Cari amici,
l'argomento di oggi è di non poca attualità e, sopratutto, crea ansia e preoccupazione in milioni di italiani: è l'argomento della previdenza. Da sempre fin dai tempi più antichi ha costituito un serio problema perché riguardava sia le condizioni di vita del lavoratore che quelle della famiglia.
Questa preoccupazione ha creato in me un'ansia che ho voluto 'calmare' ripercorrendo il tortuoso sentiero che ha portato allo stato attuale. Ecco la lunga storia della previdenza.
La necessità di trovare soluzione ai bisogni individuali delle classi meno abbienti, che non potevano contare su rendite e prebende precostituite, ha sempre tolto il sonno a chi non era in grado di proteggersi, di provvedere a se stesso o alla famiglia, in caso di invalidità, malattie, povertà e vecchiaia. Una prima risposta a questi ‘mali’ la troviamo nel modello storico applicato nell’antica Roma dai "Collegia Opificum" , associazioni costituite da artigiani con l’intento di rispondere, in modo collettivo, ai bisogni delle varie categorie. Era questa una forma intelligente di organizzazione proletaria nata per affrontare i disagi dovuti agli imprevisti: malattie, invalidità, guerre, povertà e vecchiaia, e costituivano nel contempo una vera e propria ‘protezione’ per le diverse categorie professionali che ne facevano parte, una sorta di forma previdenziale ed assicurativa. Quando la società romana mutò il suo assetto costitutivo, dividendo i cives (residenti dei grandi centri urbani) dai vici (residenti delle campagne e delle aree periferiche), e lo sviluppo dell'economia cambiò la struttura delle organizzazioni, ai “Collegia” si affiancarono le corporazioni, le congregazioni, le università e le scuole. Queste spontanee associazioni di uomini ebbero successo presso il popolo per molti secoli, fino alla nascita delle corporazioni di tipo medioevale, create da artigiani e commercianti per la difesa degli interessi delle loro categorie.
Nel Medioevo le corporazioni delle arti e mestieri create dagli appartenenti alle diverse categorie di artigiani a partire dal XII secolo, si svilupparono in molte città italiane ed europee; la loro funzione era quella di regolamentare e tutelare lo svolgimento delle diverse attività professionali degli appartenenti. Il sodalizio si fondava principalmente sull’impegno che legava rigidamente i loro membri: dal rispetto delle regole sullo svolgimento del lavoro all’assistenza reciproca e alla difesa degli interessi comuni.
In Italia esse furono definite genericamente Corporazioni delle Arti; in Francia presero il nome di Guildes, in Inghilterra Guilds, in Spagna Gremios, in Germania Zünften e nel regno di Sardegna Gremi. Le Città Regie del Regno di Sardegna in età spagnola, ovvero le sette città non infeudate di Cagliari, Sassari, Oristano, Alghero, Iglesias, Castelsardo e Bosa, godevano di prerogative speciali, e tra queste vi era la possibilità di istituzione dei “Gremi”. Tali sodalizi, a prescindere dall’attività prestata, erano, considerato il periodo, strettamente legate alla Chiesa. I Gremi più attivi erano quelli degli agricoltori, dei falegnami, dei ferrai, dei sarti, dei calzolai, dei figoli e dei carrettieri. L’associazione, per religiosa devozione, era posta “in grembo”, ovvero sotto la protezione di uno o più santi, da qui il nome Gremio, ed era regolamentata da rigidi statuti di diretta derivazione barcellonese.
Il compito primario di ogni corporazione era la difesa del monopolio dell’esercizio del proprio mestiere e chi lo praticava, pur non essendovi iscritto, veniva considerato dalla corporazione un lavoratore che costituiva un potenziale pericolo verso gli iscritti. Era quindi necessario mettere in atto tutti quegli sbarramenti utili alla salvaguardia della categoria. Le norme comuni a tutte le corporazioni, riguardanti la loro linea di condotta e gli scopi perseguiti possono essere cosi riepilogati:
*La rigida tutela della qualità dei manufatti, soprattutto per quanto riguarda le corporazioni dedite alle attività commerciali; i regolamenti interni imponevano un ferreo controllo sull’uso delle materie prime, gli strumenti di lavoro, le tecniche di lavorazione e quello che oggi chiameremmo la lotta ai falsi, cioè quei prodotti che non rispettavano gli standard qualitativi previsti dalle associazioni;
*Il ribadito principio dell’uguaglianza tra i soci, che sebbene fosse rispettato solo formalmente, era volto a impedire azioni di concorrenza sleale tra i membri della corporazione; in realtà lo svolgimento delle attività era vincolato da un ordine gerarchico, che distingueva gli appartenenti in maestri, apprendisti e semplici lavoranti, creando una notevole disparità economica tra gli iscritti;
*L’esercizio esclusivo della giurisdizione sui suoi iscritti, che ciascuna Corporazione rivendicava stabilendo una competenza senza interferenze nelle materie di sua competenza, come le cause tra i membri e le infrazioni commesse verso i regolamenti.
*La particolare attenzione rivolta verso la formazione delle nuove matricole, attraverso un serio periodo di apprendistato (l'attuale tirocinio) che aveva durata variabile da città a città; l’apprendista entrava poco più che bambino nella bottega del maestro che si impegnava ad insegnargli tutti i segreti del mestiere.
Ogni arte aveva un proprio ed esclusivo Statuto ed era strutturata stabilendo dei rigidi organismi di rappresentanza che nel tempo divennero sempre più verticistici e ristretti:
*Il Corporale: era l’assemblea plenaria degli iscritti che inizialmente si riuniva a scadenze ravvicinate ed eleggeva dei rappresentanti chiamati a seconda dei casi, consoli, priori, rettori, capitani, ecc.; i consoli restavano in carica solo per brevi periodi e avevano il compito di gestire tutte attività della corporazione, comprese le pubbliche relazioni con l’esterno;
*Il Consiglio: era un organo di consulta più ristretto con il compito di ratificare o respingere le decisioni dei consoli e si sostituì progressivamente al Corporale, convocato sempre meno frequentemente;
*L'Apparato burocratico: composto in genere da un notaio con funzioni di segretario e addetto al protocollo e un tesoriere.
Nel libro “ Corporazioni, Gremi e Artigianato tra Sardegna, Spagna e Italia nel Medioevo e nell’Età Moderna (XVI-XIX Secolo) – Agorà 2000”, a cura di Antonello Mattone, viene messo in risalto l’insostituibile ruolo svolto da queste Associazioni nei vari campi delle lavorazioni artigiane. Nel volume viene proposto un itinerario storico attraverso la cultura artigiana della Sardegna, della Corona d'Aragona, di Napoli, della Sicilia, di Genova e Torino dal Medioevo all'epoca moderna. Lo studio degli statuti dei “Gremi” e degli atti notarili ha dimostrato il ruolo guida svolto dalle associazioni artigiane nel campo dell'edilizia, dell'abbigliamento, della falegnameria, della ceramica, dell'oreficeria, dell'argenteria, delle attività portuali, della pesca, dell'agricoltura specializzata e delle tipografie.
I “Gremi”, anche in Sardegna, ebbero una così dominante influenza nella vita sociale che ancora oggi questo retaggio permea ancora le tradizioni religiose municipali ed i rituali civici di città della nostra Isola che in passato rivestirono il ruolo di Città Regie, come Sassari, Oristano e Iglesias. Lo stretto rapporto che legava Corporazioni e Chiesa, soprattutto con l’organizzazione delle maggiori festività in onore dei Santi Patroni dei Gremi, è ancora oggi visibile e tangibile. Sassari attraverso l’ininterrotta “Festha Manna”, la discesa dei Candelieri per l’Assunta, e Oristano con lo svolgimento della ”Sartiglia”, la giostra equestre che si ripete da oltre 500 anni. Corporazioni e Gremi costituivano i principali anelli di trasmissione della coscienza civica e dell'identità urbana attraverso la specializzazione dei mestieri, l'integrazione linguistica, la vita consociativa, le feste e i culti religiosi.
Intorno alla metà dell’800, però, la rigida struttura dei Gremi risultava ‘troppo stretta’ per le necessità dell’epoca che viveva una massiccia industrializzazione. Il contesto economico e produttivo necessitava di una liberalizzazione e i Gremi, con la loro struttura obosoleta, furono sciolti. Ovviamente non si potevano gettare alle ortiche tutte quelle funzioni che esse prima esercitavano; era necessario perciò trovare altre strutture capaci di assicurare tutela agli appartenenti alle arti e mestieri prima riuniti nei Gremi. Nacquero così, al loro posto, le Società di Mutuo Soccorso che si fecero carico dell’assistenza e della previdenza. In Sardegna le prime due strutture di questo tipo sorsero a Sassari nel 1851, ed a Cagliari nel 1855. Anche Oristano non restò indietro. Il 1° gennaio 1866, 79 operai ed artigiani , accogliendo l’invito che il Conte Dr. Pietro Nieddu fece attraverso una “SOSCRIZIONE PER UNA SOCIETA’ DI MUTUO SOCCORSO ED ISTRUZIONE FRA OPERAI IN ORISTANO”, diedero vita alla Società Operaia di Mutuo Soccorso di Oristano, all’insegna del motto “Unione, Fratellanza e Perfezionamento”. La società è ancora viva e vegeta e raccoglie nelle categorie artigiane sempre un ampio consenso.
La spinta, cessata la funzione dei Gremi, a costituire queste nuove realtà associative nasce da una progressiva presa di coscienza da parte delle masse lavoratrici che, con l’instaurarsi di una forte industrializzazione, vivevano con più precarietà di prima la loro condizione. Proprio la ricerca di miglioramento delle condizioni di sfruttamento, da trovare ‘tutti insieme tra lavoratori’, prima ancora che nelle istituzioni politiche, diede forza a questi nuovi strumenti associativi, capaci di far fronte allo stato di precarietà. La Società di Mutuo Soccorso si fondava infatti sull'unione delle forze lavorative per raggiungere obiettivi di promozione economica e sociale, sulla condivisione delle ‘responsabilità di gruppo’ nei confronti del comune destino di lavoro, sul senso della dignità personale e della necessità di essere degnamente rappresentati nel contesto della società civile. Fra i principali obiettivi delle società di mutuo soccorso, oltre la mutualità e la solidarietà, vi era in particolare l'istruzione. Questa rappresentava non solo il miglioramento della qualità del mestiere svolto dai soci ma, soprattutto, consentiva la preparazione delle generazioni future. Gli oneri inerenti agli eventuali bisogni dei singoli venivano ripartiti fra tutti gli associati e il diritto alle prestazioni sorgeva automaticamente quando ne ricorressero e se ne accertassero le condizioni. Agli affiliati era chiesto il regolare versamento di una quota del salario in rapporto alla prestazione garantita.
Col tempo, anche se lentamente, si cercò di regolamentare, a livello nazionale, la materia previdenziale. La previdenza sociale in Italia nasce verso la fine dell'ottocento con l'istituzione della Cassa Nazionale di Previdenza. Il D.M. 18/7/1898 n.350 istituisce la Cassa come organo di tutela previdenziale per la vecchiaia e per l'invalidità. Si tratta di una prima forma di previdenza facoltativa. I lavoratori che si iscrivono volontariamente alla Cassa Nazionale di Previdenza, ricevono una rendita vitalizia al compimento del sessantesimo o del sessantacinquesimo anno, oppure nel momento in cui viene certificata la propria inabilità al lavoro. Il finanziamento della Cassa avviene prevalentemente con i contributi dei lavoratori stessi e in minima parte con la contribuzione dello Stato o di terzi.
L'iniziale principio della volontarietà viene successivamente sostituito con il principio dell'obbligatorietà d'iscrizione alla previdenza sociale. I primi anni della previdenza facoltativa hanno evidenziato la scarsa capacità del sistema nel raccogliere contributi volontari dai lavoratori, spingendo il Legislatore ad introdurre l'obbligo della contribuzione previdenziale da parte dei lavoratori. L'obbligatorietà viene introdotta dapprima per i dipendenti pubblici e per i ferrovieri, dal 1904 al 1910, e successivamente estesa a tutte le categorie lavorative. Il R.D. Lgs. 21/4/1919 n.603 istituisce la " Cassa Nazionale per le assicurazioni sociali ".
Nel 1933 la Cassa Nazionale per le assicurazioni sociali cambia nome prendendo quello definitivo di Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS). La ridenominazione è stabilita nel R.D. Lgs. 27/3/1933 n° 371. Nel corso degli anni '30 si ha anche il primo tentativo di costruire un quadro normativo organico alla materia e ad un unico Testo legislativo. L'unificazione avviene con il R.D.L. del 4/10/1935 n.1827. Nel 1939 viene infine introdotta la pensione di riversibilità (R.D.L. del 14/4/1939 n.636). Il quadro organico della previdenza sociale italiana scritto negli anni '30 costituisce il punto di riferimento per l'intero secolo. Nei decenni successivi il Legislatore è intervenuto per ammodernare le norme o per regolamentare nuove fattispecie (es. estensione della previdenza ai lavoratori subordinati e autonomi, gestioni autonome, istituzione di enti, principio dell'automaticità delle prestazioni) senza tuttavia riordinare l'intera materia con un nuovo testo unico legislativo. Questa la reale situazione attuale che, non ultimo per ragioni di bilancio, si cerca ulteriormente di modificare. Chissà se il risultato sarà...condiviso!
Scopo di questa riflessione, cari amici, non è quello di ‘fare le pulci’ all’attuale sistema previdenziale che, bene o male, governa in Italia l’attività sia lavorativa che post lavorativa. Tante sarebbero le cose da dire e da discutere ma non credo sia questo lo scopo di questa carrellata storica. Il motivo di questa chiacchierata è solo quello di ripercorrere un lungo e difficile percorso, magari per far conoscere ai giovani, la faticosa conquista dei diritti, soprattutto quelli relativi alla protezione dai rischi e dalle avversità che colpivano e colpiscono l’uomo e che, invece, per secoli furono ignorate. Non dimentichiamoci mai che solo “portando avanti e gestendo insieme” un problema, esso potrà, con il concorso di tutti, essere affrontato e risolto.
Questo, cari amici, vale anche per molte altre questioni che debbono trovare soluzione, compresa l'attuale difficilissima situazione socio-economica del nostro Paese che il neo Presidente Monti cerca di gestire. La salvezza della nostra economia e di quelle collegate in Europa, forse, in questo momento debbono trovare soluzione proprio in casa nostra. Senza il concorso di tutti, senza il “sacrificio” di tutti, il problema non solo non si risolverà ma si aggraverà ancora, e potrebbe portare a morte certa. Non è questo il momento di cercare i colpevoli ma quello di trovare i rimedi. Dopo, risolto il problema, sarà non solo utile ma sopratutto necessario stanare i responsabili ed addebitare loro non solo i danni materiali ma anche quelli morali e civili, mettendo in evidenza ed in 'piazza', in modo chiaro, gli illeciti comportamenti messi in atto. Sarà il popolo degli onesti a dare ai colpevoli la giusta punizione.
Grazie, cari amici, della Vostra attenzione.
Mario
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