appare oggi chiaro che il successo economico non può essere disgiunto da una base etica. E del resto, continua Sen, la tendenza della teoria economica a ignorare gli aspetti etici non era condivisa neppure da Adam Smith, il quale riteneva che il perseguimento del profitto non fosse possibile se non all’interno di un ampio spettro di motivazioni morali che investono sia lo scambio commerciale (dove la fiducia reciproca degli operatori gioca un ruolo importantissimo) sia la redistribuzione della ricchezza (con il principio secondo il quale il modo in cui si divide la torta sociale influisce sugli incentivi al business e dunque sulla dimensione della torta stessa), come ha recentemente ribadito lo stesso Segretario Generale dell’ONU…”.
Oggi, in piena Globalizzazione, il valore etico e morale negli scambi commerciali tra individui e comunità sembra praticamente scomparso. La logica del profitto ha spazzato via quella della solidarietà, della pacifica ed amichevole convivenza, dove l’aiuto reciproco non ha più ne patria ne valore.
Anche senza applicare alla lettera quanto contenuto nell’invito evangelico di Luca (“Da’ a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Se amate coloro che vi amano che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate di ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.” (Vangelo di Luca 6, 30-35) ) è certamente possibile pensare seriamente di far rivivere, accanto all’homo oeconomicus l’homo donator, incredibilmente scomparso dalla scena. E’ l’insicurezza e la mancanza di fiducia negli altri che, forse, ha contagiato la gran parte dei comportamenti aridi ed egoistici.
Z. Bauman individua proprio nell’insicurezza che attanaglia l’uomo di oggi la causa della diffidenza verso gli estranei, in particolare gli stranieri, coloro che sono “diversi”. E’ un modo per cercare di trovare rimedio all’incertezza, nella ricerca di quella sicurezza, capace di garantire sia la nostra integrità fisica che tutte le sue estensioni: la nostra casa, i nostri beni, il quartiere in cui viviamo. Con il risultato di far crescere la diffidenza nei confronti di quanti ci circondano, e in particolare degli estranei. La città, lo tocchiamo tutti i giorni con mano, risulta cosi composta quasi esclusivamente da “estranei”. E’ diventato un “perfetto sconosciuto” anche il nostro vicino di pianerottolo che evitiamo di salutare anche stando a fianco a lui in ascensore, immersi nella nostra solitaria e arida indifferenza/diffidenza; E’ una grande “folla solitaria”, quella delle nostre città, come la definisce Riesman.
Al rapporto amichevole e di fiducia preferiamo quello asettico e arido, solo “commerciale”. Quando compriamo qualsiasi cosa, dal fornaio ai grandi magazzini, la transazione non ha risvolti: nello scambio non vi è sottesa nessuna relazione amichevole: danaro contro merce senza vincoli di sentimento. Per questo motivo spesso rifuggiamo dalla logica del “dono” perché rappresenta un pericolo. Il dono presuppone un rapporto più complesso, crea legami e vincoli, impone la costruzione o il miglioramento di legami con gli altri. Può dunque spaventare per la sua caratteristica di “coinvolgimento”. Per questo spesso siamo anche disponibili a dare soldi per opere caritatevoli, purché non si crei il circuito, la spirale del “donare, ricevere e ricambiare”. Agire in una logica del dono significa riconoscere che tutti abbiamo qualcosa da dare ad un altro e abbiamo, nello stesso tempo, bisogno di ricevere noi qualcosa dall’altro. In questo contesto è allocato l’homo donator, molto diverso da quello asetticamente “economico”, meno arido e più umano, meno egoista e più sociale più solidale.
Ebbene, cari amici, è tempo che ci riappropriamo dell’homo donator, ne va della nostra stessa esistenza, oggi ridotta a semplice e meccanica sopravvivenza.
I primi spiragli già si intravvedono. Il “microcredito” comincia a prendere piede e dimostra che non sempre il profitto paga. Un nuovo modello economico si affaccia alle porte del nostro millennio: “IL SOCIAL BUSINESS”. Muhammad Yunus, padre del microcredito, non ha mai rinnegato le dottrine economiche. Ha studiato con attenzione gli economisti, in particolare Adam Smith, noto in tutto il mondo per la sua teoria della “mano invisibile”. Egli anzi è un grande ammiratore di Adam Smith, universalmente noto come uno dei padri dell’economia. Forte di queste conoscenze e di questi studi nel 2006 ha fondato il “Centro Yunus”, dove con determinazione cerca di applicare economicamente gli inviolabili principi di moralità ed etica. E’ proprio coniugando economia, morale, etica e principi umanitari che il Suo “Social Business” avanza e si afferma. E’ un modo “nuovo” per superare il modello capitalistico di business oggi in auge, basato sull’egoismo e sull’individualismo, riscoprendo i modelli solidali delle antiche Comunità, costituiti da altruismo e condivisione.
Muhammad Yunus ha aperto una via importante che non è certo l’unica. Ciascuno di noi può fare molto senza aspettare che gli altri facciano. Voglio tornare all’esempio portato in apertura di queste riflessioni: la solidarietà del “Vicinato”. Credo che anche oggi sia nelle grandi città che nei villaggi possa rinascere una solidarietà di “Quartiere”, nuovo termine che ha sostituito il termine “Vicinato”. Se provassimo a ricostruire quelle relazioni interrotte o mai nate, se provassimo a sorridere e tendere la mano al vicino, partendo proprio da quello del nostro pianerottolo, forse saremo già sulla buona strada. Se provassimo a vivere insieme, come in passato, le gioie e i dolori familiari vivendoli nuovamente “insieme”, come parte di una vera “famiglia allargata”, avremo già raggiunto il nostro scopo. Ci sentiremo meno soli, sentiremo meno anche il peso della recessione che, pur in diversa misura, tocca tutti noi.
Credo, cari amici, che la rinascita dell’homo donator sia una via possibile e praticabile. Homo donator che non dovrà in nessun caso sostituire l’homo oeconomicus ma solo affiancarlo, prenderlo per mano. Insieme potranno fare ancora molta strada, ricreando quella gioia e quella solidarietà, che ha accompagnato l’uomo per lunghi anni e che per molti altri ancora potrà accompagnarlo.
Grazie dell’attenzione.
Mario
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