venerdì, agosto 18, 2017

IL SINIS, SAN GIOVANNI E LE CAPANNE SCOMPARSE. UNA LUNGA STORIA.



Oristano 18 Agosto 2017
Cari amici,
Che la Sardegna possieda meravigliosi scenari incantati non è una diceria, ma una concreta realtà. In molti luoghi apparentemente semplici della nostra Isola si nascondono preziose meraviglie che incantano all'istante ogni viaggiatore. Uno di questi luoghi ‘magici’ è il Sinis, situato al centro dell’Isola, posto sulla costa occidentale e costituito da una formosa penisola con un grande stagno, abitata da millenni. La magia che circonda questa terra, infatti, non è recente: le prime tracce della presenza umana nel Sinis risalgono al Neolitico, come attestato dagli scavi nel villaggio di Cuccuru is Arrius, con il ritrovamento delle prime tombe ipogeiche (le più antiche in Italia); una presenza umana continuata poi nei secoli successivi con l'affermarsi prima della grande civiltà nuragica, poi di quella fenicio-punica e infine della dominazione romana, di cui Tharros fu un grande esempio.
Col passare dei secoli, dopo la scomparsa di Tharros, si sviluppò nei dintorni un villaggio importante, abitato da agricoltori e pescatori: San Giovanni di Sinis, ancora oggi abitato (in particolare nel periodo estivo), al centro del quale troneggia l’antica Chiesa, sede del Vescovo di Tharros fino al trasferimento della sede religiosa ad Oristano (intorno all’anno Mille). Nella storia abitativa umana gli elementi di continuità ci sono sempre stati: i cambiamenti non sono mai stati traumatici e i conquistatori hanno adottato gli stili delle civiltà precedenti. Nel Sinis, abitato da gente semplice come agricoltori e pescatori, il perpetuarsi dell’abitazione stile capanna, non si è mai estinto, a partire dalla civiltà nuragica.
In questo luogo magico le capanne di falasco hanno rappresentato per secoli un ‘modo di vivere’, praticato della gente dedita alla pesca: capanne costantemente utilizzate e reale testimonianza dell'identità di un popolo orgoglioso delle proprie radici; tutto ciò, però, fino alla brutale distruzione, avvenuta nella metà del secolo scorso. Oggi possiamo chiederci: perché sono state vilmente eliminate? Perché le nuove generazioni sono state private della possibilità di vedere e toccare con mano il modo di vivere dei loro avi? Difficile dirlo! Per questa ragione, per poterle ricordare, oggi ho deciso di riportare, seppure sinteticamente, le curiose vicende di questi straordinari manufatti, partendo dalle origini: la storia e l’architettura di queste incredibili strutture abitative.
Nei secoli scorsi le capanne di falasco erano bellamente allineate sull’arenile, nella parte alta, poste di fronte all’attuale lungomare di San Giovanni; in realtà erano, nella forma e nella sostanza, non troppo dissimili dalle antiche abitazioni nuragiche. Gli studi archeologici, infatti, hanno dimostrato che la dimora dei protosardi non era il nuraghe, bensì la capanna presso il nuraghe, come confermato dai numerosi lavori di scavo, studio e ricostruzione fatta dagli archeologi. Le piante degli edifici assumevano le forme più varie, tuttavia la più tipica e diffusa era la pianta rettangolare, praticamente identica nella forma, perpetuata nel tempo, di quelle ubicate nel mare del Sinis, salvo alcune differenze nei diversi materiali utilizzati.
Le modalità costruttive delle capanne poggiate sull’arenile, costituito da sabbia compatta e finissima, erano particolari. Determinati accorgimenti erano messi in atto per sfruttare e non sottomettere la natura, sempre rispettandola e mai violentandola, trovando sempre le giuste e appropriate soluzioni. La struttura portante della capanna era costituita da travi di legno. Si iniziava piantando 4 robusti pali che venivano fissati ai quattro spigoli del rettangolo; altri quattro pali vi erano poggiati in senso orizzontale. Nella parte anteriore e in quella posteriore si realizzava, con altri due pali, il timpano, dalla caratteristica forma a triangolo. Al vertice dei due timpani poggiava il palo che fungeva da spina dorsale della capanna. Il pavimento era realizzato in terra battuta (una bagnatura costante evitava la polvere e lo rendeva solido).
Tra palo e palo veniva distesa un’intelaiatura di canne, saldamente legate con i giunchi. Su questa base (senza alcun tipo di malta) venivano poi disposti dei fasci di falasco (su cruccuri): aggettanti gli uni sugli altri. Normalmente era prevista un'unica apertura: un ingresso basso sul prospetto anteriore con un architrave sempre di falasco, ma era prevista anche una seconda apertura. Al centro della capanna si trovava il focolare, "sa forredda", scavato direttamente sul battuto di terra. Il fumo, seppure inizialmente invadeva l'ambiente, fuoriusciva poi lentamente attraverso le fascine di falasco. L'inclinazione delle coperture, abbastanza ripida, era concepita per agevolare un veloce scorrere dell'acqua piovana.
Ecco come Luigi Garau, "Luisiccu”, uno degli ultimi esperti di queste costruzioni, raccontò tempo fa a Lidia Flore, che lo intervistava, le principali caratteristiche costruttive di queste particolari abitazioni. Il vecchio raccontava che esse erano il ricovero per il pescatore ed i suoi strumenti di lavoro nelle pause scandite dalle condizioni del clima e del mare. Erano dei monovani rettangolari costruiti con una intelaiatura (sostenuta da una struttura di travi in legno di 17 cm di diametro) di canne, inchiodate e legate con giunco; saldamente ‘conficcata’ sulla sabbia per m. 1,5, era rivestita interamente di falasco ("su cruccùri") in strati sovrapposti.
L’intelaiatura di canne coperte con su cruccùri, una volta perfettamente posata risultava incredibilmente funzionale: d'inverno, con le piogge, il telaio di canne si dilatava e non faceva passare un filo d'aria, mentre d'estate si restringeva, creando degli interstizi dove l'aria filtrava e procurava un fresco ristoro. “Ma c'è di più - sosteneva con enfasi Luisiccu - "Su cruccùri tiene lontani gli insetti, forse neanche questo sapevate…". Le capanne erano prive di qualsiasi tipo d’intonaco e come pavimento risultava funzionale la terra battuta. “Per scaldarsi e cucinare c'era un fuoco centrale senza canna fumaria perché il fumo passava tra le canne e andava via."
Cari amici, l'antica gente del Sinis ha sempre utilizzato per il proprio lavoro, per il trasporto, la lavorazione e conservazione dei cibi, i materiali che Madre Natura metteva a disposizione: si realizzavano in questo modo non solo le dimore, ma anche imbarcazioni, canestri, nasse, e persino strumenti musicali per ricrearsi (non dimentichiamo che lo strumento sardo per eccellenza, le "launeddas", è realizzato con tre piccole canne palustri).
E oggi che cosa ci rimane di questi straordinari “monumenti” della civiltà sarda del Sinis? Neppure una di quelle originarie è stata conservata, almeno per averne il ricordo! Dal lontano 1986, quando le ruspe fecero piazza pulita delle 'baracche" di falasco, sono molti quelli che hanno continuato a ricordarle con un pizzico di nostalgia.
Eppure, prima che gli ultimi esperti di questo tipo di costruzione scompaiano del tutto senza lasciare allievi, si potrebbe, con un buon programma turistico, fare ancora qualcosa. Nel 1997 per proteggere le bellezze naturali del Sinis fu istituita l'Area Marina Protetta "Penisola del Sinis - Isola di Mal di Ventre", che si estende su un'area di mare di circa 25 mila ettari. Le fondamenta sono già state dunque gettate: un'Area marina protetta ben avviata e strutturata, un codice dei beni culturali e paesaggistici nuovo ed aggiornato in base alle disposizioni europee, potrebbe anche, con la partecipazione attiva delle comunità locali, riportare nel Sinis anche le antiche capanne tristemente scomparse.
Io non credo che questo sia utopia, ma sono sempre stato convinto che il futuro affonda sempre le radici nel passato e nella genuina tradizione, da tramandare ai posteri.
A domani.
Mario

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Io le ho viste prima che venissero distrutte e devo dire che di fronte a questo scempio mi misi a piangere. Mi sembrò un gravissimo errore che, pur non essendo sardo mi riempí ti vergogna!!

Anonimo ha detto...

Io le vidi anni fa , una meraviglia !oggi al loro posto case in cemento sulle dune... da vergognarsi di esser italiani.!..potevano essere inserite in un spazio museale...ma certamente gli speculatori vinsero...oggi alcuni sardi mi hanno detto che quelle non demolite con le ruspe,sono state bruciate dai proprietari,che non accettarono che agli altri fosse consentito do costruire sulla demolizione e a loro no...la magistratura fece qualcosa ??Mi stupisce che i giornale e gli ambientalisti non abbiano parlato di questo scempio .. purtroppo uno dei tanti in quest' isola stupenda